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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

La dama delle nuvole

venerdì 31 maggio 2013

Buonsalve! Un racconto dedicato al tempo lunatico di questi giorni forse un po’ troppo distratto e capriccioso. Buona lettura!

La dama delle nuvole
(racconto n.273)

Alia era una dama delle nuvole, colei che aveva il compito di comandare e controllare il clima della zona assegnatale dagli Dei. Devota e ligia al suo lavoro, aveva sempre svolto bene il suo compito e regolato il clima con precisione e cura. Nel suo territorio, infatti, ai piovosi autunni seguivano rigidi inverni  sempre mitigati da tiepide primavere che sfociavano in calde estati mai troppo aride o afose. A livello climatico la sua zona era un vero paradiso cosa che aiutava notevolmente l’esistenza di chi la abitava.
Un giorno però il suo sguardo cadde per caso su una ragazza che raccoglieva dei fiori in un prato. Aveva uno sguardo sereno e luminoso che la colpì fin da subito. Iniziò a osservare dall’alto la sua vita, a guardarla mentre si occupava di fratellini più piccoli e aiutava come poteva i vicini più poveri. Col tempo Alia ne rimase in qualche modo affascinata. La sua vita complicata e spesso difficile l’aveva colpita perché in fondo per una dama delle nuvole come lei le cose erano semplici. Le bastava solo porre attenzione ai movimenti delle nuvole e delle correnti d’aria per far sì che tutto procedesse per il meglio.
E fu quello il suo errore: non prestò la dovuta attenzione. Troppo impegnata a osservare la ragazza, aveva pian piano perso il controllo del clima che divenne sempre più imprevedibile e ostile finché non accadde l’inevitabile: un violento uragano si abbatté su tutta l’area da lei controllata provando danni ingenti a città e coltivazioni. Fece una fatica immane a riprendere il controllo del clima che rimase ancora instabile per diversi giorni. Quando tutto fu passato, Alia si riaffacciò dalle sue nuvole e guardò addolorata il risultato della sua distrazione. Case devastate, strade allagate, centinaia di feriti e… Quando vide il corpo straziato della ragazza non poté fare a meno di piangere. Era colpa sua se era morta. Mentre si svolgevano i funerali, in quella che ormai era tornata a essere una dolce primavera, Alia lasciò che il vento soffiasse sulla sua bara una pioggia di petali di fiori rendendo l’ultimo omaggio a quella splendida ragazza il cui ricordo non le avrebbe mai più permesso di dimenticare l’importanza del suo compito.  


Pubblicato da Unknown alle 13:10 1 commenti  

Alla faccia delle malelingue!

giovedì 30 maggio 2013

Buonsalve! Non scriverò il perché di questo racconto. Dico solo che non è legato a qualcosa accaduto a me personalmente, ma… beh chi vuol capir capisca. ^,.,^

Alla faccia delle malelingue!
(racconto n.272)

Clara lavorava come programmatrice in una grossa azienda che operava in tutto il mondo. Aveva molti colleghi e colleghe con maggiore esperienza, ma lei si era sempre distinta per la sua competenza e professionalità.
Purtroppo l’azienda stava passando un periodo di riassestamento che comportava per loro maggiore quantità di lavoro stressante e impegnativo da smaltire. Un giorno il grande capo affidò loro uno di quei lavori noiosi e frustranti di cui, quanto sembrava nessuno voleva farsi carico.
Senza sorprenderla minimamente, Malcom, il suo collega più anziano nonché coordinatore, si presentò da lei. Clara cercò di non ridere nel guardarlo. Era il classico informatico esile e gracilino con la faccia da topo e i capelli unti quasi quanto la sua pelle.
- Lo sai che tocca a te, vero? – disse senza nemmeno salutare, assumendo quella sua aria di superiorità che le dava sempre sui nervi. – Cerca di sbrigarti con questo lavoro. Posso immaginare come tu ti sia guadagnata il posto – aggiunse lanciandole un’occhiata da porco al seno. – ma se vuoi mantenerlo devi fare molto più che aprire le gambe.
Clara non rispose, non ne valeva la pena. Quel posto era così, un covo di frustrati che non faceva che sparlare, sparare giudizi e fare commenti acidi senza provare minimamente a conoscere sul serio qualcuno. Sembrava quasi che pensassero che il parlar male di qualcuno o il comportarsi da falsi ipocriti avrebbe in qualche modo giovato loro. Lei detestava tutto quello, ma il suo lavoro le piaceva e non avrebbe certo smesso di farlo per quegli idioti.
Per questo si diede seriamente da fare, restando ben oltre l’orario d’ufficio, arrivando a farsi bruciare gli occhi per finire il lavoro in tempo e in maniera perfetta.
Il giorno dopo la consegna vide il grande capo congratularsi con quel bastardo di Malcom per come aveva gestito il team durante questa fase del lavoro. Lui si prese i complimenti e, tronfio d’orgoglio, iniziò a vantarsi con gli altri colleghi. Clara non disse niente. Si rimise al lavoro e si dedicò al prossimo incarico con la stessa costanza e dedizione del precedente.
All’improvviso una mail la fece sussultare. Veniva dall’ufficio amministrativo. Quasi le venne da urlare dalla gioia quando lesse della promozione e del sostanziale aumento di stipendio che avrebbe avuto.  Riuscì a trattenersi, ma sorrise lanciando un’occhiata a Malcom che stava continuando a vantarsi per niente. In fondo anche nel loro mestiere era possibile guadagnarsi il meritato frutto di impegno e fatica. Alla faccia di tutte quelle inutili malelingue! 

Pubblicato da Unknown alle 11:29 1 commenti  

Attacco alla libreria

mercoledì 29 maggio 2013

Buonsalve! Un racconto dedicato al Lupo Rosso, la mia libraria. Un’avventura che sta per finire, ma che mi ha regalato 4 splendidi anni.

Attacco alla libreria
(racconto n.271)

Una libreria è molto simile all’interno della tana del coniglio bianco. È un luogo pieno di porte ognuna dotata di una chiave nascosta che permette di accedere a mondi nuovi e storie incredibili nate dall’immaginazione umana. Ogni personaggio sa bene che la libreria è il luogo in cui la sua vita ha inizio, il posto in cui i lettori aprono per la prima volta un libro e danno il via alla loro avventura.  Morden era consapevole dell’importanza di quel luogo. Per questo aveva deciso di impadronirsene. Lui, uno dei cattivi più terribili nella storia dei romanzi fantastici non avrebbe dominato solo sul suo mondo, ma anche su tutti quelli esistenti in letteratura. Per farlo aveva solo un modo: entrare nel corpo del librario attraverso uno scambio di anime. Così preparò il sortilegio e fece ciò che nessun altro aveva mai osato fare prima di lui: uscì dal suo libro.
Quando si ritrovò faccia a faccia col libraio, questo lo guardò con occhi sgranati. – Non può essere… - disse l’uomo. – Non puoi essere tu…
Morden s’inchinò sfoggiando un sorrisetto sfacciato e ironico. – Lieto di sapere che hai letto di me.
Superato quel primo attimo di smarrimento, il libraio fece un respiro profondo e cercò di mantenere la calma. – Sono un libraio. Leggere libri fa parte del mio lavoro.
Lo stregone allora spalancò il palmo e soffiò sull’uomo una polvere nera.  Il libraio ne venne subito avvolto e iniziò a sentire una strana spossatezza.  Morden però non aveva idea di quanto in realtà l’uomo fosse competente nel suo lavoro.
L’uomo infatti era riuscito a inalare solo poca della polvere che lo stregone gli aveva gettato addosso cosa che aveva rallentato notevolmente l’effetto dell’incantesimo.
Questo gli diede la forza di reagire all’attacco. Con uno slancio, il libraio si avventò contro lo stregone che, non aspettandosi un attacco del genere, non riuscì a impedirgli di afferrare l’amuleto che portava al collo  nel quale era rinchiusa la sua essenza e che gli permetteva anche nella sua realtà, di viaggiare tra le dimensioni.
- Ti conviene ridarmelo se non vuoi soffrire come un cane. – ringhiò Morden.
Il libraio sollevò il medaglione e portò una mano sotto al bancone. – Mi dispiace, ma io so fare bene il mio lavoro… e so cosa rappresenta questo amuleto per te.
Con un rapido movimento, tirò fuori il martello che teneva sempre sotto il bancone e infranse l’amuleto. Morden ringhiò, sentendo la propria anima disgregarsi e venire nuovamente assorbita dalle pagine del suo libro. Non si aspettava di trovare un libraio tanto preparato, ma una cosa era certa: quel tipo non sarebbe rimasto in libreria per sempre. Prima o poi avrebbe ritentato.


Pubblicato da Unknown alle 14:20 1 commenti  

Un lavoro come pochi

martedì 28 maggio 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è stato ispirato da un post letto ieri sul blog di Licia Troisi. Credo che una cosa del genere sia capitata a molti di quelli che lavorano nel fantasy, sia come autori che come illustratori. Io ad esempio ho avuto davvero un’insegnante che mi ha detto “lascia perdere il fantasy e pensa a cose più concrete”.

Un lavoro come pochi
(racconto n.270)

Julie era una ragazza che molti avrebbero definito strana. Amava vestirsi di colori accesi e indossare accessori particolari e vistosi. Il suo preferito era un orecchino dal quale partivano diverse foglie d'argento a incorniciarle l'orecchio. Ogni volta che camminava per strada con quello addosso, tutti le lanciavano occhiate a volte incuriosite, a volte infastidite come se il suo modo di essere potesse dare in qualche modo fastidio. Julie poi faceva un lavoro molto particolare: realizzava copertine e illustrazioni per romanzi fantasy e horror. Una volta, mentre tornava a casa da un incontro con un editore, incrociò per caso una sua vecchia insegnante del liceo artistico che la salutò squadrandola dalla testa ai piedi. - Ma tu guarda, Julie... Sei sempre stata un tipo molto... particolare... Che cosa fai adesso?
Lei non fece nemmeno caso all'atteggiamento di superiorità con cui la guardava. - Sono una disegnatrice. Realizzo copertine e illustrazioni fantasy per diversi editori.
La donna sembrò perplessa. - Ah... E... Che lavoro fai?
- Realizzo copertine e illustrazioni fantasy per diversi editori. - ripeté lei sogghignando. Si aspettava una cosa del genere dalla sua insegnante.
- Dovresti cercare di puntare a un lavoro più serio. Sei sempre stata brava a scuola e potresti fare davvero molto.
Julie non poté fare a meno di scuotere la testa ridendo. - Sì in effetti potrei fare un lavoro diverso. Potrei trovarmi un impiego ordinario con stipendio fisso e la sicurezza che, se questo paese non finirà ancor più alla deriva, tra una quantità indefinibile di anni di noiosa routine avrò un briciolo di pensione per poter sopravvivere.
La sua ex insegnante sembrò irritarsi a quelle parole. – Beh, bisogna pur crescere prima o poi. Inoltre così verresti presa molto, molto più sul serio, cosa che ti permetterebbe di crearti una carriera decente.
Julie allora le rivolse un sorriso radioso. - Già in effetti molti potrebbero prendermi più sul serio, ma perché dovrei rinunciare a fare un lavoro che mi sta portando grandi soddisfazioni a livello umano e professionale, che mi fa divertire e che, magari, mi aiuta a strappare un'emozione a chi guarda le mie opere?
- Perché il mondo reale non é fatto di questo.
Julie alzò le spalle e spalancò le braccia con rassegnazione. – Beh allora temo di avere un problema.  Credo infatti che il mio mondo sia leggermente diverso. Arrivederci professoressa!
Se ne andò lasciando la donna perplessa, incapace di capire se la ragazza la stesse offendendo o meno. A Julie in realtà non importava molto ciò che diceva o pensava la gente. Aveva imparato col tempo a non prendersi troppo sul serio e a non prendere troppo sul serio la gente che la criticava. In fondo a lei il suo mondo piaceva davvero molto.


Pubblicato da Unknown alle 12:27 1 commenti  

Abbandono

lunedì 27 maggio 2013

 Buonsalve! Un racconto sull’abbandono, un tipo di abbandono che purtroppo avviene fin troppo spesso ogni anno.

Abbandono
(racconto n.269)

Ti ricordi la prima volta che i nostri sguardi si sono incrociati? Io ero piccolo, indifeso, mi ero appena affacciato al mondo e non sapevo quando crudele e vasto potesse essere. Piangevo, avevo paura eppure tu mi hai stretto al petto riuscendo a trasmettermi una dolce sensazione di calore e affetto. Quello stesso giorno mi hai portato a casa donandomi un posto caldo e accogliente in cui vivere e poter crescere. In quel nido amorevole tu mi hai nutrito, mi hai aiutato a crescere e mi hai insegnato cos'è giusto e sbagliato.
Ero circondato da tanto affetto e posso dire con assoluta certezza di essere stato felice allora. Ricordi i giochi fatti insieme? Oltre alla palla c'era un orsacchiotto che adoravo e che tenevo vicino ogni volta che andavo a dormire. Aveva il tuo profumo e mi aiutava ad allontanare i brutti sogni.
E le passeggiate nel parco? Ah, quanto le adoravo! Ogni volta che avevi una giornata libera e il cielo era limpido andavamo in questo grande parco per fare una bella passeggiata e giocare. Mi lasciavi correre e sporcare e tu ridevi con me ogni volta che inciampavo o vedevo qualcosa di nuovo che spesso mi lasciava perplesso e anche un po' spaventato. Sembravi contenta ogni volta che stringevo nuove amicizie.
Gli anni sono passati in un baleno e in tutto questo tempo io ho cercato a mio modo di renderti tutto l'affetto che tu mi hai saputo dare. Ho tentato di starti vicino e consolarti quando eri triste, di farti sorridere quando eri arrabbiata... In un modo o nell'altro era come se ci dessimo forza a vicenda.
E allora perché, dopo tanti anni, le cose sono cambiate? Perché ho l'impressione che adesso che sono diventato adulto tu non mi veda più con gli stessi occhi?
Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non sono diventato quello che tu ti aspettavi? Oppure ti sei stancata di doverti occupare di continuo di me?
Non lo so, ma non posso fare a meno di pormi certe domande perché tutta la mia esistenza si é sempre basata su di te e sul legame nato da quel primo sguardo che mi hai rivolto quando mi hai portato via dalla mia vera famiglia.
Perché adesso che tremo dal freddo sul ciglio di una strada continuo a domandarmi perché mi hai spinto via dalla macchina con quell’aria seccata piena di disgusto. Mi chiedo se mai tornerai a prendermi, a prendere questo cane indifeso che per tutta la vita ha visto in te non una padrona, ma un'amica e una madre amorevole.
Non lo so, ma lo spero e, mentre continuo a farmi domande, da solo, aspetto con ansia il tuo ritorno.     



Pubblicato da Unknown alle 16:42 1 commenti  

L'angelo riverso

domenica 26 maggio 2013

Buonsalve! Il racconto di oggi é ambientato nel cimitero acattolico di Roma, un posto bellissimo e ricco di mistero e storia che consiglio a tutti di visitare perché ricco di monumenti e statue davvero bellissime (compresa quella dell'angelo riverso). Buona lettura! ^,.,^

L'angelo riverso
(racconto n. 268)

Lili aveva un modo molto particolare di vedere il mondo. Per lei tutto era dotato di una vita, ogni cosa aveva un'anima che si manifestava ai suoi occhi. 
Era da poco più di un anno infatti che aveva scoperto di poter vedere l'anima stessa delle cose. Spesso vedeva le statue muoversi e le sentiva parlare come se fossero dotate di vita propria.. A volte  si fermava a parlare con loro purtroppo però sapeva che la gente tendeva a non vedere di buon occhio quelli che si mettono a parlare con le statue. Per questo Lili adorava il cimitero acattolico. Quell'antico cimitero di Roma era il posto ideale per potersi isolare e parlare con quegli esseri che lei sentiva così meravigliosamente vivi.
C'era una statua in particolare con cui le piaceva molto chiacchierare. Era una delle più antiche nel cimitero, un angelo femminile che di solito stava riversa su una tomba, avvolta da una veste d'edera. Passavano ore e ore insieme. La statua le raccontava di tutte le persone che aveva visto nel cimitero nel corso degli anni, uomini e donne importanti venuti a celebrare un qualche defunto famoso, turisti o anche solo persone comuni che, come Lili, cercavano nel cimitero un po' di isolamento. A colte le parlava anche degli spiriti che aveva incontrato, anime che spesso non sapevano di essere morte o non volevano accettarlo. Quando le raccontava di quello, il volto dell'angelo si adombrava e le rivolgeva sguardi carichi di tristezza. Lili non vi aveva mai badato finché un giorno non trovò l'angelo e altre statue disposte in cerchio attorno a una tomba che le sembrava stranamente nuova. 
- Che succede? - chiese guardandoli con una brutta sensazione di disagio. 
- É passato un anno da quando ci siamo conosciuti, Lili. - disse l'angelo. - É passato troppo tempo e non va bene. Devi iniziare a vedere.
La ragazza scosse il capo.  In quel momento un brivido di paura le attraversò tutto il corpo - Cosa? Io... Che stai dicendo?
- Tu non vedi la realtà. - continuò l'angelo. - Non ti rendi ancora conto di ciò che ti é successo. 
- Avvicinati. - continuò la statua di un puttino. - Avvicinati e capirai.
Lili però non voleva. Era terrorizzata e non sapeva nemmeno perché.
- Ti prego amica mia. - la supplicò l'angelo. - Fidati di me...
La ragazza allora si avvicinò e la verità della sua condizione la travolse all'improvviso. 
- No... Non é vero... Vi prego no...
Ricordò la malattia e il tormento, il desiderio opprimente di avere ancora tempo, di poter continuare a vivere.... E alla fine ricordò il suo ultimo desiderio, quello di essere sepolta in quel cimitero che aveva sempre amato. Una lacrima le scese lungo il viso nel contemplare la sua tomba. 
- Vieni, Lili. - le sussurrò l'angelo spalancando le braccia.- Lascia che ti aiuti a passare oltre.
La giovane si gettò tra le sue braccia piangendo, svanendo pian piano nell'abbraccio di quella che era diventata la sua più cara amica. Quando svanì completamente ciò che rimase al suo posto fu solo la statua di un bellissimo angelo piangente riverso su una tomba e ammantato di un abito d'edera.

Pubblicato da Unknown alle 10:54 1 commenti  

Il male dell'ignoranza

sabato 25 maggio 2013

Buonsalve! Questo racconto è un po’ uno sfogo personale contro le intolleranze e l’ignoranza della gente. Preciso che non voglio accusare o condannare nessun tipo di religione, ma solo quelle persone piene di pregiudizi che sparano critiche e commenti di merda su cose di cui non sanno assolutamente nulla. Personalmente considero queste persone delle vittime, vittime di una mentalità ristretta e di un’ignoranza che non fa altro che rendere il loro animo davvero piccolo e la loro vita tremendamente misera.

Il male dell'ignoranza
(racconto n.267)

Al mondo c’è gente davvero disgustosa che riesce sempre a mettermi addosso una grande tristezza. Sono quelle persone ottuse e sgradevoli che non vedono al di là del proprio naso e che sono talmente inutili e idiote che dovrebbero essere abbandonate nella prima discarica nelle vicinanze. Sono quelli che non riescono ad accettare le persone e le giudicano in base alla propria ignoranza. Io lo so bene. Sono quella che si può definire una vittima della mentalità chiusa della gente. L’“incidente” è accaduto circa due anni fa. Avevo aperto un negozio di occultismo a Torino con la speranza di poter non solo vendere, ma anche di far capire alle persone più diffidenti quella che è la mia cultura e la mia fede. Spesso nel negozio entravano dei ragazzini idioti che pensavano di poter giocare a fare sedute spiritiche con tavole Ouija e amuleti vari, ma ogni volta che capivo cosa volevano fare perdevo le staffe e finivo col cacciarli via in malo modo. È facile ridere e giocare con certe cose peccato però che spesso si tenda a dimenticare che ogni azione ha delle conseguenze, soprattutto quando si gioca con ciò che è “OCCULTO” , ciò che non si conosce. Per certe cose ci vuole consapevolezza e soprattutto rispetto e quei ragazzini non ne avevano per niente. Un giorno però cacciai dal negozio il ragazzo sbagliato. Aveva vent’anni ed era uno di quei figli di papà spocchiosi e arroganti che pensano di poter fare sempre quello che vogliono. Quando lo mandai via lui se ne andò rovesciando a terra diversi amuleti e promettendo che me l’avrebbe fatta pagare. Il giorno dopo la madre si presentò accompagnata dai Carabinieri, accusandomi di aver cercato di corrompere il figlio a pratiche perverse. Diceva che avevo tentato di sedurlo e che ero un pericolo, una strega che doveva essere quantomeno allontanata. Mi liberai dei Carabinieri mostrando loro i filmati delle telecamere di sorveglianza del negozio, ma la donna sembrò non voler accettare il fatto che il figlio fosse un teppista. Da allora infatti i vicini iniziarono a maltrattarmi e a isolarmi, persone che non conoscevo passavano davanti al negozio e sputavano sulla vetrina, mi ritrovai perfino la scritta “BRUCIA STREGA”  scritta con vernice spray rossa sulla serranda.  Io però ero decisa a resistere. Non me ne sarei andata, non avrei rinunciato a quello in cui credevo.
Una sera però, mentre stavo per chiudere, due ragazzi si avvicinarono. – Ciao strega! – disse uno di loro. – Che ci fai vestita? Quelle come te non se ne vanno in giro a ballare nude e a scopare chiunque  nelle notti di luna piena?
- No quelle erano le vostri madri, stronzi. – ribattei cercando di non farmi vedere intimorita.
All’improvviso fu come se fossi piombata in un incubo. Quei mostri mi si avventarono addosso iniziando a colpirmi violentemente. Mi strapparono i vestiti di dosso e mi buttarono a terra, prendendomi a calci, ridendo e sputandomi addosso. Ricordo solo che all’improvviso uno dei due si avvicinò portandosi una mano alla cintura. Poi quando fui sopra di me, provai un dolore acuto alla tempia poi il nulla.
Quando mi risvegliai ero in un letto di ospedale con flebo e respiratori attaccati. All’inizio era come se la mia mente fosse annebbiata, persa in un vuoto dal quale non riuscivo a emergere.  Pian piano ripresi coscienza di me, ma mi sentivo distrutta, incapace di reagire a quello che era successo. In quel momento ebbi la terribile certezza che non ce l’avrei fatta. Ormai mi ero arresa. Poi però accadde qualcosa che non mi aspettavo. Quando finalmente potei ricevere visite, tutti le persone entrate anche solo una volta nel mio negozio si presentarono alla mia porta con mazzi di fiori e biglietti di auguri
Sentii le lacrime agli occhi nel vedere con quanto affetto mi davano il loro sostegno in quel momento difficile. Nelle loro parole e nei loro sguardi trovai la forza e il coraggio per riprendermi. Alcuni di loro erano persone  che forse non avevano la mia stessa visione del mondo, ma che in qualche modo avevano capito e accettato il mio modo di essere e questo mi diede davvero tanta speranza.
Potevo farcela. Potevo andare avanti.
Quando poi riuscii a tornare in negozio scoprii che le cose erano cambiate. Non c’era più diffidenza né astio nei miei confronti. Si era venuto infatti a sapere che i due che mi avevano aggredita erano compagni del ragazzo che avevo scacciato e che erano stati istigati ad aggredirmi dalla madre di lui che ovviamente venne arrestata con loro. Provai una piacevole sensazione di soddisfazione quando me lo dissero. Non perché la donna era stata punita, ma perché in fondo ero sempre stata convinta non aveva molta importanza il credo o la visione del mondo di una persona perché  tutto ciò che uno fa agli altri, nel bene o nel male, prima o poi tornerà indietro amplificato di sette volte.
Da parte mia, continuerò ad andare avanti, resistendo al dolore del ricordo di quella sera, nel rispetto di tutti quelli che incontrerò sulla mia strada. Perché una volta uno spirito molto luminoso ha detto “ Ama il prossimo tuo come te stesso”  e  il rispetto è sicuramente una delle più grandi forme d’amore che possano esistere.



Pubblicato da Unknown alle 11:31 1 commenti  

Mutaforma anomala

venerdì 24 maggio 2013

Buonsalve! Oggi avevo voglia di scrivere sui mutaforma, di gettarmi un po’ nel sovrannaturale. Spero vi piaccia ^,.,^

Mutaforma anomala
(racconto n.266)


Essere un mostro agli occhi del mondo e un mostro agli occhi dei tuoi simili. Come accettare il fatto di non appartenere a nessuna della realtà cheti circonda? Non è facile, a volte ti portano a desiderare di sparire, di non essere mai venuta al mondo. Io ne sono consapevole... Sono diversa, una mutaforma anomala. Ho un difetto genetico che a volte mi porta a mantenere tratti animali anche dopo essere tornata umana. Questo mi aveva sempre impedito di nascondermi tra gli umani e allo stesso tempo faceva di me un'emarginata nel mio branco. Mi vedevano come un'anomalia, come l'incompleta che non andava nemmeno considerata. Un giorno però accadde un incidente che cambiò le cose. Due dei miei fratelli di branco più piccoli si erano si erano inoltrati nella foresta. Avevano iniziato a fare un gioco pericoloso ovvero quello di chi riusciva ad assumere prima la forma del primo animale che vedevano.  Non si resero conto di essere stati visti da un Cacciatore di Mostri. Si accorsero di lui solo quando la sua rete calò su di loro. Fu un caso che mi trovassi da quelle parti.  Io ero fuggita dal nostro rifugio per cercare un po' di tranquillità lontano dalle malelingue e correre nella mia forma di lupo. Quando vidi i miei fratelli imprigionati mi nascosti tra la vegetazione. Dovevo studiare un piano o il cacciatore li avrebbe torturati per farsi dire l'ubicazione del nostro rifugio e poi massacrati. Mi concentrai sperando che la mia anomalia mi assistesse, che riuscissi in qualche modo a controllarla. Fu con quella speranza che tornai umana e mi feci avanti. - Lasciali andare. - lo intimai.
- Ma guarda... - rise il cacciatore puntando la sua lama d'argento contro. - Un altro membro del branco. Grazie per esserti consegnata, ma basteranno loro a dirmi dove si trovano gli altri.
Senza dire altro mi lanciò addosso della polvere d'osso, l'unica cosa in grado di impedirci di mutare. Ma io non ne avevo bisogno perché la fortuna era dalla mia parte. La mia anomalia infatti mi aveva permesso di conservare due caratteristiche del lupo che l'uomo, troppo sicuro di sé, non aveva notato: le zanne e gli artigli. Quando si avventò su di me ebbe appena il tempo di capire cosa stesse succedendo. Lo sbranai e lo sventrai come un animale da macello.
Quando li liberai i miei due fratelli mi guardarono senza dire niente. Nonostante tutto continuavano a disprezzarmi.
- Forza torniamo a casa. - dissi cercando di trattenere le lacrime - E non vi azzardate più ad andarvene in giro da soli.
Subito i due si avventarono su di me e mi abbracciarono per poi ringraziarmi con le lacrime agli occhi.
Senza rendermene conto anch'io mi sciolsi in lacrime. Magari non sarei mai stata accettata dagli altri e non avrei mai avuto un’esistenza serena col mio branco, ma in qualche modo, quel giorno, capii di aver trovato due veri fratelli.


Pubblicato da Unknown alle 14:00 1 commenti  

Il torturatore

giovedì 23 maggio 2013

Buonsalve! Visto che era da tanto che non scrivevo qualcosa di truculento ho deciso di riprendere pian piano… anche se in effetti potevo fare di meglio (o di peggio dipende dai punti di vista) -,.,-

Il torturatore
(racconto n.265)

Non so bene come e perché finii in quell’incubo. Ricordavo poco del mio rapimento. Stavo tornando a casa con la brutta sensazione qualcuno mi stesse seguendo. Avevo raggiunto la porta di casa quando mi voltai e vidi lui, Matt, un ex compagno di università che non frequentavo ormai da anni.
- Scusami non volevo spaventarti! - disse lui con un sorriso cordiale. - Ma ero certo che fossi tu, Natalie e ci tenevo a salutarti.
Mi ci volle un attimo per riconoscerlo, un attimo che mi fu fatale. Lo vidi avvicinarsi rapidamente poi sentii il dolore acuto e, dopo un attimo, il vuoto.
Quando mi risvegliai era appesa al soffitto con delle pesanti catene. Matt mi girava attorno, ridendo soddisfatto. Mi ci volle un attimo per capire che ero nuda.
- Matt... Cosa... Che… Oddio… ti prego fammi scendere...
- No. No. - sghignazzò lui. - Tu resti qui, Nat.... Resti qui e mi fai divertire...
Poi iniziò la tortura. Fece calare dal soffitto una grata di metallo alla quale erano legate catene con all’estremità grossi uncini.
Iniziai a tremare quando me ne mise uno sotto il naso per poi portarsi alle mie spalle. Urlai quando lui me lo infilò nella schiena, arpionandomi la pelle. Man mano che continuava con la sua tortura, il dolore si fece più intenso, acuto e straziante tanto da annebbiarmi la mente. Il sangue mi scivolava sulla pelle nuda, colando in rivoli sotto di me.
- Basta... - piansi. - Basta ti prego... Che cosa vuoi? Che cosa vuoi da me...?
Lui si avvicinò tanto che potei sentire il suo respiro sulle labbra. - Tu sei così bella.... Un vero angelo. E gli angeli devono volare.
Così dicendo si avvicinò ai comandi della grata e la sollevò. Il dolore si fece ancora più atroce quando le catene si tesero al massimo sollevandomi fino a farmi raggiungere una posizione quasi orizzontale. Subito dopo sganciò la catena che mi teneva legati i polsi lasciandomi a penzolare appesa per la schiena. Piansi e supplicai mentre sentivo la carne della mia schiena tesa al massimo.
- Vola, angelo! - iniziò a urlare Matt agitandosi sotto di me e spingendomi di tanto in tanto per farmi ondeggiare. - Vola!
La sua risata scatenò qualcosa dentro di me. Rabbia. Una rabbia cieca nei confronti dell'aguzzino che si stava divertendo a torturarmi.
E alla fine la rabbia divenne più forte del dolore. Iniziai a contorcermi e riuscii ad afferrare una delle catene che mi sorreggevano. Sostenendomi ad essa con una mano iniziai a strapparmi via gli uncini con l'altra. Non so come resistetti al dolore né dove trovai la forza di sorreggermi. In un attimo fui libera, sanguinante e con la schiena straziata, ma libera. Matt era troppo impegnato a lamentarsi per capire cosa volessi fare. Non si accorse nemmeno che ero riuscita a liberare uno degli uncini dalle catene. In un attimo mi lanciai su di lui, finendogli addosso e schiacciandolo a terra. Gli piantai l'uncino nell'occhio prima ancora che si riprendesse dallo stordimento. Provai una sorta di sadica soddisfazione nel sentirlo urlare e urlare ogni volta che gli piantavo l'uncino negli occhi.
- Devi crepare brutto stronzo! - urlai senza quasi rendermene conto. - Crepa!
Mi fermai solo quando ormai aveva smesso di urlare da diversi minuti. Con l'ultimo sprazzo di energia rimastami gli frugai nelle tasche. Quasi non riuscii a crederci quando gli trovai un cellulare nella giacca. Chiamai il 911, ma a quel punto non ce la feci più. Mi accasciai a terra accanto al cadavere di quel maniaco.
Ero al limite e non ero nemmeno sicura che la chiamate fosse partita. Chiusi gli occhi rendendomi conto di non sentire più il mio corpo. Piegai le labbra in un sorriso amaro. Almeno ero riuscita a trascinarmi dietro quel maniaco.


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Lei

mercoledì 22 maggio 2013

Buonsalve! Un racconto dedicato a una “lei” particolare con la quale bisogna stare attenti e della quale spesso non bisogna fidarsi. Buona lettura!

Lei
(racconto n.264)

Lei era sempre stata un’amica preziosa. Non sapevo cosa farei senza di lei, senza il suo conforto e il sostegno che riusciva a darmi ogni giorno. La prima volta che ho avuto a che fare con lei avevo sedici anni. Ai miei occhi era un mistero, la cosa più bella che avessi mai visto.
Bionda, di un fascino che avrebbe attratto qualsiasi ragazzo della mia età. Fu un mio amico a portarla alla mia festa di compleanno, una sorpresa per la quale non lo ringrazierò mai abbastanza.
Un’ora e le mie labbra era già su di lei che godevano del suo sapore intenso e appagante.  Non mi ero mai sentito così soddisfatto e inebriato prima di allora.  Ero euforico!
Da allora relazione con lei ebbe diversi alti e bassi. All’inizio non la cercavo spesso, solo di tanto in tanto, durante il fine settimana. Mi sentivo bene quando c’era e questo mi bastava. Col passare degli anni però il mio rapporto con lei divenne quasi morboso. Non potevo quasi farne a meno, la cercavo prima tutti i giorni poi a ogni ora, incurante di quello che la gente mi diceva né del fatto che, per lei, mi ero allontanato da tutti i miei amici.
Poi però accadde qualcosa che distrusse completamente il mio mondo. Un mio amico morì in un violento incidente d’auto. Era stato con lei quella notte.
Per un po’ non volli assolutamente vederla. Ero distrutto, a dir poco sconvolto…  Per quanto fosse difficile all’inizio, riuscii in qualche modo ad allontanarmi dal desiderio impellente che ogni giorno avevo di lei. Col tempo riuscii a trovare una sorta di equilibrio e, pian piano, a riavvicinarmi.
Da allora la frequentai solo saltuariamente e con moderazione, senza mai esagerare. Non volevo sentirmi di nuovo legato a lei come un tempo perché solo perdendo un amico avevo capito quanto potesse essere nociva e pericolosa, di quanto diventare dipendenti da lei non portasse  altro che guai.
Lei, che tante notti mi aveva dato conforto quando venivo scaricato o avevo passato una pessima giornata, colei che mi aveva fatto ridere e festeggiare alla grande ogni evento.
Lei che mi avrebbe portato sull’urlo del baratro se non me ne fossi allontanato.
Lei, bionda, fresca… in altre parole: birra. 


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Ben poco elegante

martedì 21 maggio 2013

Buonsalve! Un racconto sotto molti aspetti autobiografico nato da una riflessione fatta ieri. Certo non vado a malmenare tutti quelli che mi guardano per strada (cosa che poi non accade tanto spesso), ma in effetti molte caratteristiche della protagonista mi appartengono. Anche io come lei cerco di essere più femminile ma… boh non fa per me.  Il guaio è che a volte, quando sono troppo diretta, credo che questo mio modo di essere spaventi un po’ troppo le persone XD

Ben poco elegante
(racconto n.263)

Le prime impressioni non sempre sono giuste… e in effetti a volte non lo sono nemmeno le seconde. Catia ad esempio a una prima occhiata sembrava una ragazza elegante e raffinata. Alta, slanciata, con lunghi capelli scuri e l’aria sofisticata, indossava sempre abiti ricercati e molto eleganti e stava sempre attenta a presentarsi al meglio in ogni occasione senza però sembrare volgare. Era una di quelle ragazze che attiravano gli sguardi della gente ogni volta che camminava per strada. A lei non davano fastidio le attenzioni altrui almeno finché qualcuno non esagerava. Un giorno ad esempio stava camminando per strada per tornare a casa quando due idioti iniziarono a seguirla facendo commenti e apprezzamenti su di lei.  Catia all’inizio non ci fece caso, ma quando loro le bloccarono la strada…  Beh quella era una cosa che davvero non sopportava. – Vi conviene levarvi dai coglioni  e subito.
I due rimasero per un attimo spiazzati poi però uno di loro si fece di nuovo avanti. – Dai piccola… infondo siamo innocui. Vogliamo solo fare due chiacchiere con te.
Lei allora afferrò uno dei due per il bavero e lo colpì con un pugno facendolo contro l’altro facendo finire entrambi a terra. -  Vi ho detto di sparire se non volete che vi stacchi quei cazzetti mosci che vi ritrovati e li usi per sverginarvi il culo!
- Ma a chi credi di fare paura, stronza! – disse il ragazzo che si era beccato il cazzotto. Era ancora a terra, troppo ferito nell’orgoglio per capire che doveva starsene zitto. – Se pensi di…
Senza dargli tempo di finire, Catia si fece avanti e gli schiacciò le palle con il tacco. Il ragazzo ululò di dolore iniziando a piangere come un disperato. Quando alla fine lei decise di alzare il piede, i due se la diedero a gambe, lasciandola da sola  a sbuffare con le braccia incrociate al petto.
Un attimo di esitazione poi Catia si girò e si avviò verso casa. Entrò poco dopo nel suo appartamento sentendo una strana amarezza dentro. Si ritrovò in un salotto ampio pieno di armi bianche appese alle pareti e inquietanti peluche di pinguini che osservavano tutti dall’alto. Poggiò a terra la borsa, pesante anche per il coltello che era solita tenerci dentro. In un attimo raggiunse la cucina e si stappò una birra. Bevve avidamente un sorso non riuscendo poi a trattenere un rutto di apprezzamento.
Lo sapeva di non dare certo una buona impressione, che ogni volta che apriva bocca sembrava uno scaricatore di porto e che di certo non aiutava il fatto che parlasse della sua collezione di armi così come se niente fosse, spaventando ovviamente ogni ragazzo con cui provava a relazionarsi.
Lei ci provava a essere più femminile, a vestirsi in maniera elegante e a essere sempre curata, ma era più forte di lei: era sboccata, le piaceva bere birra e whisky indistamente,  adorava passare le giornate libere tra schifezze e  videogiochi, collezionava armi e se si trovava con un ragazzo le capitava di commentare con lui tutte le ragazze che incrociavano e , se ne valeva la pena, a  fare apprezzamenti con lui.
Era un po’ un maschiaccio, ma non le importava. Infondo, ripensando a come aveva conciato quei due idioti, a volte poteva essere anche divertente.


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Un incontro col passato

lunedì 20 maggio 2013

BUonsalve! Un racconto nato da un pensiero: se dovessimo incontrare i  noi stessi del passato loro sarebbero contenti  di noi? Insomma vedendo ciò che siamo oggi e le scelte che abbiamo fatto quanto saremmo contenti di noi stessi?

Un incontro col passato
(racconto n.262)

- Si può sapere che stai facendo razza di cogliona?
Laura spalancò gli occhi e guardò esterrefatta l’altra se stessa che la osserva con le braccia incrociate sul petto e un’aria incazzosa che farebbe tremare l’orlo delle mutante perfino a The Rock.
- Io… veramente…
La sua aria si fece ancora più accigliata. – Ti rendi conto delle cazzate che stai facendo? Ti sei fritta il cervello come…
Scuotendo la testa, Laura portò le mani avanti e le fece cenno di tacere. – No, aspetta. Fermati un attimo! Primo: chi cazzo sei. Secondo: che diavolo vuoi da me!
L’altra Laura sbuffò e scosse i lunghi capelli scuri. – Io sono te, idiota. Sono la te stessa del  passato.
- Del futuro magari. – ribatté la Laura del presente.
- No, del passato! – insistette lei. – Sei diventata così stupida che non penso ti passerebbe minimamente per la testa l’idea di tornare indietro per mettere in guardia te stessa da quello che stai combinando.
La Laura del presente strinse i pugni, visibilmente offesa da quelle parole. – Che intendi dire?
- Guardati... – disse Laura squadrandola dalla testa ai piedi. – Indossi vestiti firmati che non osi rimettere per due feste di fila perché “sono stati già visti”, fai delle scenate perché il tuo parrucchiere non ti ha fatto i capelli perfetti che volevi e hai lasciato un ragazzo splendido che adoravi solo perché durante il tuo ultimo viaggio “volevi divertirti”.
- Beh che c’è di male a tenerci al modo di vestire o a pretendere che un parrucchiere che pago fior di quattrini faccia bene il suo lavoro? – sbuffò la Laura del presente. – E se proprio vuoi saperlo ho lasciato il mio ex perché di certo mi avrebbe assillato di telefonate e messaggi durante tutto il viaggio impedendomi così di godermi la vacanza!
Il volto della Laura del passato si adombrò di tristezza e delusione. – Io non sono così, idiota! Non lo sono mai stata e invece tu… tu sei tutto ciò che non vorrei mai essere. Io non voglio diventare come te, cazzo!
Laura non sapeva perché, ma quelle parole la colpirono come un pugno in pieno viso. Ricordava il tempo in cui era come la Laura che aveva davanti, un’ingenua sognatrice che apparentemente pensava di riuscire ad accettare il fatto di essere un’emarginata incapace di integrarsi solo per le sue stupide convinzioni.
- Io ero stanca di sentirmi sempre sola. – disse. – Puoi dire quello che vuoi, ma sai bene che in passato, o meglio nel tuo presente, noi non eravamo felici.
- Hai ragione. – ammise lei. – Almeno però eravamo infelici rimanendo noi stesse. Adesso lo siamo perché non facciamo che fingere.
A quelle parole, la Laura del presente scoppiò a piangere. Si vergognava di se stessa e di essersi trasformata in una persona che non aveva mai voluto essere. Una persona che cambiava se stessa solo per riuscire a farsi accettare.
- Cosa… come posso…?
La Laura del passato l’abbracciò infondendole subito una dolce sensazione di pace. – Sta tranquilla… c’è sempre modo di rimediare, basta volerlo.  Non commetteremo gli stessi errori te lo prometto.
E nel mentre, nel momento in cui la ragazza del passato svaniva per tornare al suo tempo, Laura sentì la sua anima farsi molto più leggera e finalmente, dopo tanto tempo, riuscì finalmente a sentirsi se stessa.



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Nei secoli dei secoli

domenica 19 maggio 2013

Buonsalve! Con questo racconto sono voluta tornare un po’ ai racconti dai toni cupi e un po’ macabri… insomma al mio solito stile che spero vi piaccia. ^,.,^

Nei secoli dei secoli
(racconto n.261)

“Sta arrivando.”
“Ne sei sicura?”
“ Sì… e ne porterà un altro. Un altro di noi. Un altro cadavere.”
“Dobbiamo impedirlo. Dobbiamo impedirgli di portarne altri. Perché nessuno di loro troverà mai pace nell’agonia di questo limbo di morte violenta.”
“Sta tranquillo non permetterò che accada di nuovo ciò che successe a me. Questa sarà l’ultima vittima di quel mostro.”
Un cigolio riportò il silenzio nel vecchio cimitero. Il cancello di ferrò si aprì lentamente e un’ombra ammantata di nero  scivolò all’interno portando con sé quello che sembrava essere un sacco grosso e pesante. La figura si guardò attorno poi raggiunse un punto isolato e, con una pala presa chissà dove, iniziò a scavare.
Impegnata com’era nel suo lavoro, l’ombra non si accorse degli strani sussulti della terra che pian piano iniziò ad aprirsi, rigurgitando i cadaveri che si agitavano inquieti sotto di essa.
Finì di scavare la sua fossa senza accorgersi di nulla. Si tolse il cappuccio rivelando il volto di un uomo dall’aria distinta che doveva aver da poco superato i quarant’anni. L’uomo si chinò sul sacco e lo aprì ammirando i resti di una ragazza, una delle tante studentesse che avevano alleviato le sue pene, con cui aveva trovato la pace e il piacere nella carne e nel sangue.
L’avrebbe fatta franca anche quella volta, ne era certo. Avrebbe continuato a uccidere e a uccidere fino al giorno in cui si sarebbe sentito soddisfatto. Un giorno che probabilmente non sarebbe mai arrivato.
Era così assorto nella sua estasi che si accorse degli orrori alle sue spalle solo quando uno di essi lo afferrò per un braccio. Quando si voltò e scorse nel buio il volto putrefatto della sua ultima vittima urlò con quanto fiato aveva in gola.
Il suo urlo però si spense quando il cadavere gli strappò la lingua dalla bocca, inondandola di sangue.
In un attimo i morti del cimitero si avventarono su di lui, strappando e mordendo, lacerando la carne e spezzando le ossa fino a ridurre il suo corpo a un ammasso di carne sanguinolenta. Lui però non morì. La sua anima rimase intrappolata così come era stato per quella delle sue vittime.
“ Il tuo tormento sarà eterno. La tua sofferenza indicibile. Ogni notte strazieremo il tuo corpo più e più volte finché non avrai riparato al dolore causato a me, alle altre tue vittime e a tutti i nostri cari. E il tuo tormento durerà fino al giorno in cui tutti noi risorgeremo a nuova vita. 
Ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.”




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Una grande delusione

sabato 18 maggio 2013

Buonsalve! Questo racconto è ispirato esattamente al mio stato d’animo attuale. Non è un buon periodo, non sto bene e mi capita spesso la sera di piangere ma, rendendomi conto che alla fine ci sono tante persone che mi sono vicine che stanno molto peggio, non posso fare altro che stringere i denti e andare avanti. In fondo non credo di avere molto diritto di lamentarmi.

Una grande delusione
(racconto n.260)

A volte non é facile rimettere assieme i pezzi di una vita finita in pezzi. Un momento ti stai godendo i tuoi sogni, la tua vita é esattamente come tu l'avevi sempre desiderata quando accade qualcosa di inaspettato ed ecco che il momento dopo ti ritrovi in preda a un oceano di rimpianti. Pensi a tutte le illusioni, a ciò che hai perso e a quello che ti hanno portato via e non puoi fare a meno di pensare che, nonostante la consapevolezza che infondo i tuoi problemi non sono niente paragonati a quelli di chi ti sta accanto, non é giusto che le cose siano andate in questo modo. É una cosa alla quale purtroppo non posso fare a meno di pensare ricordando i miei momenti di gloria, i giorni in cui a teatro ricevevo gli applausi di un pubblico caloroso, che mi ammirava e mi acclamava per la mia recitazione. Il periodo in cui tutta la mia vita era incentrata su ciò che amavo di più al mondo. In due anni il direttore della mia compagnia mi aveva assegnato parti importanti in ogni rappresentazione avvenuta nei migliori teatri della città promettendomi mari e monti.
Poi però quel bastardo ha pensato bene di sparire portandosi via la maggior parte dei miei compensi. Fu come aver ricevuto un calcio in pieno viso. Non dimenticherò mai la sensazione di rabbia e amarezza nel momento in cui capii che la persona che credevo mi avrebbe sostenuta era in realtà uno spocchioso, ignorante, figlio di papà che mirava solo a fare i suoi porci comodi col frutto del mio lavoro. Frustrata e abbattuta mi ritrovai a dover ricominciare tutto dal principio. Dovevo cercare una nuova compagnia, trovare qualcuno disposto a darmi fiducia, ma che comunque sapevo mi avrebbe assegnato delle parti misere, facendomi partire dal basso come se fossi una misera dilettante. Non ricordo più quante notte ho passato a piangere, sempre più disperata a ogni fallimento.
Poi un giorno Victor, un caro amico, si presentò entusiasta da me e mi diede un biglietto da visita. Ebbi quasi l’impressione che il mio cuore si fosse fermato all’improvviso. Era il numero di uno degli agenti più importanti di Broadway. – Dove lo hai trovato?
- Diciamo un incontro fortunato. – ammiccò lui. – Chiamalo. Ti aspetta per vedere quello che sai fare.
Per un momento venni presa dal panico. Potevo davvero farcela? Mi avrebbero davvero scelta? Non lo sapevo non ero più sicura di niente tantomeno delle mie capacità. E se non fossi piaciuta? Se quello che avevo ottenuto fino ad allora fosse stato solo merito dei raggiri di quel truffatore?
Ci misi tre giorni a superare le mie paure. Alla fine, quando ormai non avevo più lacrime, presi il telefono e chiamai l’agente. Non importava quanto avessi sofferto né quanto tempo ancora avrei continuato a star male. Potevo piangere fino a farmi sanguinare gli occhi, ma in un modo o nell’altro sarei dovuta andare avanti.



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Perché

venerdì 17 maggio 2013

Buonsalve! Un racconto sulle domande che ci assillano tutti i giorni, sui rimpianti e su ciò che non possiamo in alcun modo evitare e su tutte le domande che ci travolgono quando le nostre vite vengono stravolte.

Perché
(racconto n.259)

Forse ci si preoccupa un po' troppo spesso del perché delle cose. Perché non ho letto in tempo quella mail... perché quella sera sono uscita invece di restarmene a casa... Perché mi sono fidata troppo di persone che non hanno fatto altro che sfruttarmi e arricchirsi alle mie spalle...? Domande su domande che non fanno altro che lasciarci con una cupa amarezza addosso. Per questo Crystal aveva deciso che non si sarebbe mai più fatta troppe domande. Avrebbe vissuto la sua vita al momento e comunque fossero andate le cose non si sarebbe mai guardata indietro. O almeno il suo proposito era quello, ma come si sa é sempre più facile dirle le cose che farle. Soprattutto quando una tua semplice decisione arriva a distruggere la vita di persone a te care. Sdraiata su un letto di ospedale, Crystal non faceva che ripetersi cos’avrebbe potuto fare di diverso, cos’è che era andato storto in quella che si era poi trasformata nella giornata più terribile della sua vita.
Nella sua mente lampi di ricordi che sembravano terribilmente lontani si affollavano e confondevano. Ricordò di essersi rifiutata di partire con i suoi genitori per andare di nascosto con i suoi amici. Ricordò di aver chiamato i suoi genitori quando la loro macchina si era fermata poi il viaggio con loro mentre suo padre, al volante, le urlava contro com’era solito fare.
Lei non lo ascoltava nemmeno. Si limitava a fissare fuori dal finestrino, incazzata per aver perso un week end da sballo con il ragazzo per il quale aveva una cotta da anni.
Un attimo e arrivò lo schianto, violento e improvviso e con esso prima il dolore e poi il vuoto.
Quando si risvegliò erano passati tre giorni. Sua madre era ancora in coma, suo padre e la sua sorellina erano invece morti sul colpo. All’inizio nessuno aveva voluto dirle cosa fosse accaduto ai suoi, ma lei aveva capito subito che doveva essere qualcosa di molto grave. Appena le dissero la verità i sensi di colpa la travolsero come una valanga.
Rimase per giorni sdraiata, in uno stato catatonico dal quale sembrava non riuscire a riemergere. Alla fine si alzò e si avvicinò alla finestra.
Sorrise. Una scelta sbagliata, una decisione frivola e la sua famiglia era morta. Le sarebbe bastata un’altra decisione per porre fine al suo senso di colpa.
Aprì la finestra e guardò il cielo sereno. Era una bellissima giornata. Perfetta. Non seppe per quanto tempo rimase ferma a fissare il nulla.
Poi si mosse.
Fu un attimo, una decisione nata da una semplice domanda: perché non farlo?
L’infermiera la trovò nel suo letto che dormiva con una lacrima che le rigava il volto. Crystal infatti aveva capito una cosa: l’importante non era non farsi delle domande, ma cercare delle risposte.
Perché aveva fatto le stronzate che avevano portato alla morte dei suoi genitori?
Perché non avrebbe mai potuto sapere che le cose sarebbero andate in quel modo.
Perché non si era arresa?
Perché nonostante tutto non voleva ancora rinunciare a vivere.


Pubblicato da Unknown alle 10:25 0 commenti  

Il desiderio più grande

giovedì 16 maggio 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché spero davvero tanto che le persone possano sempre venire in qualche modo ripagate della professionalità e la gentilezza verso il prossimo. È vero, di solito chi è gentile riceve solo calci in culo ma… credo che sperarci non faccia mai male.
p.s. il pittore del racconto non ha niente a che fare con Stan Lee. Quando ho scelto il nome giuro che non ho pensato minimamente a lui anzi ci ho fatto caso solo dopo XD

Il desiderio più grande
(racconto n.258)

Nessuno conosceva l'età o l'identità del vecchio Stan, ma nella casa di riposo tutti lo vedevano come una sorta di piaga da evitare a tutti i costi. Era stato portato un giorno dalla nipote che, dall'aria esasperata che aveva, sembrava non vedere l'ora di liberarsi di lui. Gli infermieri capirono il perché dopo poche ore. L'uomo infatti era irascibile e arrogante e pretendeva che tutti gli obbedissero che se fosse il sovrano di tutto e di tutti. Solo Mina sembrava riuscire a sopportarlo. Dolce e gentile di natura, l'infermiera lo accudiva con la pazienza di una santa, rispondendogli per le rime e rimettendolo al suo posto quando esagerava, ma allo stesso tempo occupandosi di lui con cura e affetto. Un giorno, forse per mera curiosità, lui le chiese quale fosse il più suo più grande desiderio. Con sua grande sorpresa la ragazza rispose. - Vorrei che la clinica riuscisse a trovare i fondi necessari per aprire la nuova ala progettata ormai da mesi. Così almeno avremo la possibilità di ospitare molti più anziani e a un costo decisamente inferiore.
Stan borbottò qualcosa poi prese un pezzo di carta e una matita e iniziò a disegnare. La ragazza rimase a bocca aperta quando lui le porse il bellissimo disegno di una ragazza angelo, identica a lei, che accudiva quello che sembrava essere un satiro dal ghigno malefico. - Tienilo. - le raccomandò il vecchio dopo aver firmato il disegno. - Magari ti porterà fortuna vista la tua tendenza a esprimere desideri assurdi. Ora va a chiamare il mio avvocato. Ho bisogno di fare due chiacchiere con quella sanguisuga.
Mina quasi si commosse davanti a quel gesto gentile. Non sapeva infatti che sarebbe stato uno degli ultimi che l'uomo le avrebbe rivolto.
Pochi giorni dopo infatti il vecchio Stan morì. Addolorata, Mina si occupò di lui e dell'organizzazione del suo funerale sebbene non rientrasse nelle sue competenze. Si era affezionata al vecchio e i suoi parenti sembravano fregarsene di lui.
Non si aspettava però la fiumana di gente che prese parte al rito funebre. Centinaia tra celebrità, giornalisti e fan reso omaggio a quello che solo in quel momento Mina scoprì essere uno dei più famosi e apprezzati pittori del nostro tempo.
Per un attimo la giovane ripensò al disegno che lui le aveva fatto e tremò all'idea del valore che quel misero pezzo di carta dovesse avere.
Ma la sorpresa maggiore arrivò quando, tornata alla clinica, scoprì che l'avvocato del vecchio aveva consegnato alla clinica una donazione di cinquanta milioni di euro. Una donazione che era stata fatta a nome della ragazza.
La ragazza non poté che piangere dalla gioia e dall’emozione. Da quel giorno conservò il disegno del vecchio come uno dei suoi tesori più preziosi, non per il suo valore a livello economico, ma per il ricordo e la gratitudine verso un uomo buono e un caro amico che le aveva concesso di veder realizzato il suo più grande desiderio.


Pubblicato da Unknown alle 10:28 0 commenti  

Sparlare troppo

mercoledì 15 maggio 2013

Buonsalve amici! Un po’ di sincerità: chi è che non ha mai pensato di prendersi una grossa vendetta su delle amiche un po’ troppo chiacchierone?

Sparlare troppo
(racconto n.257)

Erika aveva quattro amiche davvero favolose! Si divertiva un mondo con loro e i pomeriggi passati insieme erano senza dubbio i più divertenti per lei.
Erano tutte sue compagne di liceo, conosciute durante il primo anno. Se ne stava seduta in disparte a studiare quando loro l'avevano avvicinata ridendo e presentandosi con aria disinvolta. Le dissero che formavano un gruppo speciale, un gruppo che valeva davvero in quella scuola e volevano che lei ne facesse parte.
A Erika quasi non era sembrato vero. Loro erano tutte e tre delle ragazze bellissime, davvero in gamba. Sapere che volevano essere sue amiche la faceva sentire davvero speciale.
Da quel giorno loro divennero le sue più care amiche. Uscivano spesso insieme per andare a fare shopping e passavano ore a chiacchierare nei locali del centro o a ballare nelle discoteche.
Un giorno però accadde qualcosa che le fece mettere in discussione la loro amicizia. Erano in un pub piuttosto affollato e dopo una lunga attesa finalmente erano riuscite a trovare un tavolo.
- Erika senti noi andiamo un attimo in bagno a sistemarci. - disse Julie, che tra loro era sicuramente la più bella e matura. - Tu resta qui così non rischiamo di perdere il tavolo.
Lei attese paziente, finché non si accorse che Natalie aveva lasciato la sua borsa e che le stava suonando il cellulare al suo interno.
Decise quindi lasciare il proprio cappotto per far vedere che il tavolo era occupato e andare a portargliela. Quando però arrivò nell'anticamera dei bagni sentì le sue amiche sghignazzare tra loro.
- Certo che più la frequento più penso che Erika debba avere un serio problema mentale. - stava dicendo Julie. – Davvero, a volte mi sembra una vera idiota. Non sa proprio quando deve smetterla di fare le sue stupide battute né quando starsene zitta. E poi non fa che parlare di libri.. É così noiosa da risultare patetica. Personalmente la sopporto solo perché offre spesso da bere.
Lilian e Natalie concordarono ridendo come se avesse detto qualcosa di molto divertente.
La ragazza sentì le lacrime salirle agli occhi, ma tornò indietro e decise di far finta di niente.
Il giorno dopo mentre erano alla mensa scolastica, alle sue tre "amiche" capitò un bruttissimo incidente. A quanto risultò, infatti, il suo bicchiere e quello delle altre tre erano sporchi di acido muriatico. Secondo la polizia Erika fu molto fortunata ad aver poggiato le labbra sul bicchiere un attimo dopo che le sue amiche avevano bevuto, cavandosela così con solo delle ustioni alle labbra.
Lei si limitò a sorridere sussultando dal dolore mentre piegava le labbra. Non poté fare a meno di pensare che in fondo quelli erano incidenti che potevano capitare spesso a chi sparlava troppo.


Pubblicato da Unknown alle 10:07 1 commenti  

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