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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

Vita da bambola

domenica 31 marzo 2013

BUonsalve! Questo racconto mi è venuto in mente ieri sera durante lo splendido evento “lo specchio nello specchio” organizzato da “Palco Oscenico” al quale ha partecipato con una mostra fotografica anche la mitica Daze. Buona lettura e buona pasqua a tutti!!!

Vita da bambola
(racconto n.212)

Blythe era una bambola bellissima, alta come una bambina di circa quattro anni. Aveva lunghi capelli in argento raccolti in un’acconciatura elaborata, occhi di un azzurro intenso e un abito vittoriano che le dava un aspetto aristocratico. Era stata portata in una vecchia soffitta dopo che la bambina che l’aveva adottata era diventata una giovane donna.
Per mesi Blythe aveva osservato il mondo da lontano, dalla finestra di quella soffitta dalla quale vedeva solo un angolo di strada. Da esso a volte le capitava di scorgere dei bambini giocare e coppie di innamorati che passeggiavano mano nella mano.
Blythe a volte si chiedeva che tipo di esistenza potessero fare quelle persone. Aveva passato tutta la sua esistenza prima nella camera della sua padroncina poi in quella soffitta polverosa quindi tutta la sua realtà si limitava a quelle pareti e agli oggetti, sempre uguali,  che la circondavano.
A volte però provava una strana sensazione di ansia. Sentiva un disagio, misto a curiosità che le faceva desiderare che quelle pareti  attorno a lei non esistessero, che qualcosa le permettesse di uscire da quella finestra e capire cosa volesse dire davvero vivere.
Un giorno quel desiderio divenne così intenso da cambiare qualcosa dentro di lei. Il suo corpo venne pervaso da un’energia nuova che permeava ogni fibra del suo essere. Quell’energia si trasformò in una scarica elettrica che fece pian piano sgretolare la sua pelle. La senti prima spaccarsi poi cadere a terra lasciando il posto a qualcosa di nuovo: pelle vera.
All’inizio fu strano e doloroso. Cominciò col muovere prima le dita indolenzite poi le mani e le braccia. Le sue nuove ossa scricchiolarono strappandole un gemito di dolore. Si alzò, barcollando sulle gambe instabili  per poi cadere dal suo scaffale.
Le ci volle un po’ per riuscire a trovare un certo equilibrio, ma alla fine riuscì a mettersi in piedi. Uscì dalla casa confusa e spaventata da tutte le cose nuove che vedeva attorno a sé, ma emozionata nel sentirsi per la prima volta davvero viva.



Pubblicato da Unknown alle 10:42 0 commenti  

Chessmen

sabato 30 marzo 2013

Buonsalve! Ecco un racconto ispirato al gioco degli scacchi. Spero vi piaccia ^,.,^


Chessmen
(racconto n.211)

Il mio nome è Bishop e nella mia vita non ci sono sfumature. Il mondo in cui vivo è fatto di due elementi: il bianco e il nero,  gli amici o i nemici.
Questa differenza può cambiare in un momento la mia vita e quella di tutti coloro che mi stanno attorno perché essa è un susseguirsi di battaglie e scontri per proteggere colui che dà un senso alla mia esistenza: il mio re.
Lui è l’anima e il centro del mondo è colui che ci governa e ci guida unendo me e i miei compagni nonostante tutte le differenze che ci separano. È solo il nostro sovrano che con la sua splendida regina e le sue torri ci permette di affrontare il nemico che minaccia di distruggerci, un nemico più terribile di quanto chiunque possa immaginare. Perché quel nemico è uguale a noi, è il riflesso oscuro della nostra realtà.
Combattere loro è come combattere le tenebre che vivono dentro di noi, che fanno parte di noi.
Spesso esse ci traggono in inganno, ci confondono e ci tendono tranelli capaci di portarci alla perdizione e di farci abbandonare ciò che più amiamo.
A volte, negli scontri coi nostri nemici ho avuto un ruolo decisivo. Sono stato in grado di trasformare una sconfitta in un pareggio, una ritirata che ci ha permesso di salvare la vita del sovrano e allora ecco che diventavo un eroe, il salvatore della corona, colui che più si era fatto onore sul campo.
 Altre volte però sono andato incontro ad amare sconfitte finendo prigioniero del nemico e indebolendo i miei stessi compagni. Tutta la mia esistenza si fonda su questa lotta, tutto il mio essere è fatto per combattere. Alfiere mi chiamano alcuni, ma qualunque nome vogliate darmi io sono e resterò sempre e solo un servo fedele del re.




Pubblicato da Unknown alle 13:09 0 commenti  

In attesa di vendetta

venerdì 29 marzo 2013

Buonsalve! Questo racconto nasce da alcune mie riflessioni sulla vendetta. È giusto, secondo voi, vendicarsi di qualcuno che ha commesso un crimine orribile nei nostri confronti nel momento in cui la giustizia non compie il proprio dovere?

In attesa di vendetta
(racconto n.210)

Raramente le attese sono piacevoli. Spesso sono solo lunghi momenti di angoscia in cui non possiamo fare altro che star fermi e aspettare. Io lo so perché l’attesa è stata una vera agonia.
A lungo ho aspettato il momento in cui avrei visto la persona che mi aveva portato via la mia famiglia pagare per i suoi crimini, in cui avrei ascoltato la condanna dell’assassino che una notte di due anni fa entrò in casa mia e massacrò mia moglie e mia figlia solo per poter rubare quelle poche cose di valore che avevamo. Quel bastardo venne arrestato dopo  diversi giorni e il processo durò così a lungo da farmi credere che fosse una sorta di punizione per non essere stato in grado di proteggere le mie amate. La paura che quel bastardo non pagasse per il suo crimine era una tortura straziante. Quella paura si trasformò ben presto in un’orribile certezza. Il responsabile della morte di mia moglie e di mia figlia venne scarcerato per insufficienza di prove.
Io però sapevo che era stato lui, nonostante il passamontagna avrei riconosciuto quegli occhi gelidi e spietati ovunque. I giorni successivi furono come una lenta e straziante agonia per me.
Non potevo credere che quel mostro fosse libero, che potesse crogiolarsi nella soddisfazione di averla fatta franca. In ogni momento io rivedevo nella mia mente quella maledettissima notte e poi il sorriso di quell’uomo nel momento in cui venne liberato. Cominciai a fare pensieri orribili, a immaginare i mille modi in cui avrei potuto ammazzare quel verme.
Mi ci volle parecchio tempo per riuscire a reprimere tutta quella rabbia, ma il desiderio di vendicarmi continuò a torturarmi come un tarlo invisibile. Poi, dopo diversi mesi, lo vidi.
Se ne stava seduto a un bar e rideva con un gruppo di amici come se niente fosse successo. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rimasi nascosto finché, ubriaco e stanco, l’assassino non si avviò verso casa. Lo seguii fino al suo appartamento e m’intrufolai nell’abitazione così come lui aveva fatto nella mia anni prima. Silenzioso, sfoderai il coltello, la lama che mi ero imposto di portare sempre con me. Lo colsi sotto la doccia, nudo e indifeso. Gli tagliai prima gli attributi, gioendo nel sentirlo urlare come il porco che era poi, dopo averglieli infilati in gola, lo sgozzai. In quel momento provai una profonda soddisfazione e un vuoto che sapeva di pace. Mentre sentivo le sirene della polizia avvicinarsi sorrisi per la prima volta dopo tanto tempo. Avrei pagato, è vero, ma almeno avevo avuto la mia vendetta. Finalmente avrei trovato un po’ di pace. 


Pubblicato da Unknown alle 12:43 1 commenti  

Chi sono

giovedì 28 marzo 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché a volte si tende troppo a guardare il lato negativo di una situazione e ci si dimentica di ciò che di quella situazione può renderci felici e farci sentire adatti a noi stessi. Buona lettura!

Chi sono
(racconto n.209)

A volte mi sono chiesta cosa volesse dire essere persone normali, vivere senza troppi pensieri, omologata al resto del mondo e senza quella che molti definirebbero la mia “maledizione”.  Mi chiamo Triscia e sono una donna gatto, una creatura che vive sospesa tra questa realtà e quella nascosta agli occhi del mondo. Quando una creatura sovrannaturale ha bisogno di aiuto è a me che si rivolge. Spesso mi sono trovata in pericolo rischiando la vita più volte per salvare le creature più indifese dalle presenze oscure e maledette che infestano la terra. Proprio per questo mio segreto poi ho dovuto rinunciare ad avere legami. Mi sono sempre concessa storie occasionali per le quali spesso ho sofferto, soprattutto quando mi trovavo costretta a chiudere una relazione senza poterne spiegare il vero motivo.
L’unico legame concessomi è quello con Jipster, uno spiritello che vive nella mia casa fin da quando era ancora in vita la mia bisnonna. Non proprio il massimo della compagnia visto che è un saccente e arrogante so tutto io con il senso dell’umorismo di un bradipo strafatto di valeriana.
Una vita di merda, direte voi. No, per niente. Perché per quanto a volte io mi chieda cosa voglia dire essere normale, quei pensieri svaniscono in pochissimi istanti.
Perché essere una donna gatto non vuol dire solo essere un collegamento tra due mondi. I miei sensi  sono molto più sviluppati del normale  e il mio corpo è agile come quello di un felino. Spesso, di notte, mi aggiro per i tetti della città osservandone la vita e il fermento. Vedo spiriti, mutaforma, fatati e vampiri, creature che nessun altro essere umano è in grado di riconoscere.
Quella conoscenza, quella consapevolezza della realtà riesce a rendermi davvero felice. Perché quel mondo fa parte del mio essere,  sento l’essenza di ognuna di quelle creature dentro di me come se mi appartenesse. Ciò che definisce ciò che sono non è il mio compito o i doveri ad esso legati, ma il mio legame con quella realtà nascosta e mai e poi mai potrei mai rinunciare ad esso.


Pubblicato da Unknown alle 15:12 1 commenti  

Rimettesi in piedi

mercoledì 27 marzo 2013


Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché sono in un periodo in cui sto cercando di rimettermi in piedi dopo una serie di batoste niente male. Pronta a farcela! ;)

Rimettersi in piedi
(racconto n.208)

A volte sembra quasi impossibile tornare a sorridere quando perdi tutto quello che ami. Natalie era una pittrice molto promettente che metteva nei suoi dipinti un amore e una passione fuori dal comune. Quando si chiudeva nella sua stanza e prendeva un pennello in mano era come se il mondo attorno a lei perdesse di significato.
La sua mente s’immergeva in tinte multicolori e forme che si trasformavano e prendevano corpo sulla tela di fronte a lei. Per lei non c’era niente di più bello di quei momenti in cui poteva esprimere davvero tutta se stessa.
Un giorno le si presentò l’occasione più grande della sua vita: una mostra in una delle più grandi gallerie d’arte di New York.  Si preparò per settimane nel tentativo di sfruttare al massimo quella straordinaria opportunità, per far sì che i suoi lavori catturassero il cuore di chi li osservava così come lei aveva riversato in essi il proprio.  Fu un periodo eccitante e meraviglioso che però ebbe una fine molto brusca. Il piccolo studio in cui teneva i suoi dipinti venne devastato da un incendio improvviso. Non si salvò nemmeno un quadro.  Quando l’avvertirono, Natalie ne fu devastata. A dieci giorni dalla mostra non aveva più niente da esporre. Tutto il frutto della sua passione era andato distrutto.
Rimase per due giorni nell’appartamento devastato, in uno stato quasi catatonico. A nulla valsero le rassicurazioni dei suoi amici e parenti. Aveva il cuore a pezzi e niente avrebbe potuto consolarla. Poi però, all’inizio del terzo giorno, Rob, il suo ragazzo, le mise davanti agli occhi una tela bianca, tavolozza e pennelli poi si sedette accanto a lei e rimase a fissarli in silenzio. Nel guardarli, Natalie sentì scattare qualcosa dentro di sé.  Di punto in bianco si alzò e iniziò a dipingere riversando sulla tela tutto il dolore e la disperazione provata in quei giorni.
Dipinse per tutta la notte e nei giorni successivi, fermandosi a malapena per mangiare e concedersi un paio di ore di sonno.  Il giorno della mostra ogni ospite poté ammirare i risultati di quel lavoro, dipinti di una tale intensità e passione da lasciare senza fiato.
Quella era la sua occasione e Natalie non avrebbe mai potuto sprecarla. Per ogni caduta avrebbe sempre trovato il modo di rimettersi in piedi.


Pubblicato da Unknown alle 12:16 0 commenti  

Essere libero

martedì 26 marzo 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato perché è un periodo strano per me, un periodo pieno di interrogativi su molte cose. Ma basta con le chiacchiere inutili! Godetevi il racconto! ^,.,^

Essere libero
(racconto n.207)

Che cosa rende un uomo davvero libero? Cos’è che rende l’esistenza di un individuo davvero degna di essere vissuta? Nathan si era posto spesso quelle domande e si era sempre domandato come avrebbe potuto rendere la propria vita davvero degna. 
Per questo era partito per mare quando era ancora molto giovane. Si era arruolato in una ciurma pensando che viaggiare gli avrebbe permesso di sentirsi davvero libero,  di ignorare quei legami e quei vincoli che lo avevano sempre spaventato. Un giorno però il loro vascello venne abbordato da una nave pirata. Lui fu l’unico sopravvissuto della ciurma. Era troppo giovane, aveva detto il capitano, per essere ammazzato.
Divenne perciò un prigioniero in una nave di assassini e criminali che di certo non avrebbero esitato un solo istante a ucciderlo al minimo sgarro. I primi mesi furono lunghi e terribili, pregni di paura e angoscia. Non aveva idea di ciò che sarebbe stato di lui, ma sapeva che la sua sorte era segnata. Aveva perso per sempre la libertà a cui aveva sempre aspirato. Un giorno però il capitano lo chiamò nella sua cabina. Dopo alcuni snervanti convenevoli, l'uomo gli fece un'unica domanda: - Qual é la cosa che desideri più di ogni altra?
La sua risposta fu rapida e decisa. - Capire cosa vuol dire davvero essere liberi.
Il capitano rimase a fissarlo per lunghi istanti poi lo rispedì ai suoi umili lavori.
Qualcosa però cominciò a cambiare da quel giorno.
Gli vennero affidate nuove mansioni e nessuno sembrò più aver voglia di umiliarlo e maltrattarlo. Pian piano, senza quasi che se ne rendesse conto, divenne uno della ciurma. Quei pirati gli permisero di scoprire un mondo nuovo, diverso. Gli mostrarono la gioia di viaggiare per mare senza una meta se non quella dettata dal mare stesso, un organismo vivo, pulsante, capace di trasmettere felicità e terrore con la sua voce imponente. Un giorno, durante uno scontro con altri pirati, Nathan venne ferito nel tentativo di proteggere il capitano. Non seppe spiegarsi il perché di quel gesto istintivo e anzi  lo rimpianse nei lunghi giorni in cui, in preda alla febbre, rimase sospeso tra la vita e la morte. Quando si rimise in sesto e riuscì a uscire dalla canina che gli era stata assegnata per la guarigione, trovò tutti i pirati in ginocchio con la testa china a terra. Senza dargli il tempo di meravigliarsi gli chiesero scusa per non essere stati in grado di proteggerlo. Lui ormai era uno di loro e i membri della ciurma si difendevano sempre a vicenda. Se era stato ferito a quel modo era stata anche colpa loro. Quel gesto lo colpì molto e lasciò un segno dentro di lui.
Grazie a quegli uomini, Nathan comprese la gioia dell'avventura, ma anche l'impegno e  il peso della responsabilità della vita dei compagni. Sostenersi a vicenda, proteggersi e rispettarsi... Nessuno gli aveva mai dato tanto. Per la prima volta in vita sua capì cosa voleva dire essere davvero libero. Non era l'assenza di legami o il poter andare ovunque e far ciò che si voleva, ma la consapevolezza di poter scegliere la propria strada avendo accanto persone con cui condividerla.


Pubblicato da Unknown alle 15:12 1 commenti  

Possibilità di scelta

lunedì 25 marzo 2013

Buonsalve! Questo racconto è dedicato alle persone con una mentalità aperta e indipendente. Buona lettura.

Possibilità di scelta
(racconto n.206)

Per anni mi ero nascosta senza trovare il coraggio di emergere, di battermi per ciò che amavo davvero. Mi chiamo Elena e sono… molto diversa dai miei fratelli e dalle mie sorelle.
La mia famiglia non era proprio come si suol dire di “mentalità aperta”. Mio padre era un uomo tutto d’un pezzo convinto che un lavoro di alto livello rappresenti l’unico obbiettivo per un uomo.  Per un maschio ovviamente perché una donna non doveva fare altro che pensare alla famiglia e ai figli.
Non aveva bisogno di lavorare, non se il suo uomo poteva essere degno di definirsi tale.  Per questo i miei mi dissero che avrei frequentato solo la scuola dell’obbligo costringendomi intanto a imparare tutto il necessario per diventare una moglie “perfetta”. Un giorno però accadde qualcosa che cambiò la mia vita per sempre.  Durante la festa di compleanno di una mia compagna conobbi Lara. Era una ragazza davvero incredibile, con un’energia e una fantasia travolgenti. Ogni cosa era per lei un motivo di meraviglia per creare nuove storie e cambiare la realtà a seconda della sua fantasia. Mi lasciò davvero senza parole. Fu come se, conoscendola, qualcosa fosse cambiato dentro di me.  Volevo essere come lei, volevo condividere con lei ciò che la rendeva così speciale e a quanto pare anche Lara desiderava lo stesso.
Condivise con me ciò che la rendeva così speciale: i libri.
Il primo libro che mi prestò fu “Il Signore degli Anelli”. Me ne innamorai all’istante. Fu come scoprire un nuovo mondo, una realtà che andava ben oltre la mia. Capii che nella vita c’era molto più di quello che i miei genitori mi avevano imposto.
Lara mi prestò molti altri libri e a ogni nuova lettura la mia visione delle cose cambiava. Capii che se lo volevo davvero avrei potuto ottenere qualsiasi cosa dalla vita. Per me non c’era solo un’esistenza da donna di casa e madre. Potevo scegliere e, qualsiasi cosa avessi deciso per me stessa, avrei lottato per ottenerla.



Pubblicato da Unknown alle 17:27 0 commenti  

Io non porto iella!

domenica 24 marzo 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché trovo sia bello ridere un po’ della sfortuna anche se in fondo  non ci credo poi così tanto. Credo che le persone possano trasmettere energie negativa con la loro perfidia, ma negli iettatori veri e proprio non tanto.

Io non porto iella!
(racconto n.205)

Mi chiamo Simone e molti dicono che porto iella. Sinceramente però non ho mai capito il perché. Insomma non credo che le brutte cose capitino solo perché qualcuno ha attirato la sfortuna su chi gli sta accanto. Certe cose succedono e basta.
Prendete mio fratello. Un giorno ero andato a trovarlo sul posto di lavoro e mentre chiacchieravamo del più e del meno, un fulmine è entrato dalla finestra colpendo il suo computer. Lui aveva ancora la mano sul mouse e venne attraversato da una corrente così forte che il suo cuore si fermò per alcuni secondi. Ebbe delle gravi conseguenze fisiche, è vero, ma alla fin fine era comunque riuscito a sopravvivere. Poteva andargli molto peggio.
Poteva accadergli come al mio amico Marco.
Eravamo appena usciti da un negozio di elettronica e c'eravamo salutati per dirigerci ognuno alla propria macchina. Il tempo di dargli le spalle che un cornicione gli crollò addosso all'improvviso. Morì sul colpo.
Insomma le sventure a volte capitano, ma questo non vuol dire che io ne sia responsabile. Fidatevi che non é bello sentirsi dare dello iettatore. C’erano alcuni miei colleghi che ogni volta che passavo loro accanto si davano una ravanata alle palle per scaramanzia.
E le colleghe... Beh le colleghe davano una ravanata alle palle dei colleghi con loro somma gioia.
Avrebbero dovuto ringraziarmi per quello invece di allontanarmi.
Certo avrei avuto tutti i motivi per incazzarmi di questa situazione, ma era come se davanti a loro mi bloccassi, diventando incapace di oppormi.
Un giorno però mi portarono così tanto all'esasperazione che scoppiai. Imprecai e augurai loro di avere tutto il male quello che meritavano.
Quel giorno mi presi delle ore di permesso, troppo stanco per sopportarli oltre. Appena mi allontanai dal palazzo sentii una violenta esplosione. Una fuga di gas aveva devastato il mio ufficio uccidendo tutti quelli al suo interno.
Mi ero salvato per un pelo. Un vero colpo di fortuna. Sorrisi, carico di soddisfazione.
Così imparavano a dire che portavo sfiga.


Pubblicato da Unknown alle 11:02 0 commenti  

Un tesoro prezioso

sabato 23 marzo 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché a Ottobre  chiuderò la mia amata libreria Lupo Rosso. Sarà un po’ la fine di una splendida avventura, dalla quale però ripartirò per creare qualcosa di altrettanto meraviglioso. Perché a volte rinunciare a un desiderio non vuol dire rinunciare a sognare, ma tendere la mano a sogni molto più grandi.

Un tesoro prezioso
(racconto n.204)


A volte bisogna rinunciare a qualcosa di bello per avere qualcosa di altrettanto meraviglioso. Ci sono desideri nati per vivere di una luce intensa, una luce che proprio per la sua intensità è destinata a spegnersi presto. Sabrina sapeva bene quanto potesse essere difficile rinunciare a ciò che si ama, ma allo stesso tempo era stata felice di farlo. Lei era una viaggiatrice, una donna che viveva di risate e di baldorie, di divertimenti e avventure di una notte. Non aveva mai amato i legami né gli uomini oppressivi che pensavano che lei appartenesse loro solo perché l’avevano portata a letto.
Lei non era di nessuno e non lo sarebbe mai stata.
Un giorno però, di ritorno da un viaggio in Irlanda, fece una scoperta che stravolse completamente il suo mondo. A darle la notizia fu un test di gravidanza positivo. Non avrebbe mai pensato che potesse accadere una cosa del genere. Era sempre stata attenta quando si concedeva del buon sesso occasionale.
I nove mesi di gravidanza che seguirono furono orribili. Alle nausee, all’aumento di peso e a tutti gli effetti collaterali si univano anche la rabbia e la consapevolezza che la sua vita non sarebbe mai stata più quella di un tempo.
Avrebbe dovuto rinunciare ai viaggi, alle notti brave e a tutte quelle emozioni che rendevano più allegra la sua esistenza. L’ultima cosa che voleva era rimare incastrata in un’esistenza triste dove il suo lavoro di dentista era l’unica cosa che le permetteva di evadere da una monotona vita domestica.
Poi però sua figlia venne alla luce e, di nuovo, tutto cambiò.
La prima volta che la prese tra le braccia fu come se il centro del mondo si fosse spostato in quella piccola creatura urlante. Ai suoi occhi non c’era niente di più bello e prezioso. Negli anni successivi non rimpianse mai la vita passata. Rinunciando alla gioia di una vita da viaggiatrice aveva trovato il tesoro più bello e prezioso di tutti.


Pubblicato da Unknown alle 13:52 1 commenti  

Non é come sembra!

venerdì 22 marzo 2013

Buonsalve! Un racconto per la serie: quando le apparenze ingannano! XD Buona lettura!


Non é come sembra!
(racconto n.203)

Ok, avete presente quei momenti in cui vi trovate in crisi, ma proprio tanto, tanto in crisi e non avete la più pallida idea di come comportarvi? Beh, io lo so. Sto vivendo uno di quei momenti proprio adesso. Alla mai destra infatti c'é Cristina, mia moglie, con la quale sono sposato ormai da cinque anni. Alla mia sinistra invece c'é Laura.
Ho conosciuto Laura due anni fa, ma é stata fin da subito la mia rovina. É una ragazza solare, allegra e vivace che ama godersi la vita che mi ha davvero travolto con il suo entusiasmo. Adesso mi trovo tra le due donne, con il sangue quasi ghiacciato nelle vene e brividi di paura lungo la schiena. So che Cristina si sta trattenendo a stento dallo scoppiare.
- Che sta succedendo qui? 
Il suo tono gelido é orribile, paralizzante.
- Niente. - rispondo. - Non é come sembra, giuro.
Cristina incrocia le braccia sul petto. - Ah, no? Secondo me la situazione é abbastanza chiara.
Laura si fa avanti. É intimidita, ma pronta ad affrontare mia moglie. - Cristy senti non é colpa sua. Io...
Cristina però la zittisce con un cenno della mano. - Non osare giustificarlo né giustificare te stessa. Io mi fidavo di entrambi, ma mi avete davvero delusa.
A quel punto Laura sbuffa e alza gli occhi al cielo. - Cazzo, ma ti rendi conto di quanto lo stai soffocando? Lascialo vivere un po'! Fagli godere la vita!
Cristy allora si fa avanti e indica la tavola alle nostre spalle. - Ti rendi conto di cosa stavate facendo? Ve ne stavate lì, con tutta quella panna a... a...
- A mangiare dolci, embé? Che cosa vuoi che che sia se una sera mette da parte la dieta e si tira un po' su di morale?
- Ha avuto problemi di salute! Deve dimagrire e deve farlo bene! - urla mia moglie ormai sul punto di scoppiare.
Io indietreggio, allontanandomi piano. Sapete come fuggire da un momento di crisi, di vera crisi? Io lo sto capendo adesso: bisogna darsela a gambe.  

Pubblicato da Unknown alle 12:05 2 commenti  

La ragazza della luna

giovedì 21 marzo 2013

Buonsalve amici! Oggi un racconto dedicato alla notte e alla luna che ho sempre adorato. Buona lettura!

La ragazza della luna
(racconto n.202)

Moon si chiedeva spesso quale fosse la sua vera natura. La notte era parte di lei, era ciò che faceva vibrare la sua essenza, che la faceva sentire viva e potente.
La notte, lei cambiava. Il suo corpo diventava più forte, i suoi sensi si facevano più acuti. A volte si sentiva molto vicina ai lupi. Anche loro erano creature legate alla luna, bellissime e dotate di un potere mistico e puro.  A volte, mentre si aggirava per i boschi, li vedeva correre in branco e provava una fitta di invidia nei loro confronti. Lei non aveva come loro un’identità, né una famiglia. Era sempre stata sola da che aveva memoria.  Il suo primo ricordo era legato al prato dei fiori della luna che si trovava al centro della foresta.  Era appena una bambina e si svegliò in quel prato senza memoria né consapevolezza di ciò che le era accaduto. Aveva freddo e tanta, tanta paura, ma appena alzò gli occhi e vide la luna sopra di sé ebbe l’impressione che niente potesse spaventarla davvero.
Aveva iniziato così a vivere nei boschi nutrendosi prima di ciò che le offriva la terra poi, pian piano, di ciò che riusciva a cacciare. Ogni tanto si avvicinava alle città degli uomini e giocava con i bambini che non si facevano troppe domande su di lei.
La notte poi si dedicava a quello che amava di più: correre. Correre nella foresta, libera e abbracciata dalla luna la faceva sentire davvero libera, scacciava quel senso di solitudine che aveva sempre portato dentro di sé.  Per dodici anni visse così finché un giorno, Moon trovò un cucciolo di lupo. Era solo, accoccolato accanto al cadavere di una lupa. La ragazza lo raccolse e lo accudì, vincendo le sue diffidenze e aiutandolo a crescere.
I due vissero momenti felici assieme finché un giorno, durante la corsa, arrivarono a in luogo della foresta a loro sconosciuto. Lì scorsero una pozza d’acqua sulla cui superficie si specchiava la luna piena. Era uno spettacolo incredibile. L’acqua brillava d’argento e dava l’impressione che la luna stessa fosse scesa in terra per godere della sua limpidezza.
Moon osservò la pozza ammaliata. C’era qualcosa che l’attirava verso di essa, un istinto che non sapeva in nessun modo spiegarsi. Si avvicinò all’acqua e scivolò nella pozza seguita dal lupo. Per la prima volta si sentì a casa, serena e calma come si era sentita solo nel momento in cui aveva visto la luna per la prima volta. Chiuse gli occhi e quando li riaprì vide davanti a sé un mondo del tutto nuovo, pieno di vita e bellezza. In cielo, un pianeta azzurro osservava  tutto come un guardiano silente.
- Bentornata a casa, bambina mia.  – disse una voce.
Moon si voltò e vide una donna bellissima sorriderle e aprire le braccia per accoglierla. In quel momento i ricordi la travolsero. Mentre piangeva, abbracciando sua madre, la ragazza della luna lanciò un’occhiata al suo lupo che ululava contento.  Finalmente era tornata. Finalmente era di nuovo a casa.


Pubblicato da Unknown alle 13:41 1 commenti  

Biker

mercoledì 20 marzo 2013


Buonsalve! Questo racconto è nato perché… perché… non posso dirlo… o meglio la persona che mi ha dato l'ispirazione per scrivere un racconto che parla di moto sa perché l’ho fatto quindi… ;)

Biker
(racconto n.201)

Il vento, la strada di fronte a me, i compagni bikers al mio fianco…  correre in moto è sempre stata la mia più grande passione. Questo amore è nato grazie al contributo di mio padre. Lui aveva una moto bellissima, una Harley che, agli occhi di una bambina piccola, sembrava la cosa più bella del mondo.
Mi entusiasmavo sempre quando lui mi permetteva di aiutarlo nella manutenzione. Certo  fino ai quattordici anni a malapena mi consentiva di pulirla, ma per me era comunque un compito di importanza inestimabile. Sapevo quanto papà ci tenesse a quella moto e che grande dimostrazione di fiducia fosse da parte sua il permettermi anche solo di toccarla. Ogni tanto poi mi portava a fare dei piccoli giri che non facevano altro che aumentare il mio amore per quella moto.
Poi, quando mio padre si ammalò, io fui l’unica in grado di occuparsene. Il cancro lo divorò in meno di sei mesi senza nemmeno dargli l’opportunità di fare un ultimo giro sulla sua Harley.
Il dolore per me fu devastante. Mi ci vollero mesi per riprendermi dalla sua morte, mesi nei quali passavo ore e ore a lucidare la moto e a controllarla senza che ce ne fosse davvero bisogno.
Un giorno però non ce la feci  più. Mentre la stavo pulendo per l’ennesima volta mi bloccai e mi misi seduta a terra. Nonostante le insistenze di mia madre, passai lì tutta la notte.  La mattina dopo scattai in sella e accesi il motore. Fu bellissimo sentirlo fremere sotto di me.
 Avevo preso la patente adatta un mese prima che mio padre morisse e non avevo più guidato da allora, ma non importava.  Mi misi in strada e il dolore sembrò scivolare via come l’asfalto sotto di me.
Fu come uscire da una gabbia e liberarmi di un peso enorme, di un’angoscia che a stento sapevo di provare.
Da allora la moto di mio padre fu la mia migliore amica e mi accompagnò per centinaia di chilometri. Insieme, ogni volta che ci mettevamo in strada, rendevamo omaggio a colui che aveva fatto di noi tutto il suo mondo.




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Una parte del futuro

martedì 19 marzo 2013

Buonsalve amici! Questo racconto è nato pensando alle persone che si incrociano per strada, delle quali spesso non sappiamo niente, ma che in qualche modo diventano per pochi istanti parte delle nostre vite.

Una parte del futuro
(racconto n.200)

Mi chiamo Elly e sono molto abile nel capire le persone. Cammino spesso per la mia città osservando la gente e la loro l’anima grazie al dono che è stato la condanna della mia vita e che mi permette di  leggere le vite di tutti quelli che incrocio sulla mia strada.
Una volta ho incontrato una ragazza di sedici anni distrutta dal fatto di essere stata lasciata dal suo ragazzo. Lui era un delinquente che la maltrattava e umiliava costantemente, ma quando alla fine questo aveva deciso di mettersi con un’altra, la giovane aveva dato colpa al fatto di non essere abbastanza bella. Sapevo già ce da lì a dieci anni, se non avesse deciso di amare di più se stessa, sarebbe morta di anoressia. Un’altra volta ho incontrato un uomo talmente preso dal suo lavoro da dimenticarsi dell’amore che aveva nutrito fin da giovane per sua moglie, arrivando a trascurarla e a trattarla come una domestica che doveva soddisfare ogni suo desiderio.
Non penserà a incolpare se stesso quando, tra circa sei mesi, la troverà a letto col suo migliore amico. Si accanirà invece su di lei durante la fase di divorzio e farà passare mesi d’inferno ai figli ancora piccoli.
Tristezza, rabbia, dolore… c’era così tanto nel cuore e nel futuro delle persone da farmi venire la nausea. Poi però incontro persone come Carl e allora gli esseri umani non mi sembrano più così disperati.
Carl aveva avuto una vita orribile. Figlio di un padre violento e di una madre tossicodipendente, non aveva avuto un infanzia, ma un  vero e proprio incubo. Per due volte era finito in ospedale, la prima per un braccio rottogli dal padre o meglio, secondo quello che avevano detto ai medici, pe runa caduta. La seconda volta ci finì per malnutrizione e fu allora che lo portarono via dalla famiglia. Per un certo periodo fu felice con i suoi genitori affidatari, ma presto questi morirono e Carl si ritrovò di nuovo da solo, sballottato da una famiglia all’altra.
Nonostante questo però avrebbe continuato a studiare e sarebbe diventato un assistente sociale che avrebbe salvato decine di ragazzi aiutandoli a fare grandi cose.
Quando lo incrociai per strada sentii il mio cuore battere così forte che piansi dalla gioia. Lui mi guardò, mi sorrise e mi offrì un fazzoletto. Io gli sorrisi a mia volta.
In quel momento vidi qualcosa che mi lasciò senza parole. Quel giorno ci saremmo separati, ma  quel semplice gesto ci avrebbe poi permesso di incontrarci ancora. In un modo o nell’altro lo avrei aiutato nel suo lavoro e sarei diventata parte del suo futuro.




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Di nuovo insieme

lunedì 18 marzo 2013

Buonsalve, amici… oggi ho sonno… tanto sonno… troppo sonno… sonno… -,.,-

Di nuovo insieme
(racconto n.199)

Jasper viveva imprigionato nel passato ormai da mesi.  Prima dell’incidente aveva una vita felice. Sua moglie Jillian era una donna bellissima e affascinante che amava moltissimo e che aveva dato alla luce pochi mesi prima un bambino meraviglioso.
La sua vita era perfetta grazie alla loro sola esistenza. Erano la sua felicità, la sua sola ragione di vita.
Poi però un ubriaco al volante di un camion glieli aveva portati via. Andò loro addosso mentre stavano tornando a casa dal supermercato. La macchina venne distrutta completamente. I medici mi dissero che morirono sul colpo.
Da quel giorno il dolore per la perdita gli impedì di andare avanti. Passò giorni e giorni chiuso in casa, senza dormire e mangiando a malapena. Perché andare avanti dopo aver perso la cosa più bella della sua vita? Che senso aveva ormai?
A nulla valsero gli sforzi di amici e vicini per farlo riemergere da quello stato di torpore. Si era lasciato andare. Ormai non aspettava altro che la morte, troppo vigliacco per riuscire a infliggersela con le sue mani.
Una notte però una voce lo scosse.
Era la voce di Jillian. L’avrebbe riconosciuta ovunque. Si alzò dal divano e si trascinò fino alla camera del loro bambino nella quale non era più entrato dal giorno dell’incidente. Sgranò gli occhi quando vide sua moglie in piedi davanti alla culla. Tra le braccia aveva il loro bambino che sembrava dormire sereno.
Jasper vieni con noi. Vieni da noi, amore mio.
Lui deglutì e fece un passo in avanti.
Ti stiamo aspettando.
Avanzò ancora e strinse forte la figura esile di Jillian e quella del piccolo. – Mi mancate così tanto…
Puoi raggiungerci amore. Basta solo volerlo.
E lui lo desiderò. Pregò di raggiungerli con tutte le sue forze.  All’improvviso sentì due fitte di dolore poi le forze cominciarono a venirgli meno.
Lo trovarono poche ore dopo esanime, con i polsi tagliati. L’unica cosa di cui nessuno seppe capacitarsi è che non trovarono nessuna lama accanto al cadavere.


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Di cielo e di acqua

domenica 17 marzo 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è venuto in mente al Lupo Rosso, osservando la copertina del libro “Harlequin” di Laurell Hamilton. Spero vi piaccia. ^,.,^

Di cielo e di acqua
(racconto n.198)


Life aveva passato tutta la sua vita diviso tra due mondi.  Era un passero dell’acqua, un uccello il cui corpo assumeva di tanto in tanto forma liquida. Poteva volare è vero, ma non gli era permesso allontanarsi dal lago in cui era nato perché se il suo corpo fosse diventato d’acqua mentre volava sulla terraferma sarebbe sicuramente morto. Certo non gli dispiaceva quella vita.
Poteva vedere il mondo dall’alto, godere dell’aria e della brezza che gli soffiava sulle piume per poi tuffarsi nelle profondità del lago, sentire il suo corpo diventare un tutt’uno con esso, percepire le creature che lo abitavano e che ne animavano il fondale. Era davvero meraviglioso, una sensazione che lo faceva gioire ed emozionare.  Un giorno però, durante un volo, Life conobbe un piccione che portava messaggi in giro per il mondo. Questi gli parlò di mondi diversi e posti bellissimi, di luoghi così straordinari che era impossibile descriverne la magia a parole.
Life allora iniziò a desiderare di potersi allontanare dal lago, di poter essere libero di volare via per vedere tutti quei posti a dispetto della sua duplice natura.
Quel desiderio lo tormentò a lungo e con insistenza. Nuotare in quel limitato sprazzo di cielo e diventare acqua in quel vasto lago non gli procuravano più la stessa gioia di un tempo.
Fu così che un giorno, ignorando i consigli dei suoi simili, Life decise di partire. Spiccò il volo spingendosi più lontano di quanto non avesse mai fatto. Quando il suo corpo cominciò ad assumere forma liquida si rifugiò in un piccolo ruscello nelle vicinanze.  Fu l’esperienza più bella della sua vita. Viaggiò a lungo e conobbe posti e luoghi che gli fecero vibrare l’anima.
Un giorno si ritrovò ai margini di un deserto. Per un attimo la paura di non farcela lo fece desistere, ma alla fine raccolse il suo coraggio e partì dall’oasi in cui si era rifugiato. Fu un viaggio lungo ed estenuante in cui fece ogni sforzo possibile per non mutare in forma liquida. Il deserto gli apparve come la cosa più bella di questo mondo. La sua vastità e il suo splendore gli riempivano gli occhi e il cuore.
Alla fine però la sua natura ebbe la meglio. Il sole era appena sorto quando il suo corpo iniziò a liquefarsi.  In poco tempo divenne solo una piccola pozza su duna. Rimase immobile mentre la sabbia lo assorbiva rapidamente. Nonostante tutto si sentiva davvero felice. Con un ultimo sforzo di volontà una piccola parte di lui scivolò giù dalla duna.  Una vasta distesa d’acqua accolse quelle poche gocce nel suo abbraccio. Fu così che, anche nella fine, Life scoprì la bellezza del mondo e la meraviglia di quel mare di cui ancora oggi è parte.


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Fobia degli agi

sabato 16 marzo 2013

Buonsalve amici! Questo racconto è nato dal titolo del racconto di ieri “fobia degli aghi” .  Leggendolo di corsa mi ero persa una “h” per strada e… beh ho provato a scriverci su qualcosa XD Il racconto poi si è un po' distaccato dall'idea iniziale, ma ho voluto mantenere comunque il titolo originale ^,.,^ 

Fobia degli agi
(racconto n.197)

Samantha aveva sempre avuto paura di essere felice. Era convinta che tutte le cose belle che le capitavano nella vita non potessero durare per più di poche settimane, al massimo  qualche mese.
C’è stato un tempo in cui la sua vita sembrava aver preso la piega giusta. Aveva una splendida carriera, un ragazzo favoloso e una bella casa. Se qualcuno le avesse domandato a quel tempo se fosse felice lei avrebbe di certo risposto sì.
In poco tempo però aveva perso il lavoro, era stata sfrattata e il suo ragazzo l’aveva mollata, non prima di averle chiesto in prestito un bel po’ di soldi mai restituiti.
Era costretta a tornare dai suoi, a ricominciare tutto da capo, da sola. Fu un periodo terribile per lei in cui perse completamente la speranza nelle persone e nelle possibilità che la vita aveva da offrirle. Cominciò a vivere in maniera spartana, senza troppe pretese proprio per paura di restare nuovamente delusa. Un giorno però conobbe Rich.
Lui si avvicinò con la sua aria sfacciata e allegra che Sam trovò davvero affascinante. Senza sapere perché accettò il suo invito a uscire e poi il successivo.  Dopo aver accettato il terzo appuntamento però cominciò ad avere paura. Con lui si trovava bene, ma se non fosse andata tra loro? Se lui l’avesse ferita?  Spesso quando andava a casa e vedeva il suo appartamento, senza troppi agi se non un piccolo televisore, si chiedeva anche cosa avrebbe pensato Rich nel vederlo. Era a dir poco terrorizzata.
Per questo gli diede buca e non rispose alle sue successive telefonate.
C’erano delle volte in cui avrebbe  voluto rispondere, ma alla fine l’ansia aveva sempre avuto la meglio.
Un giorno però accadde qualcosa di imprevedibile: il suo citofono suonò e poco dopo  si ritrovò Rich davanti alla sua porta.
- Dovresti rispondere al telefono. – disse semplicemente poi si guardò attorno e sorrise. – Bell’appartamento.
Senza quasi rendersene conto, Samantha scoppiò in lacrime.  In quel pianto la sua paura si sciolse.
Recuperarono quel terzo appuntamento e ad esso ne seguirono altri. Forse con Rich valeva davvero la pena di tentare, in qualsiasi modo sarebbero poi andate le cose. Senza rendersene conto, Sam aveva messo da parte la sua fobia della felicità.  


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Fobia degli aghi

venerdì 15 marzo 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto prendendo spunto dalla mia fobia per gli aghi. Ne sono a dir poco terrorizzata! Faccio fatica a vederli perfino in televisione anche se per fortuna non sono ancora arrivata a questi eccessi XD

Fobia degli aghi
(racconto n.196)

Richard detestava gli aghi. Appena ne vedeva uno prima andava nel panico poi cominciava a sentire la testa girargli e tutto diventava buio.
Non ricordava molto di quei momenti di black out. A volte si ritrovava in posti diversi  o a fare cose strane,  come se fossero degli strani attacchi di sonnambulismo.
Ogni volta che doveva fare un’analisi o aveva bisogno di farsi un’iniezione era una vera e propria tortura.
Sua moglie sopportava con pazienza quella situazione ma a volte, quando lui stava male, sembrava spaventata e tirava un sospiro di sollievo nel momento in cui le dicevano che non ci sarebbero stati aghi di mezzo. Un giorno però Richard ebbe un incidente.
Stava  pulendo le grondaie guardando di tanto in tanto l’orologio per non perdere l’inizio di una partita di football. All’improvviso scivolò e cadde dalla scala su cui si trovava, sbattendo la testa. Quando si rialzò aveva metà del viso sporco di sangue.  Sua moglie ovviamente lo portò subito al pronto soccorso. Dopo averlo sottoposto ai primi controlli, il medico di turno gli disse che non era nulla di grave, ma che la ferita andava suturata e che per precauzione gli avrebbero fatto un’iniezione per evitare possibili infezioni.
Richard sentì il panico crescere dentro di sé appena vide il dottore preparare la siringa. Poi, quando si avvicinò, vide piccoli lampi di luce davanti agli occhi. Sentì il suo corpo farsi improvvisamente leggero poi ci fu il vuoto. Appena si riprese, Richard si accorse che due addetti alla sicurezza lo stavano trattenendo. Aveva delle manette ai polsi e la gente attorno a lui lo guardava terrorizzata.
Quando alzò la testa, vide il medico a terra che urlava coprendosi il volto con una mano. Aveva la siringa che voleva usare su di lui infilata in un occhio. Richard si chiese se fosse stato lui a farlo. Aveva infilato la siringa nell’occhio dell’uomo?
Non importava. A differenza delle altre quell’ago non faceva poi così tanta paura.


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Una vita insoddisfatta

giovedì 14 marzo 2013

Buonsalve! Questo racconto mostra a cosa può portare una vita troppo insoddisfacente. U,.,U  Non è che conoscete qualcuno così, vero?

Una vita insoddisfatta
(racconto n.195)


Essere Carl Jonson era davvero una scocciatura. Lui personalmente ne avrebbe volentieri fatto a meno. Alzarsi ogni mattina e svegliarsi con accanto quella cozza di sua moglie era una pena.
Al liceo lei era molto carina,  una delle più belle della scuola, ma come si sa le cose cambiano. Se non avesse fatto il grosso errore di metterla incinta non si sarebbe sognato di sposarla per nessuna ragione al mondo.  Purtroppo però era stato cresciuto con una certa morale e appena saputo del bambino, Carl aveva deciso di prendersi le sue responsabilità.
Addio quindi alla sua carriera di avvocato e benvenuto al suo nuovo lavoro di magazziniere. Certo non era il lavoro dei suoi sogni, ma almeno così non avrebbe dovuto aspettare degli anni prima di avere uno stipendio decente.  E così era iniziata la sua “nuova” vita con una donna che non amava, un marmocchio che piangeva tutta la notte e un lavoro deprimente con un capo odioso.
Eh, sì… il povero Carl infatti aveva anche un'altra seccatura: Victor Smith.  Victor era il classico capo frustrato che forse aveva un’esistenza ancora più deprimente di quella del povero Carl e che quindi si sfogava sui dipendenti che non potevano fare altro che chinare la testa e sopportare i suoi soprusi. Carl poi era la vittima ideale. Il tempo lo aveva logorato così tanto da renderlo un debole in capace di reagire e di farsi valere.
Molte volte aveva pensato di cambiare le cose e di dare letteralmente un taglio a tutto. Quanto avrebbe voluto imprimere sulla gola del suo capo un sorriso di sangue per cancellare quello irritante dal suo viso.  E quanto desiderava squarciare il ventre di sua moglie per farle pagare il fatto di averlo incastrato rimanendo incinta. Solo suo figlio gli impediva di perdere completamente la testa. Non avrebbe mai e poi mai voluto rovinargli la vita. Certo lui non sarebbe rimasto bambino per sempre. Prima o poi sarebbe diventato un giovane uomo e allora le cose sarebbero cambiate.  Lanciò un’occhiata al cruscotto della macchina nel quale custodiva gelosamente un grosso coltello. Le sue labbra si piegarono in un sorriso. Con tutti gli imprevisti che aveva avuto nella vita ormai aveva imparato a tenersi sempre pronto.



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Il Motel

mercoledì 13 marzo 2013

BUonsalve! Questo racconto è nato durante una chiacchierata con altri negozianti della zona del Lupo Rosso. Parlavamo di un palazzo nelle vicinanze che stava letteralmente cadendo a pezzi e da lì è nata l’idea del Motel. ^,.,^

Il Motel
(racconto n.194)

Erano ormai ore che Sheila stava guidando e ormai la stanchezza si faceva sentire. Doveva assolutamente fermarsi a riposare. All’improvviso, come se qualcuno avesse ascoltato i suoi pensieri, dalla nebbia apparve un vecchio motel. Dire che fosse fatiscente era un eufemismo.  Sembrava quasi che la facciata principale fosse stata bombardata.
Alla donna però non importava. Non poteva proseguire.
Si  fermò e venne accolta da un vecchio gracile e pallido che le rivolse un sorriso sdentato. – Buonasera, signorina. Il mio nome è Graam e sono a sua completa disposizione.
 All’inizio la ragazza ebbe l’impulso di voltarsi e andarsene, ma alla fine si registrò alla reception e decise di mangiare qualcosa al ristorante dell’albergo.
Mentre mangiucchiava un piatto di maccheroni al formaggio che sembravano essere andati a male da almeno una settimana , un uomo le si avvicinò. – Buonasera. Io sono Michael. Qui non c’è molta compagnia e mi chiedevo se… potessi unirmi a lei per la cena.
Sheila ne ammirò fin da subito il portamento elegante e lo sguardo deciso. – Con molto piacere.
Non si chiese nemmeno come un tipo del genere fosse finito in quella bettola. Il tempo volò e i due si ritrovarono a letto poche ore dopo.  La mattina dopo, Sheila non poté credere a quanto fosse stata fortunata. Conoscere un uomo del genere in quel Motel era stato un vero colpo di fortuna, quasi un miracolo.
Forse era destino che s’incontrassero.
Non fece in tempo a pensare a tutto quello però che le mani di Michael si serrarono attorno alla sua gola. L’uomo strinse  e strinse finché la mente non si annebbiò e lampi di luce non le apparvero davanti agli occhi. Poi tutto si spense.
Michael sorrise e prese in braccio il corpo della sua nuova vittima. La portò al piano di sotto, dove Graam lo guardò con aria assorta. – Spero ti sia divertito con lei.
- Abbastanza, padre. – Rispose lui. – Era una ragazza piuttosto scialba in compenso però  era piena di soldi.
Il vecchio sbuffò e aprì una porta che conduceva a un buio scantinato. – Su, muoviti. La vasca d’acido è pronta. Dobbiamo sbrigarci prima che arrivi il prossimo cliente.


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Dimenticare

martedì 12 marzo 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto pensando a quante volte rimuoviamo o facciamo finta di non vedere cose che ci turbano troppo per poter essere accettate.

Dimenticare
(racconto n.193)

Non sempre siamo in grado di accettare quello a cui assistiamo. A volte ci ritroviamo ad assistere a scene talmente orribili che il nostro cervello si rifiuta di ricordarle.
Luca aveva sempre pensato che quella teoria fosse solo una favola raccontata da chi non era in grado di affrontare verità per loro troppo scomode. Era facile, secondo lui, fingere di dimenticare per non dover fare i conti col passato. Non sapeva però quanto fosse in errore. Lo capì quando si rese conto di essere innamorato di Claudia, sua compagna dell’università. Aveva sempre fatto fatica a legarsi sul serio a una ragazza a causa forse della morte improvvisa di sua madre quando ancora era piccolo. Uno stupido incidente gliel’aveva portata via troppo presto. Claudia però lo colpì subito per il suo entusiasmo e la sua intelligenza portandolo finalmente a liberarsi di quel blocco che gli impediva di essere felice. Un giorno però, mentre rientravano da una serata al pub con amici, un uomo si avvicinò loro.
Iniziò a fare commenti spiacevoli su Claudia, asfissiandoli con la puzza di alcool e sudore. Quando provò a toccarla Luca non ci vide più. Qualcosa scattò dentro di lui, un ricordo che aveva represso nel profondo del suo essere.  Ricordò due uomini fare irruzione  a casa sua, una notte in cui suo padre era in viaggio di lavoro. Ricordò sua madre che lo nascondeva in un armadio, poi le sue grida e alla fine il sangue che si espandeva dal suo corpo morto. In preda a una rabbia cieca, Luca tornò alla realtà e scacciò l’uomo in malo modo, colpendolo più volte al volto.
Quando però la rabbia fu passata, il ricordo di ciò che era davvero accaduto alla madre lo travolse.  La prima cosa che fece, appena varcata la soglia di cassa, fu chiamare sua padre. Quando la sua conferma arrivò come una condanna, Luca si chiese come avesse potuto dimenticare una cosa tanto orribile.
E mentre Claudia lo abbracciava, tentando di consolarlo, giurò a se stesso che, per quanto male facesse, non avrebbe mai più dimenticato 


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Sepolta viva

lunedì 11 marzo 2013

BUonsalve! Questo racconto è ispirato a una paura che penso siano in molti ad avere: quella di venire sepolti vivi. Buona lettura!

Sepolta viva
(racconto n.192)

Buio. Attorno a lei, Silvie, non c’erano che tenebre. Sentiva della terra sotto le dita e un gelo che le entrava fin nelle ossa. Aveva paura, non ricordava come fosse finita in quel posto, non sapeva nemmeno dove si trovasse.  La sua mente scavò nei ricordi, cercando di andare a fondo nella memoria.
Era appena uscita dall’università, una giornata come tante, piuttosto monotona a dire il vero.
Stava attraversando la strada quando una macchina le venne addosso.
Il dolore fu intenso e improvviso poi ci fu il vuoto. Quando rinvenne vide un medico chino su di lei. Aveva il volto coperto da una mascherina, ma dagli occhi Silvie capì che stava ridendo.
- Che bella bambolina che sei… questo posto non fa per te.
La ragazza sentì le palpebre farsi pesanti. Tutto attorno a lei si fece sbiadito.
- Le bambole come te meritano di stare in una teca di vetro.
Ci fu ancora il vuoto, un vuoto lungo e interminabile dal quale riemerse con lentezza esasperante. Sentì un rumore, come di qualcuno che scavava in maniera insistente.
Quando riuscì di nuovo a vedere bene, scorse un uomo poco distante intento a scavare con una grossa pala. Accanto a lui c’era una bara di vetro, tutt’attorno decine e decine di bare.
Appena si accorse del suo risveglio, l’uomo le si avvicinò. Silvie provò a scappare, ma si rese conto solo in quel momento di essere legata. Cercò di gridare, ma le mani del rapitore si serrarono subito attorno alla sua bocca.
In un attimo lui la sollevò di peso,  spingendola  nella bara. La slegò solo un attimo prima di richiudere il coperchio sopra di lei. Silvie urlò e urlò, ma la bara sembrava attutire tutti i suoni.
Non poté fare altro piangere anche dopo che la terra l’ebbe inghiottita, gettandola nel gelo delle tenebre.


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Perdita e scoperta

domenica 10 marzo 2013

BUonsalve! Ultimamente penso spesso che rinunciare a qualcosa di importante per te può portare a qualcosa di altrettanto bello e importante. A volte non serve avere le ali per volare davvero.

Perdita e scoperta
(racconto n.191)

La rinuncia a volte fa male, ma altre volte può portare a scoperte inaspettate, bellissime.  Lili all’inizio non aveva idea di quanto le avrebbe portato rinunciare a ciò che amava.  Il suo più grande vanto erano le ali, bellissime ali simili a quelle delle farfalle che brillavano di colori cangianti.
Certo tutte le altre fate l’avevano, ma le sue erano così belle da suscitare l’invidia di molte sue compagne.  Al di là della loro bellezza però, Lili amava le sue ali perché la facevano sentire libera, perché volare era ciò che amava di più al mondo.
Un giorno, mentre faceva una dei suoi voli diurni, vide un umano farsi pericolosamente vicino ai confini della loro foresta. Se vi si fosse inoltrato lei e le sue sorelle sarebbero state in pericolo.  Come temeva, l’uomo varcò l’arcata degli alberi. Aveva un arco con sé. Era un cacciatore, la razza di umani peggiore che potesse esistere. Lili lo guardò con odio pronta a fare ciò che doveva per liberarsene.
Si avvicinò dall’alto proprio nel momento in cui lui incoccò una freccia, mirando a una cerva poco distante. La fata stette per aggredirlo, ma l’uomo abbassò subito la propria arama. Un cucciolo si era avvicinato alla cerva e questo lo aveva portato a rinunciare alla caccia.
Il gesto dell’umano colpì molto Lili e la portò a un gesto che non aveva mai pensato di poter fare: salvò l’uomo, annebbiandogli la mente e conducendolo fuori dal loro bosco.
Una delle sue sorelle però vide il suo salvataggio. Invidiosa e subdola, denunciò il suo gesto la consegnò alle fate più anziane. Come punizione la bandirono,  tagliandole le sue bellissime ali.
Lili vagò a lungo ai confini del bosco, piangendo per quella che era come la perdita di una parte della sua stessa anima.  Un giorno però incrociò il cacciatore  che aveva aiutato. Non seppe dire come né perché, ma lui la riconobbe.  Nel suo sguardo, nella sua gentilezza, la fata sentì il dolore farsi meno intenso. Forse aveva trovato qualcos’altro in grado di renderla libera. 


Pubblicato da Unknown alle 11:33 0 commenti  

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