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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

Hanno ucciso la Signora in Giallo

mercoledì 31 luglio 2013

Buonsalve! Avete presente quando si dice che personaggi come la Signora in Giallo o il Detective Conan portano sfiga perché ovunque vanno ci scappa il morto? Beh, per questo racconto mi sono ispirata proprio a questo. Un giorno secondo me faranno perdere la testa a qualcuno XD
P.s. il titolo ovviamente è ispirato alla canzone degli 883 

Hanno ucciso la Signora in Giallo
(racconto n.334)

La chiamavano la “Signora in Giallo Italiana” e questo perché era solita ritrovarsi sempre invischiata in casi di omicidio e delitti efferati proprio come la dolce signora della serie televisiva. Il suo intuito e la sua attenzione ai particolari inoltre l’avevano sempre aiutata a trovare i responsabili degli omicidi più inspiegabili, capaci di mettere in difficoltà anche i detective più abili.
Col tempo la sua fama crebbe e si diffuse ovunque in Italia, tanto che spesso veniva chiamata dalla polizia come consulente. Proprio come nel telefilm però, ogni volta che la vera Signora in Giallo si fermava in un posto per più di una settimana qualcuno finiva ammazzato.
Questo ovviamente non andava molto a genio alle persone del paese in cui lei abitava. C’erano alcuni fermamente convinti che portasse sfortuna e che avevano iniziato ad andare in giro con cornetti e portafortuna che toccavano ogni volta che passavano davanti a casa sua o la incrociavano per strada.
Un giorno la Signora in Giallo se ne stava sul terrazzo di casa sua, leggendo un libro e godendosi il fresco di quella sera primaverile  quando un uomo le si avvicinò.
- Lei è la famosa Signora in Giallo? – le chiese.
La donna chiuse il libro e gli rivolse un sorriso gentile. – Così mi chiamano.
L’uomo la guardò per un attimo poi sul suo volto si dipinse un’espressione di rabbia e disgusto. – È colpa tua… tu, iettatrice!
La Signora in Giallo riuscì a malapena ad alzarsi.
L’uomo estrasse una pistola che teneva nascosta dietro la schiena e le sparò cinque colpi al torace.  La Signora in Giallo morì così e stranamente la sua morte non fu un mistero per nessuno.
Il suo assassino infatti era il padre di una ragazza che era stata uccisa il giorno in cui la Signora in Giallo era arrivata nella loro città per una vacanza.  

Certo l’uomo venne condannato, ma chissà perché furono davvero in pochi a biasimarlo. 


Pubblicato da Unknown alle 13:11 1 commenti  

Al mio assassino

martedì 30 luglio 2013

Buonsalve! Un racconto scritto mentre ero in coda in posta e che trae ispirazione dalla pubblicità del programma “So chi mi ha ucciso”. Buona lettura!

Al mio assassino
(racconto n.333)


Nessuno sa chi sei… non ancora almeno. Io però conosco la tua identità e soprattutto so quello che hai fatto. So delle tue numerose vittime, di come ti sei sempre divertito a seguirle e perseguitarle, di come provavi un sordido piacere nell’entrare nelle loro vite.
All’inizio ti credevo un’ombra, una figura frutto della mia paranoia e della mia ansia. Stavo passando un periodo particolarmente stressante quindi pensavo che la mia mente stesse cominciando a giocarmi brutti scherzi. Poi però ci furono piccoli indizi che mi diedero da pensare: un fiore infilato sotto il tergicristallo dell'auto o nella buca delle lettere, strani messaggi nella mia casella mail o sul cellulare...
Pensai fosse un semplice ammiratore e per un po' ne fui quasi lusingata. Almeno finche non trovasti il modo di entrare in casa mia. Allora infatti ebbe inizio il mio incubo. Iniziai a trovare oggetti spostati o cassetti rivoltati, poi mi accorsi della sparizione di foto e biancheria intima. Chiamai più volte la polizia, ma loro si limitarono a fare dei sopralluoghi sporadici nel quartiere. Poi, di punto in bianco, tutto cessò.   Smettesti di perseguitarmi e dopo diverso tempo cominciai a sperare che ti fossi dimenticato di me. Ciò però non accade. Tu, così metodico e calcolatore volevi che passasse il tempo necessario a far dimenticare queste intrusioni nella mia vita.  Poi tentasti il tuo approccio. Mi aggredisti mentre tornavo a casa, raccontandomi cose di me che non avresti dovuto sapere. Mi hai rivelato di come mi avevi scelta tra tante, di come per te rispecchiassi l'ideale di perfezione e bellezza. Mi hai raccontato di come ti sei intrufolato nella mia vita per cercare di conoscermi e per riuscire a farti amare, di come mi hai seguita e hai approfittato del tuo volto anonimo per parlarmi. La tua dichiarazione mi sconvolse a tal punto da paralizzarmi dalla paura. Fu allora che capisti che, come molte altre prima di me, non ero in grado di comprendere il tuo modo di amare e che quindi non potevo essere quella giusta.
Fu allora che mi colpisti facendomi finire a terra e che tirasti fuori il coltellino con il quale poi mi sfregiasti  il volto strappandomi la pelle delle guance e le labbra.
Il coltellino con il quale poi mi apristi la gola.
Nessuno sa ciò che hai fatto. Nessuno conosce la tua natura malata. Io però so tutto, conosco il tuo viso e la tua perversione. Lo so perché ne sono rimasta vittima, perché nella morte non potrò mai dimenticare il volto e la follia del mio assassino.   


Pubblicato da Unknown alle 12:29 1 commenti  

Per il futuro

lunedì 29 luglio 2013

 Buonsalve! Un racconto scritto pensando ai sacrifici che si fanno per il futuro  e a quello che si è disposti a fare per esso.

Per il futuro
(racconto n.332)

Maila era una donna forte e determinata che col tempo si era fatta un nome nel regno come una delle più abili guerriere mai esistite nonché come la più pericolosa criminale in circolazione. Tutti temevano il suo nome e quello della sua banda, ma più di tutto temevano la sua ira. Perché chi la provocava di solito era qualcuno che la meritava così come meritava anche di essere punito. Per quanto molti la considerassero una fuorilegge, infatti, Maila aveva una morale e un profondo senso della giustizia. In un mondo dove a governare era una dittatura rigida e spietata, quelli come lei non venivano mai visti di buon grado, al contrario venivano braccati e spesso condannati a morte.
Un giorno, durante uno dei suo numerosi spostamenti, Maila finì con i suoi uomini nei pressi di un villaggio piuttosto isolato. Era già stata in quel luogo, ma non avrebbe mai pensato che un giorno vi sarebbe ritornata assieme ai ricordi ad esso legati. Non volle avvicinarsi troppo e sperò che nessuno si accorgesse della loro presenza, ma non fu così. Presto vennero infatti circondati da un folto gruppo di soldati che ordinarono loro di arrendersi e deporre le armi.
Questo ovviamente lei non lo avrebbe mai fatto. Si lanciò al combattimento falciando nemici su nemici, agile, veloce, letale. In un attimo si ritrovò con il volto e la spada sporchi del sangue degli avversari. All’improvviso si ritrovò faccia a faccia con il comandante nemico, un uomo tanto abile quanto spietato. Le dava la caccia ormai da anni e sembrava davvero pronto a tutto pur di catturarla.  Durante lo scontro però Maila capì quanto oltre si fosse spinta oltre la pazzia di quell’uomo.
- Dimmi, riesci ancora a dormire sapendo di avere tante vite sulla coscienza?
- Di che stai parlando? – ringhiò lei.
L’uomo le scoppiò a riderle in faccia. – Davvero non lo sai? Ogni villaggio che ti ha ospitato è stato raso al suolo, i suoi abitanti giustiziati come traditori della patria. Loro hanno pagato per il fatto che tu sei riuscita a sfuggirmi.
Maila si sentì per un attimo mancare il respiro. Ebbe un solo momento di esitazione che permise al suo nemico di ferirla a una spalla.
Barcollando, la donna si tirò indietro, sanguinante. – Sei un dannato assassino!
L’uomo sghignazzò e indicò con la lama il villaggio alle sue spalle. – Vuoi che mi fermi? Lo farò solo se tu ti consegnerai a me. Sappi che ci sono uomini già pronti a radere al suolo anche questo posto.
La donna si bloccò e guardò le abitazioni poco distanti.  Dopo un attimo di silenzio tornò a fissare il comandante.– Darai ai miei uomini la possibilità di salvarsi?
Lui fece un cenno di assenso col capo. – Loro sono pesci piccoli. È solo te che voglio.
Maila ordinò ai suoi uomini di fermarsi e di allontanarsi. Loro all’inizio si opposero, ma lei li fulminò con lo sguardo e gli impose di obbedire.
- Perché? – disse uno di loro con le lacrime agli occhi. – Perché vuoi morire così?
Lei gli rivolse un sorriso gentile. – Per il futuro.
Quando loro si allontanarono, Maila tornò ad affrontare il suo nemico. Sapeva che i suoi compagni non se ne sarebbero andati, ma che sarebbero rimasti con lei fino alla fine, nascondendosi tra la vegetazione per assistere alla sua esecuzione.
Sfidò con lo sguardò il nemico che ghignò, puntandole la pistola alla testa. – Maila Storm in nome della corona io ti condanno alla pena capitale.
Maila sorrise, rivolgendo lo sguardo al villaggio in cui era nata e nel quale, tre anni prima, aveva lasciato a una cara amica la sua unica figlia.
Nessuno sapeva della sua esistenza, ma lei, una volta raggiunta l’età giusta, avrebbe conosciuto la verità su sua madre. Avrebbe saputo che l’aveva abbandonata per proteggerla e che adesso sarebbe morta per salvare la sua vita e quella di tante altre persone.

Quando la pistola fece fuoco il suo ultimo pensiero fu solo per sua figlia e per il futuro che la sua esistenza rappresentava.  


Pubblicato da Unknown alle 10:44 1 commenti  

Una razza ormai estinta

domenica 28 luglio 2013

Buonsalve! Ok, in questi giorni sono in vena di racconti a favore della natura. Ieri ho parlato di animali e oggi… beh vedrete ;)

Una razza ormai estinta
(racconto n.331)


Quando il mio mondo è finito, io ero sulla terrazza più alta della città, in attesa. Sapevo che sarebbe successo. Ero consapevole dell’inevitabilità di ciò che stava accadendo. Tutto è iniziato secoli fa, con la nostra arroganza. Ci credevamo i padroni del mondo, i soli ad avere il diritto di sfruttarne le risorse e di godere delle sue bellezze. Lentamente lo consumammo, espandendo i nostri domini  e sterminando tutti coloro che osavano opporsi alla nostra forza.
Ci siamo diffusi come insetti nocivi, incapaci di fermarci e di renderci conto di quanto stessimo sbagliando. C’è stato chi ha provato a opporsi, ma alla fine anche loro si sono trasformati in fanatici sovversivi che non fecero altro che creare contrasti e aggravare la nostra già fragile situazione.
Mia madre era una di loro, costantemente in contrasto con mio padre che aveva fatto della scienza tutta la sua vita. Li ho visti discutere, litigare e scontrarsi in due fazioni opposte, ormai dimentichi di me e di ciò che un tempo li aveva uniti. Fu durate uno di questi scontri che li vidi morire, su uno schermo al plasma che trasmetteva le immagini degli ultimi disordini locali. Non mi ripresi mai dallo shock.
Poi la fine arrivò. Il nucleo del nostro mondo iniziò a cedere, fontane di lava emersero dal centro del pianeta distruggendo città, vite, speranze…
Io aspettai la morte con la dignità di chi sapeva quello a cui andava incontro. Prima della fine, però, ebbi il tempo di inviare questo messaggio, lasciarlo vagare nello spazio per raggiungere mondi che possono ancora essere salvati. Per raggiungere quel pianeta di cui tanto si racconta nella favole chiamato Terra.
A te, Terreste, io mando il mio appello. Il tuo mondo è descritto nei nostri racconti come il più bello e splendente dell’universo. Abbi cura di lui perché esso non ti appartiene.  Tu sei una sua creatura e senza di esso non faresti altro che diventare come me: un’ombra che continua a esistere solo in un messaggio registrato, un ultimo eco di una razza ormai estinta.  




Pubblicato da Unknown alle 12:36 1 commenti  

Ricordi riflessi

sabato 27 luglio 2013

Buonsalve! Questo racconto mi p stato ispirato da una mostra fotografica naturalistica che ho visitato ieri e che mi ha davvero colpita. A volte è bello e utile ricordarsi che non ci siamo solo noi su questo pianeta.

Ricordi riflessi
(racconto n.330

Era da tanto che Tasha aveva perso consapevolezza di cosa volesse dire vivere libera. Era passato così tanto tempo che ormai la parola libertà aveva perso del tutto significato per lei. Il suo mondo si limitava a un ampia territorio circondato da una recinsione di metallo al di là di un fossato. Una grotta spoglia era l’unico rifugio in cui potersi riparare durante le piogge abbondanti e quella strana acqua ghiacciata che aveva imparato a conoscere e a sopportare durante i suoi primi anni di prigionia.
C’era chi la sfamava, dandole la carne di cui aveva bisogno e questo aveva ucciso qualcosa dentro di lei, una parte importante del suo essere che ogni tanto si faceva sentire, che urlava e chiedeva di essere soddisfatta. Col tempo, Tasha aveva imparato a sopprimere quella parte di sé, riducendola solo a una voce interiore in un’anima assopita.
Ogni tanto però accadeva qualcosa che risvegliava in lei antichi ricordi. Nella sua prigione c’era un ampio specchio d’acqua circondato da diversi alberi. A volte Tasha vi si avvicinava e vedeva nello specchio d’acqua il suo riflesso circondato dagli alberi. Quando si vedeva immersa nel verde, senza alcun riflesso attorno, sentiva riemergere il passato.
Rivedeva se stessa correre libera in spazzi aperti senza limiti né recinti. Ricordava  altri come lei, due compagni con cui formava un gruppo unito in cui potersi sentire a casa.
Poi riemergeva l’istinto della caccia. Ricordava i brividi che provava ogni volta che individuava una pista e l’esaltazione nel momento in cui riusciva a individuare una preda perfetta.
Riportava alla luce quella gelida sensazione di consapevolezza nel momento in cui si preparava a colpire e l’eccitazione mentre si lanciava contro la sua vittima per poi affondare zanne e artigli nella carne.

Quella sensazione, l’istinto selvaggio che s’impadroniva di lei, era una parte importante di lei, che però adesso non poteva soddisfare. Poi ricordava il momento della sua cattura, la paura quando all’improvviso si era ritrovata a dimenarsi e a ringhiare imprigionata in una rete e la tristezza e il dolore di quei primi giorni di prigionia. In quei momenti si rendeva conto di essere come morta e, per non sopportare il dolore di una tale consapevolezza,  si costringeva a dimenticare di essere mai stata libera, di aver vissuto in tempi lontani come una tigre vera e libera.


Pubblicato da Unknown alle 12:38 1 commenti  

Il destino, le coincidenze e la pizza

venerdì 26 luglio 2013

Buonsalve! Un racconto che parla di coincidenze ispirato a una volta in cui ho davvero sbagliato l’ultima cifra del numero della pizzeria e mi sono ritrovata a fare un’ordinazione a uno sconosciuto XD

Il destino, le coincidenze e la pizza
(racconto n.329)


La relazione di Mike e Sandra iniziò per puro caso anche se c’è chi dice che fu il destino a mettersi di mezzo. Tutto ebbe inizio con una telefonata. Sandra voleva solo ordinare una pizza per cena, ma l’ultimo numero, digitato in maniera sbagliata, cambiò tutti i suoi piani. Invece del suo pizzaiolo di fiducia infatti, dall’altra parte della cornetta trovò Mike. All’inizio lei non fece che scusarsi per il suo errore, ma lui, gentile e spigliato, la mise subito a suo agio. Senza quasi rendersene conto iniziarono a chiacchiere e a ridere insieme di tutte le telefonate che lui aveva ricevuto per sbaglio dopo l’apertura di quella dannata pizzeria. Passarono al telefono le successive tre ore, passate le quali Sandra si ritrovò a ridere come una ragazzina. Non avrebbe mai pensato che chiacchierare con uno sconosciuto sarebbe stato così bello.  Una piacevole parentesi nella sua vita quotidiana. 
Una settimana dopo, Sandra uscì con delle amiche e, da amante della pizza qual era, andò con loro in una delle più buone pizzerie della zona.  Quasi le venne un colpo quando, dopo l’ordinazione,  un bel ragazzo che non doveva essere di un paio d’anni più grande di lei si avvicinò con un’espressione sbalordita.
- Sandra?
Lei lo squadrò cercando di ricordare dove lo avesse già incontrato, ma il suo volto non gli diceva assolutamente nulla. – Si… sono io.
Il ragazzo scosse la testa incredulo. – Lo sapevo! Non dimentico mai una voce quando la sento! – esclamò tendendole la mano. – Io sono Mike.
Alla ragazza quasi venne un colpo quando capì chi fosse. Non riusciva a crederci. C’era davvero una possibilità su un milione che potesse accadere una cosa del genere. Gli sorrise e gli strinse la mano con entusiasmo. – Wow…  è… è davvero incredibile.
Mike colse la palla al balzo e le chiese il numero di telefono per poter di nuovo parlare con lei senza però che ci si mettessero di mezzo le coincidenze.

Si sentirono al telefono per molte sere  finché alla fine lui non la invitò a uscire per quello che sarebbe stato il primo di molti appuntamenti. Sandra ci pensò un attimo poi accettò, ma a una sola condizione: doveva portarla a mangiare una pizza.  


Pubblicato da Unknown alle 14:47 1 commenti  

Celebrare ogni nascita

giovedì 25 luglio 2013

BUonsalve! Un racconto scritto in seguito a tutto il caos generato dalla nascita del figlio di William e Kate. Per carità sono felice per loro, ma non bisogna dimenticare anche tutte quelle nascita che non vengono celebrate.

Celebrare ogni nascita
(racconto n.328)

Nessuno ha celebrato la mia nascita. Non ci sono state acclamazioni o feste in pompa magna. Non sono arrivati giornalisti affamati di una foto o di una dichiarazione. Palloncini, festoni, regali… non c’era di tutto questo per me.
Il giorno della mia nascita ad attendermi c’erano solo medici e macchinari. Non un papà commosso né una mamma stanca ed emozionata. Il primo se n’era andato appena saputo della mia esistenza, l’altra era morta per permettermi di nascere.
Mi hanno attaccata a grosse macchine e respiratori, senza alcuna speranza o ottimismo. La mia nascita fu solo un tentativo disperato di rimandare il momento della mia morte. Nonostante tutto però io non ho rinunciato.
Ho combattuto e ho pianto, ho rischiato di spegnermi molte volte, ma altrettante mi sono ripresa. Pian piano sono riuscita a crescere, ho vinto la battaglia contro ciò che mi stava uccidendo.
Non c’era nessuno però per me in quel momento. Nessuno venne a portarmi in una casa accogliente. Ad attendermi fuori dall’ospedale c’erano assistenti sociali e orfanotrofi.
Niente feste, niente gioia. Solo una lotta continua, prima per la vita poi per una casa.
Ma infondo cosa importa? Perché la mia storia andrebbe raccontata?
Sono solo uno dei tanti, un numero che si perde nella massa di disperati che non avranno mai un posto nella storia. Non ho sangue reale nelle vene né una famiglia famosa.
Non so nemmeno quale sia la mia famiglia.
Adesso tutta la mia esistenza è incentrata sulla sua ricerca, sulla ricerca di una casa amorevole e di genitori che sapranno e vorranno celebrare la mia nascita.
Non desidero essere compatita, voglio solo che conosciate la mia storia. Desidero solo che vi ricordiate che per ogni principe che viene al mondo nascono altri mille bambini che devono lottare per una vita e una casa.

Desidero che attraverso me ricordiate che tutte le nascite andrebbero celebrate, ma che non tutti possono permettersi il lusso di farlo.



Pubblicato da Unknown alle 12:01 1 commenti  

Il miracolo

mercoledì 24 luglio 2013


Buonsalve! Questo racconto è nato ieri mattina, durante una passeggiata alla Tesoriera di Torino. Devo dire che ha stuzzicato il mio lato romantico…

Il miracolo
(racconto n.327)

Laila e Marcus si amavano da sempre. Avevano sempre saputo di essere nati per stare insieme e non avevano mai messo indubbio il fatto che insieme avrebbero passato il resto delle loro vite. Il padre di Laila però era di un altro avviso. Promise infatti la ragazza a un potente mago in cambio di una grossa quantità d’oro che gli avrebbe permesso di vivere nell’agio fino alla fine dei suoi giorni. La ragazza però si oppose e il giorno delle nozze tentò di fuggire con il suo amato. Furioso, il mago diede loro la caccia e appena li raggiunse per vendetta trasformò la ragazza in una statua di pietra. Disperato, Marcus si lanciò contro di lui e lo pugnalò al petto.
Ancora sporco del sangue dell’uomo e con il volto rigato da grosse lacrime, il ragazzo si sedette ai piedi della statua che un tempo era stata la sua amata e lì vi rimase, immobile e in attesa di un miracolo che non sarebbe mai giunto o di una morte che non sarebbe arrivata mai troppo presto.
Marcus attese e si consumò finché alla fine non si rese conto che la morte era vicina. Quando ormai la sua mente stava per spegnersi vide una luce intensa, così bella e calda da fargli provare una dolcissima sensazione di pace e sicurezza. La luce lo avvolse e in quel momento Marcus si accorse che il suo corpo non stava affatto morendo: stava mutando.
Lentamente i suoi piedi divennero radici e piccole foglioline apparvero tra i suoi capelli. In pochi minuti egli divenne una pianta d’edera, avvolta attorno alla statua tanto amata.
 Ciò che restava dell’essenza di Marcus riuscì allora a percepire quella di Laila. La gioia lo travolse quando arrivò a toccarla e a fondersi con essa.
I due amanti divennero così un tutt’uno come statua ed edera, come Marcus e Laila, come due giovani separati dall’avidità, ma riuniti in eterno da un miracolo impossibile generato dall’amore di chi era nato per stare insieme.



Pubblicato da Unknown alle 12:47 1 commenti  

Morire Vivendo

martedì 23 luglio 2013

Buonsalve! Questo racconto è stato ispirato dalla tragica morte di Andrea Antonelli ed è dedicata non solo a lui, ma a tutti i piloti morti in pista e a quelli che coltivano la loro passione nonostante i rischi e le sofferenze.

Morire vivendo
(racconto n. 326)

La prima volta che le ho viste correre ho capito che il rombo dei loro motori mi sarebbe rimasto dentro per sempre. Ero ancora un bambino eppure sentivo di aver già trovato la mia strada, di aver trovato il grande amore della mia vita. Ho iniziato con le minimoto per poi passare alle gare minori fino a conquistare il sogno che pensavo irraggiungibile: correre con i grandi, gareggiare con quei professionisti che avevo sempre ammirato e rispettato. Ero diventato un campione tra i campioni e questo mi riempiva di un orgoglio smisurato. Poi ci fu l’incidente.
L’adrenalina della corsa, la pioggia scrosciante, una sbandata e poi il nulla. Non ho avuto nemmeno il tempo di sentire il dolore. È accaduto tutto in un attimo che agli occhi di molti sarà sembrato eterno.
Prima di scorgere la mia luce, ho osservato a lungo i volti di chi ha assistito alla mia morte. Ho visto il dolore e la sofferenza dei miei cari e del mio team, ho scorto le lacrime del pubblico, degli altri piloti e quelle di tutti gli addetti  del circuito.
Poi sono arrivate le polemiche e la rabbia nei confronti di ciò che ho sempre amato. Le discussioni sono diventate più forti del cordoglio. In nome di tutto ciò che ho amato e della vita che ho vissuto e che si è spenta troppo presto vi domando una sola, ultima cosa: basta.
Non usate la mia morte per accusare e criticare la mia passione, non usatela come scusa per attaccare e condannare. Sicurezza, controllo… pensate a questo per tutti i piloti che ancora gareggiano, non per combattere una guerra a mio nome. Ciò che desidero è essere ricordato per ciò che ero e per ciò che ho fatto, per la mia passione e la mia bravura.
Non pensate a me come il pilota morto in pista. Ricordatemi come il ragazzo che ha lottato e si è impegnato per realizzare un sogno, come il bambino che giocava con i modellini delle moto e che è cresciuto con la passione per le corse nel cuore.

Ricordatemi come ciò che ero davvero e ricordate che ho vissuto per ciò che amavo e che, per quanto troppo presto,  sono morto vivendo.


Pubblicato da Unknown alle 11:54 1 commenti  

L'origine della grandine

lunedì 22 luglio 2013

Buonsalve! Un altro racconto ispirato al tempo che parla della possibile origine della grandine. Buona lettura!

L'origine della grandine
(racconto n.325)

Si dice che millenni fa, ai tempi in cui il mondo era ancora giovane, in cielo venne alla luce l’angelo più bello che sia mai stato generato da Dio. Il suo nome era Auriel. Lei era considerata il gioiello del cielo, prediletta da Dio perché dotata di una luce divina più bella e splendente di quella di chiunque altro. Auriel era cresciuta con due angeli: Omael e Azriel. I tre erano molto legati e passavano gran parte del loro tempo insieme. Dopo secoli, però, l’affetto dei due angeli maschili per Auriel si tramutò in un amore profondo, ma se Azriel si accontentava di restarle accanto e di renderla felice, Omael cominciò a desiderare di averla esclusivamente per sé.
Quando perfino la vista di lei al fianco di Azriel cominciò a risultargli insopportabile, Omael capì che il suo amore era diventato un’ossessione e che lei non lo avrebbe mai potuto ricambiare come avrebbe desiderato. Fu per questo che tentò di rapirla per imprigionarla in una torre d’avorio nella quale sarebbe stata sua per sempre. Auriel tentò di ribellarsi e di scappare, ma il desiderio di Omael era tale che niente avrebbe potuto impedirgli di ottenere ciò che voleva.

Appena Azriel capì cosa stava accadendo accorse in aiuto dell’amata, spalancando le ali e mettendosi tra lei e il vecchio amico.  I due angeli iniziarono così un violento combattimento che continua ancora oggi senza un vincitore.  Dal giorno dell’inizio dello scontro, Auriel non fece che versare lacrime di profondo dolore. A volte, il dolore dell’angelo si faceva così intenso che le sue lacrime diventavano di ghiaccio arrivando nel nostro mondo per poi sciogliersi nel calore della pioggia. Così nacque la grandine, memoria di un dolore antico generato dallo scontro di due angeli, scontro che sarebbe durato fino la fine del loro amore o fino alla fine del cielo e del mondo sotto di esso.  


Pubblicato da Unknown alle 11:49 1 commenti  

Ricordi nell'acqua

domenica 21 luglio 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato a un violento temporale che c’è stato la settimana scorsa qui a Torino. Buona lettura! ^,.,^

Ricordi nell'acqua
(racconto n.324)

La Grande Pioggia iniziò in una notte di Marzo come tante. Il temporale si scatenò all’improvviso, con lampi e tuoni così forti da sembrare di essere sotto un bombardamento. Alia ricordava bene quella notte. Aveva quindici anni e aveva passato ore nascosta sotto le coperte, terrorizzata a morte.  Da allora erano passati dieci anni e non aveva smesso un solo giorno di piovere. Era come se il mondo avesse deciso di lavare via tutte quelle cose che non gli andavano a genio.  Alia era riuscita a sopravvivere anche grazie al fatto di essere una straordinaria nuotatrice. Aveva imparato prima a nuotare che a camminare e questo l’aveva salvata molte volte. Spesso infatti, durante le continue alluvioni, era stata costretta a mettersi in salvo a nuoto sia dal clima ostile che da quegli individui che pensavano di poter sfruttare la situazione per fare i loro porci comodi. In dieci anni aveva inoltre cominciato a farsi una reputazione nel suo mestiere. Era diventata infatti una Cercatrice di Ricordi. Il suo lavoro consisteva nel recuperare oggetti  andati perduti sott’acqua. Lo faceva per ottenere del cibo e anche per aiutare la gente a salvare piccoli ricordi della loro vita passata. Un giorno però fece qualcosa che diede maggior senso al suo lavoro. Una signora le chiese di recuperare una foto del figlio morto. Le ci vollero tre immersioni per individuare il salotto della donna e altre due per calcolare il tempo necessario per riuscire a recuperare la foto. Quando la raggiunse e si ritrovò la fotografia davanti quasi soffocò. La afferrò rapidamente e nuotò verso la superficie più velocemente che poteva. Uscì dall’acqua e portò la foto alla donna che le sorrise con gratitudine.
Il volto di Alia però si fece ansioso. – Signora…  - disse tra un respiro e l’altro. – Deve venire con me…
Dopo essersi ripresa, condusse la donna al rifugio improvvisato che divideva con altri ragazzi. Sorrise quando si rese conto di non essersi sbagliata: uno dei suoi “coinquilini” era proprio il ragazzo della foto. La donna barcollò quando rivide il figlio che credeva ormai perduto. I due si abbracciarono e piansero a lungo, ringraziando il cielo e Alia per quel dono inaspettato.

La ragazza sorrise, trattenendo a stento le lacrime.  In quel momento si sentì fiera del suo lavoro come non mai. Sapeva che a volte recuperare piccoli oggetti dall’abbraccio dell’acqua poteva aiutare ad alleviare il dolore per la perdita di una vita, ma non avrebbe mai sperato che un giorno avrebbe potuto anche aiutare a ritrovarla. 


Pubblicato da Unknown alle 13:24 1 commenti  

La pietà della principessa

sabato 20 luglio 2013

BUonsalve. Questo racconto in teoria doveva finire bene poi ha preso una strana piega… La mia mente ogni tanto mi gioca davvero dei brutti scherzi…

La pietà della principessa
(racconto n.323)


In un regno ormai dimenticato, un crudele tiranno aveva gettato la propria terra nel caos e nella disperazione. La violenza e la crudeltà del re non davano tregua alla popolazione che, ormai  ridotta alla fame, aveva abbandonato ogni moralità pur di poter sopravvivere.
Il sovrano aveva una figlia bellissima, il cui animo era l’opposto di quello del padre. Ella infatti soffriva davvero molto per le condizioni atroci in cui viveva la sua gente e avrebbe tanto voluto poter fare qualcosa per rimediare agli errori del padre. La principessa veniva tenuta rinchiusa e isolata, in attesa di raggiungere l’età giusta per poter sposare il perfido generale a cui il re l’aveva promessa e che sarebbe diventato re dopo di lui.  Un giorno però un giovane ladro tentò la folle impresa di rubare nel palazzo reale. Venne scoperto e durante l’inseguimento finì nelle stanze della principessa.  Il ladro rimase abbagliato dalla sua bellezza e, vedendo il suo volto triste, si offrì di realizzare un suo desiderio. Ciò che la ragazza gli chiese lo lasciò senza parole.
Il ladro aveva una sua morale e se c’era una cosa a cui teneva era la parola data quindi decise di esaudire quella richiesta e di tentare un’impresa apparentemente impossibile: uccidere il perfido tiranno. Il ragazzo riuscì a intrufolarsi di nuovo nel palazzo e, grazie anche all’aiuto delle dame di compagnia della principessa,  a raggiungere le stanze reali. Appena il re lo vide urlò per attirare l’attenzione delle guardie, ma non arrivarono in tempo: il ladro, con in mente il volto della bella principessa, pugnalò il sovrano più e più volte. Non scappò quando i soldati si lanciarono su di lui. Sapeva che lo avrebbero arrestato, ma che la principessa, ormai diventata regina,  lo avrebbe liberato il prima possibile come segno di ringraziamento per il suo aiuto. Ciò però non accadde.  Prima di essere portato sulla forca, il ragazzo venne condotto al cospetto della regina. Quando la vide capì che la mente della sovrana era contorta e crudele come quella del padre.  La sovrana infatti lo ringraziò per averle dato la possibilità di salvare il suo popolo dalla povertà e dal dolore.


Il giovane ladro morì poco dopo nella disperazione, consapevole della tragedia  che aveva portato nella sua terra e della morte che la sovrana avrebbe scatenato. Presto infatti avrebbe dato l’ordine di sterminare ogni abitante del regno per poter porre definitivamente fine alle loro sofferenze. 


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Canto ribelle

venerdì 19 luglio 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è stato ispirato da una canzone. Si tratta di Hoist the colours, la canzone piratesca che si sente all’inizio del terzo film dei “Pirati dei Caraibi.” Per il titolo riprende quello del terzo volume della saga di Hunger Games. Buona lettura. ^,.,^

Canto ribelle 
(racconto n.322)


Non avrei mai pensato che avrei assistito al momento in cui si sarebbero decise le sorti della nostra ribellione. Per anni avevamo vissuto nell’ombra, combattendo contro un governo che avrebbe fatto di tutto pur di imprigionare le nostre speranze, pur di renderci schiavi della loro volontà ottusa e bigotta. Presto però le cose sarebbero cambiate. Al fianco dell’uomo che amavo e dei miei compagni, combattei di strada in strada contro soldati che forse non volevano obbedire quanto noi, ma che, a differenza di noi, non avevano scelta. I nostri amici caddero uno ad uno, ma nessuno si arrese. Nei pressi del parlamento però, uno sbarramento di soldati armati di grossi fucili bloccò la nostra avanzata. Fu un massacro. Quando aprirono il fuoco il rombo dei fucili mi assordò completamente poi arrivò al dolore, atroce e insopportabile all’altezza della spalla. Caddi a terra, ferita e consapevole: nessuno di noi sarebbe sopravvissuto. Con metà del viso nel fango, aprii gli occhi e vidi il cadavere del mio amato accanto a me. Lo avevano colpito in piena fronte. Non riuscii a trattenere le lacrime né la rabbia che in un attimo si riversò su di me. Non poteva finire così,  non lo avrei permesso. Non so  perché mi tornarono in mente le parole del canto che aveva dato inizio a tutto, le parole che, diffondendosi di bocca in bocca, avevano riunito me e i miei compagni nella lotta. La voce all’inizio mi uscì flebile, a malapena udibile.  Con uno sforzo immane mi rimisi in piedi mentre la mia canzone si faceva sempre più forte. Quasi rimasi sorpresa nell’udire un’altra voce unirsi alla mia  poi un’altra e un’altra ancora… In un attimo il nostro canto si diffuse nell’aria, forte come non lo era mai stato. Parole di libertà e unione vibrarono trasportate dal vento, animate dalla volontà di chi era pronto a tutto, perfino a morire per difendere quella libertà. Seguiti da quel canto, io e i miei compagni avanzammo, feriti e sporchi, cadaveri che non si sarebbero mai arresi alla morte.  La mia voce si fece più forte che mai quando vidi i soldati puntare nuovamente le armi.  Con tutta la rabbia e la paura che avevo in corpo, alzai il pugno al cielo e li sfidai con la mia voce. Poi ci fu di nuovo il rombo degli spari. L’ultima cosa che sentii fu un dolore intenso al petto. Caddi in ginocchio consapevole che non mi sarei più rialzata. Mentre morivo però scorsi gli abitanti della capitale guardarci con le lacrime agli occhi. Quelle lacrime mi infusero una dolce sensazione di speranza. In un modo o nell’altro avevamo toccato i cuori di quella gente e avevamo lasciato un segno che avrebbe portato una rinascita. In un modo o nell’altro non eravamo morti invano.


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L'incidente

giovedì 18 luglio 2013

Buonsalve. Un racconto scritto pensando all’inevitabilità, a come certe disgrazie siano inevitabile, ma allo stesso tempo  pensando a come alcune persone riescono a cambiare e a migliorare la nostra vita anche facendone parte solo per un breve periodo.

L'incidente
(racconto n.321)

James si era chiesto come sarebbe stata la sua vita se non avesse avuto l’incidente, se non fosse stato costretto a rinunciare allo sport e non fosse caduto nel baratro dell’alcolismo. All’inizio era stata la disperazione a portarlo a bere, l’angoscia e la sofferenza per quel ginocchio che non sarebbe mai più tornato quello di un tempo.
Si era attaccato alla bottiglia perché voleva smettere di pensare, dimenticare che non sarebbe mai più tornato a essere se stesso, che gli anni passati ad allenarsi e a versare sangue e sudore erano svaniti assieme a tutte le sue speranze di diventare un campione. Pensava che se avesse trovato il modo di non pensare allora sarebbe riuscito a sopportare la perdita di tutta la sua vita.

Si era gettato così in un baratro apparentemente senza fine fatto di giorni in preda alla nausea e allo stordimento e notti delle quali non ricordava nulla e che si concludevano spesso con un brusco risveglio al fianco di una sconosciuta. Un giorno però capì che le cose sarebbero dovute cambiare. Era di nuovo ubriaco ed era riuscito a mettere le mani sulle chiavi che il barista gli aveva sequestrato dopo aver bevuto. Stava tornando a casa quando all’improvviso si ritrovò un ragazzo davanti alla macchina. Non ricordava da dove fosse sbucato. Ricordava solo che all’improvviso fu costretto a sterzare bruscamente e che un attimo dopo si ritrovò addosso a un albero. Fu come rivivere il momento dell’incidente solo che questa volta era lui il pirata che aveva rischiato di stroncare la vita di un ragazzo. Quel ragazzo però si salvò e anzi corse ad aiutarlo a uscire dalla macchina. Il suo nome era Alex. Quello sconosciuto gli rimase vicino, attese i soccorsi e lo accompagnò in ospedale. Lo aiutò perfino ad affrontare le conseguenze per aver guidato in stato di ebrezza. James scoprì solo poco dopo che il padre del giovane era morto a causa dell’alcool, lo scoprì quando si rese conto che non lo avrebbe lasciato finché non si fosse disintossicato, che la sua determinazione andava ben oltre la semplice bontà d’animo. Fu per questo che dopo tre mesi di sobrietà decise di andare da lui per ringraziarlo, per fargli capire quanto il suo sostegno fosse stato importante. Mentre stava per raggiungere l’abitazione di Alex però si ritrovò davanti a un incidente stradale. Quasi si sentì morire quando vide l’amico riverso a terra e l’ubriaco che scendeva barcollando dalla macchina che lo aveva investito. James non riuscì a trattenere le lacrime. Alex era scampato all’incidente d’auto che lui aveva rischiato di provocare, ma non era scampato a quello. Era morto come sarebbe dovuto morire per colpa sua mesi prima.  Salvandosi quell’unica volta aveva solo ritardato un evento inevitabile, ma aveva fatto molto di più: in qualche modo, aveva rimandato il proprio destino per salvare per sempre il suo e James  per questo lo avrebbe onorato per il resto della sua esistenza.


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Il persecutore

mercoledì 17 luglio 2013

Buonsalve! Un racconto delirante sulle paranoie e i problemi psichici legati all’eccessivo consumo di droga. Buona lettura!

Il persecutore
(racconto n.320)

Uno spasmo e gli occhi di Mitch iniziarono a muoversi freneticamente alla ricerca di quel maledetto, il persecutore che continuava a seguirlo e tormentarlo. Era iniziato tutto all’improvviso.  Stava tirando una pista di coca come era solito fare ormai da una vita e all’improvviso lo aveva visto. Se ne stava davanti a lui e lo fissava con occhi da psicopatico che gli misero addosso un’ansia e un terrore devastanti.  All’inizio aveva provato a sopportare la sua presenza, a sopportare quello sguardo così fastidioso e insistente che non faceva che giudicarlo e angosciarlo.
- Lo vedi Damon? – sibilava al suo migliore amico un giorno che stavano andando insieme in cerca di droga. – Lo vedi come mi guarda? Oh…. Se solo trovassi il modo… se solo potessi liberarmene…
Ogni parola era sempre seguita da uno spasmo incontrollato che gli deformava il volto in una smorfia.
- Tu sei partito, fratello. – gli rimbeccava l’amico. – Se vuoi che se ne vada perché non gli dici semplicemente di andarsene. Perché non lo cacci?
- Ci ho provato. – continuò Mitch tra uno spasmo e l’altro. – Ci provo ogni giorno. Eppure lui non se ne va… si arrabbia con me e insiste a restare a fissarmi in quel modo.
Una settimana dopo, Damon si presentò a casa sua, gongolando. – ho trovato il modo per liberarti del tuo persecutore! – sghignazzò chiaramente strafatto. – Usa questa. Vedrai che funziona.
Mitch si rigirò tra le mani la pistola che l’amico gli aveva dato. La sua bocca si piegò in un ghigno deforme. – Sì…. Questa funzionerà! Questa funzionerà!
In quel momento alzò gli occhi e sfidò con lo sguardo il persecutore. Non si mise a urlare ne si arrabbiò.  Si limitò a continuare a sghignazzare poi si puntò la pistola alla tempia.
Il suo persecutore, riflesso sul vetro della finestra, fece lo stesso.
-Addio idiota. – sghignazzò Mitch premendo il grilletto. La fine di quel fastidioso persecutore col suo stesso volto fu l’ultima cosa che vide prima di morire colmo di soddisfazione.




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Problemi col cibo

martedì 16 luglio 2013

Buonsalve! Un racconto sul cibo e sulla mia convinzione che, se qualcuno ha un problema con esso, non bisogna mai voltare la testa e lasciar correre, ma fare di tutto per aiutarlo a capire il suo problema e ad affrontarlo.

Problemi con il cibo
(racconto n.319)

Marie aveva passato tutta la vita a combattere con il cibo. Insicura e vanitosa, per lei avere un aspetto impeccabile era tutto e questo la portava a privarsi di ogni cosa potesse in qualche modo intaccare la sua linea. Non aveva mai assaggiato un pezzetto di cioccolata né aveva la più pallida idea di che sapore avesse la pizza e ogni volta che usciva con il suo gruppo di amici si portava appresso gallette di riso o bevande dietetiche per farsi passare la fame. All’inizio loro avevano provato a distoglierla dalla sua ossessione, ma dopo un po’ avevano rinunciato preferendo lasciarla perdere ed evitare di invitarla a pranzo o di offrirle da mangiare. Un giorno nel loro gruppo entrò anche Rich, un ragazzo dalla corporatura un po’ robusta che adorava con tutto se stesso il cibo. Amava le grandi abbuffate o anche solo sedersi a tavola con gli amici per mangiare e ridere in compagnia. Per lui mangiare non era solo una necessità, ma un rituale da compiere ogni giorno con le persone a cui voleva bene. A Marie non andava a genio. Anche lui si era accorto del suo astio per il cibo, ma sembrava non voler in alcun modo accettare la cosa. Ogni volta che si incontravano lui insisteva a provare ad offrirle il pranzo o anche solo un gelato. Questo non aveva fatto che aumentare il già eccessivo nervosismo della ragazza che ormai usciva sempre meno col suo gruppo di amici. Smise del tutto di uscire quando ebbe un malore durante un giro in centro. Svenne in mezzo alla strada e questo le impedì di uscire per molto tempo.
Per quanto la seccasse, allontanarsi per un po’ da quel disgustoso mangione era un sollievo. O almeno così pensava fino al giorno in cui lui non si presentò a casa sua con un una mega scorta di cioccolato.
 A quel punto perse definitivamente la testa. – Smettila di rompermi le palle! – urlò. – Io non voglio mangiare quella roba è chiaro? Non mi interessa!
Lui allora incrociò le braccia al petto e la sua aria da bonaccione cedette il posto a un’espressione dura e severa. – Se non vuoi mangiare cioccolato allora mangia qualcos’altro! Non puoi andare avanti così e lo sai! Devi mangiare!
- Vuoi che mangi? – continuò a strillare lei. – Va bene ne mangio un pezzetto così almeno smetterai di rompere!
Detto questo staccò un pezzettino minuscolo di cioccolato e se lo mise in bocca. Quasi non fu in grado di descrivere la scossa che attraversò il suo corpo nell’assaporarlo. Sentì le lacrime salirle agli occhi e a stento riuscì a trattenere un sorriso.
Rich si accorse della sua  reazione e a stento riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere. La salutò e se ne andò lasciandole il cioccolato. Da quel giorno il rapporto di Marie col cibo cominciò a cambiare. Pian piano si rese conto di avere un problema e decise di rivolgersi a una psicologa per farsi aiutare. Fu sempre grata a Rich per non essersi arreso con lei. Col tempo iniziarono a frequentarsi e a uscire assieme.

Otto anni dopo il loro pranzo di nozze fu un vero e proprio banchetto. 


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Il sorriso dell'assassino

lunedì 15 luglio 2013

Buonsalve! Questo è uno di quei racconti che ti saltano in mente appena apri  gli occhi la mattina. Spero vi piaccia. Per quanto riguarda l'immagine... beh un piccolo omaggio a un personaggio che adoro. ^,.,^

Il sorriso dell'assassino
(racconto n.318)


Quando Rise arrivò nel piccolo villaggio di Luncher nessuno badò più di tanto a lui. Era solo un uomo come tanti, un viandante senza soldi con un sorriso da idiota e l’entusiasmo di un ragazzino. Arrivò  all’improvviso, chiedendo un lavoro alla locanda  centrale in cambio di cibo e alloggio. Lo assunsero come tutto fare e per un po’ visse in tranquillità e nell’anonimato, conquistandosi la simpatia di tutti gli abitanti. In particolare, Rise legò molto con Albia, figlia del locandiere che lo ospitava. I due passavano molto tempo assieme e col tempo tra loro si creò una complicità molto profonda. Per quanto lui non parlasse mai di sé, lei lo considerava un caro amico al quale confidare speranze e desideri. Dal canto suo, Rise ammirava molto l’entusiasmo e il carattere vivace di quella ragazza che sognava di viaggiare e vivere avventure straordinarie in giro per il mondo. La trovava meravigliosa quando il suo sguardo si perdeva all’orizzonte e gli occhi le si illuminavano nell’immaginare il futuro. Un giorno però quello sguardo si spense per sempre. Una sera, Albia andò ai margini del villaggio per portare da mangiare a un’amica impossibilitata a muoversi di casa. La ritrovarono a un lato della strada con i vestiti strappati e il corpo sporco di sangue. Fu Rise a riportarla a casa e ad accudirla quella notte mentre il padre, disperato, meditava vendetta nei confronti dei porci che le avevano fatto una cosa tanto orribile.
Il giorno dopo quei mostri si presentarono alla locanda.  Erano tre banditi che si comportavano come se fossero i padroni del mondo.  Rise e il locandiere li tennero d’occhio fin da quando misero piede nel locale. All’inizio li lasciarono stare, ma quando i tre iniziarono a vantarsi della ragazza che avevano “accudito” la notte prima il padre di Albia perse la testa.
Li aggredì, cercando di colpirli con un coltello, ma uno di loro lo sbatté contro il bancone puntandogli una pistola alla tempia. Il bandito si ritrovò con la gola squarciata tre secondi dopo. In un attimo, Rise lo aveva raggiunto e ucciso con un grosso pugnale dalla lama ricurva poi era scattato verso gli altri due e li aveva sventrati senza battere ciglio, con una maestria inumana.  Gli abitanti del villaggio presenti quasi non lo avevano visto muoversi.
Il padre di Albia si alzò e rimase per un attimo a fissarlo, soffermandosi a lungo sul pugnale insanguinato affilato quasi quanto lo sguardo del suo proprietario,  uno sguardo spietato ancora traboccante d’ira. L’arma aveva l’elsa di un rosso intenso che quasi si confondeva col sangue che l’imbrattava.
- Tu sei…
Rise fece un cenno di assenso col capo. Per un po’ aveva sperato di essersi liberato del suo passato, della sua natura di assassino e dalla violenza che aveva da sempre segnato la sua vita. Ora avrebbe dovuto affrontare anche quegli uomini che aveva iniziato a considerare amici.
- Scappa. – disse il padre di Albia senza esitazione. – Va via prima che arrivino le guardie.
Rise guardò sbalordito prima lui poi tutti i presenti che lo incitavano a mettersi in salvo. La sua rabbia si dissolse e la sua espressione spietata cedette il posto a un sorriso da ragazzino, un sorriso che gli illuminò il viso e che sprizzava entusiasmo. – Dite ad Albia che mi dispiace e… grazie di cuore per tutto!
Se ne andò  lasciandosi alle spalle i soli mesi di felicità avuti nella vita. Per la prima volta in vita sua, Rise l’Assassino versò una lacrima di dolore.




Pubblicato da Unknown alle 10:21 1 commenti  

Chissà cosa direbbe Samantha.

domenica 14 luglio 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato da una chiacchierata su una blogger realmente esistente (che, preciso, non è quella della foto). Ovviamente non le auguro minimamente una cosa del genere. Si tratta di un racconto scritto per sfizio quindi se siete delle blogger… beh non prendetevela, ok?

Chissà cosa direbbe Samantha.
(racconto n.317)

Samantha era una blogger molto famosa che scriveva consigli e novità nel campo della moda e dell’abbigliamento. Il suo blog “Chissà cosa direbbe Samantha” riceveva ogni giorno migliaia di visite e messaggi con domande e complimenti ai quali lei rispondeva puntualmente.
Col tempo, la donna divenne sempre più popolare e spesso veniva invitata a sfilate o a inaugurazioni di negozi di abbigliamento che speravano in una recensione o anche solo in una citazione favorevole nel suo blog.
Samantha però era spietata e man mano che andava avanti lo divenne sempre più tanto che erano in molti ormai ad essere stati danneggiati da una sua stroncatura e ovviamente erano anche in molti a detestarla. Lei  però non ci faceva caso. In fondo si limitava a esprimere il proprio parere in maniera schietta e decisa, senza imporre il proprio pensiero a nessuno.
Non faceva nemmeno caso a tutti gli insulti e le mail minatorie che riceveva dai sui detrattori. Un giorno però accadde qualcosa che non avrebbe mai potuto prevedere.
Stava aggiornando il blog quando qualcuno suonò alla porta. Visto che aspettava la consegna di una pizza non pensò di chiedere chi fosse. Quando aprì si ritrovò davanti a un uomo mingherlino che la fissava con sguardo allucinato. La donna riconobbe subito uno stilista del quale aveva assistito a una sfilata recentemente. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma lui l’aggredì portandole una mano alla gola e colpendola con l’altra con un paio di forbici da lavoro.
- Maledetta troia! – urlò lui. – Mi hai rovinato! Mi hai rovinato!
L’uomo continuò a colpirla sfregiandola e allargando le ferite già aperte.  Per lunghi momenti, Samantha non sentì che dolore poi, lentamente, cominciò a non sentire più il proprio corpo.  Morì guardando il suo computer con una lacrima di rimpianto che le rigava il volto.

Poco dopo su “Chissà cosa direbbe Samantha” apparve una foto della donna maciullata riversa nel sangue. Sotto di essa una sola frase: “ora non potrà dire più niente.”

 Il blog raddoppiò il numero di visite in pochissime ore.


Pubblicato da Unknown alle 12:05 1 commenti  

Ciò che ti devo

sabato 13 luglio 2013

Buonsalve! Avendo giocato molto a carte ultimamente con mia nonna e mia cugina, ho deciso di scrivere un racconto su una partita a carte con un finale non proprio “lieto”. Buona lettura!

Ciò che ti devo
(racconto n.316)

Quando Jack entrò nella stanza calò un silenzio inquietante. I tre uomini seduti al tavolo si voltarono verso di lui, squadrandolo dalla testa ai piedi come se fosse un animale selvatico scappato dalla propria gabbia.
L’aria era satura dell’odore del fumo di sigarette e di birra, sul tavolo fiche per migliaia di euro erano sparpagliate un po’ ovunque.
- Sei in ritardo. – disse uno dei tre iniziando a mischiare un mazzo di carte.
Jack si limitò a sorridere e si sedette nell’unico posto libero. – Beh, allora non perdiamo altro tempo.
I suoi occhi di ghiaccio si posarono sugli altri tre giocatori, apparentemente privi di emozioni e indifferenti a quanto stava accadendo. La sua attenzione era rivolta in particolarmente a uno di loro, un omaccione sulla quarantina col fisico da lottatore professionista e lo sguardo eternamente incazzato. La partita iniziò e, mano dopo mano, le fiche davanti a Jack cominciarono ad aumentare.  La sorte però girò a suo sfavore quando in una sola mano, l’omaccione lo privò praticamente di metà dei suoi soldi. Due mani dopo era stato spennato del tutto.  L’uomo se la rideva, beffandosi di lui con un’irritante aria compiaciuta. – Avanti paga, damerino! Tira fuori i miei soldi!
Jack allora infilò una mano in tasca e con rapida eleganza gli lanciò qualcosa. L’uomo ci mise un po’ a capire che si trattava di una foto e ancor di più a rendersi conto che lui quella ragazza l’aveva già vista.
Non riuscì nemmeno ad alzarsi dalla sedia.
Rapido e letale, Jack gli sparò a entrambe le gambe e lo fece finire a terra mentre gli altri due assistevano alla scena paralizzati dal terrore.
- Ecco ciò che ti devo, porco. – sibilò Jack avvicinandosi e sparargli un colpo dritto nelle palle. – Per quello che le hai fatto.
L’uomo urlò e si dimenò, piangendo come un bambino inerme
Un ultimo colpo lo freddò  aprendogli un buco in fronte.
Jack guardò gli altri due uomini, uno dei quali era caduto dalla sedia per la paura e lo fissava seduto su una pozza della sua stessa urina.
Erano solo dei vigliacchi. Non avrebbero parlato e anche se lo avessero fatto ciò che sapevano di lui era solo un’elaborata menzogna. – Tenete pure i soldi. – disse solamente.

 Se ne andò lasciando a loro il compito di ripulire, soddisfatto per aver finalmente ottenuto vendetta.


Pubblicato da Unknown alle 11:57 1 commenti  

Pinguino Assassino

venerdì 12 luglio 2013

Buonsalve! Un racconto scritto perché adoro i pinguini e perché adoro scrivere storie un po’ truculente…buhahahahah! XD  

Pinguino Assassino
(racconto n.315)

Danielle adorava i pinguini. Peluche, presine, lenzuola, pupazzetti… ogni cosa che raffigurasse in qualche modo un pinguino lei lo comprava. Ne aveva la casa piena e la sua collezione non faceva che ampliarsi giorno dopo giorno. Un giorno però fece un incontro davvero inaspettato.
Stava camminando per strada leggendo sul giornale di alcuni violenti omicidi avvenuti in città, omicidi nei quali sembra che le vittime siano state sbranate vive, quando un verso acuto attirò la sua attenzione. Danielle rimase meravigliata nel vedere, nascosto dietro alcuni cassonetti, un piccolo pinguino che si agitava nervoso.
La ragazza rimase a dir poco meravigliata. Si avvicinò pian piano alla creaturina e la raccolse, portandola a casa. Le ci volle un po’ per capire come potersene occupare al meglio. Decise di consultare internet grazie al quale imparò come prendersi cura del pinguino. Quasi non le sembrava vero che potesse esserle capitata una cosa del genere! Il problema però arrivò quando si rese conto che, per quanto cercasse di dargli del pesce sempre fresco, il pinguino non sembrava aver alcuna voglia di mangiare. Rimase tre giorni senza toccare cibo, tre giorni in cui Danielle non fece che preoccuparsi. Forse, pensava, era il caso di chiamare qualcuno di più esperto. La sera del terzo giorno il pinguino zampettò nella sua camera e saltò sul suo letto. Lei sorrise e gli fece spazio, ma l’animale si limitò a fissarla con uno sguardo che sembrava vivo. Un attimo dopo scatto in avanti e la beccò alla gola. Danielle non fece in tempo a urlare, non sentì nemmeno il dolore. Vide solo un brandello della propria carne nel becco dell’animale poi iniziò a soffocare col suo stesso sangue mentre il pinguino cominciava a sbranarla viva.


Dopo un po’ la ragazza smise di dimenarsi e il pinguino lasciò la stanza dalla finestra aperta, emettendo versi di soddisfazione per essersi finalmente sfamato.


Pubblicato da Unknown alle 14:05 1 commenti  

La donna in rosso

giovedì 11 luglio 2013


Questo racconto mi è stato ispirato dal dipinto che ho aggiunto in fondo al racconto (e non dalla ragazza col vestito rosso di Matrix XD). Spero vi piaccia ^,.,^

La donna in rosso
(racconto n.314)

A volte in una via della quale per sicurezza non possiamo svelare il nome, nelle giornate di pioggia intensa, quelle più grigie in cui a malapena si riesce a vedere le davanti a sé, si dice che sia possibile scorgere una donna vestita di rosso passeggiare sotto un ombrello nero. Si dice che sia la donna più bella che esista, con un corpo morbido e desiderabile, lunghi capelli scuri e labbra carnose. Non molti conoscono questa leggenda perché non tutti quelli che l’hanno vista infatti sono sopravvissuti. La donna infatti è solita divorare l’anima di tutti coloro che si perdono nel suo sguardo. Liam aveva scoperto della donna in rosso da un vecchio diario di un collega. La sua curiosità di detective lo spinse a voler scoprire di più su questa strana storia. Nella zona infatti erano avvenute diverse sparizioni  e lui voleva scoprire se fossero in qualche modo legate a questa misteriosa leggenda. Pensava infatti che qualcuno, magari un uomo con una complice ben preparata, stesse traendo ispirazione da essa per rapinare e uccidere delle vittime incoscienti.  Le sparizioni si ripetevano ciclicamente per questo, un giorno di pioggia di quattro settimane dopo l’ultima sparizione, Liam decise di recarsi nella via dove era solita apparire la donna in rosso. Dopo le prime due ore, stretto nell’impermeabile e rintanato sotto l’ombrello, cominciò a pensare che fosse tutto inutile, che avesse preso un grosso abbaglio, ma all’improvviso il rumore di tacchi che si avvicinavo lo portò a voltarsi.  Liam s’immobilizzò quando la vide arrivare. Era davvero la donna più bella che avesse mai visto, dotata di un fascino misterioso e seducente che gli impediva di distogliere lo sguardo. Poi lei alzò lo sguardo verso il detective e fu come se per lui niente avesse più significato. Gli occhi della donna erano di un colore ambrato, inumano, profondo come una voragine dorata.
Il mondo perse improvvisamente i suoi contorni e Liam si ritrovò a pochi passi dalla donna che in un attimo accorciò la distanza tra loro e gli sfiorò le labbra con un bacio.

Fu allora che l’uomo capì che la leggenda era vera, che lei era davvero una divoratrice di anime. Sentì come se una forza misteriosa gli stesse portando via tutto il suo essere a partire dai suoi ricordi più cari. Presto di lui non rimase che un guscio vuoto che si ridusse in polvere non appena finì a terra, spinto dal bellissimo mostro che si allontanò nella pioggia, avvolto nel suo abito rosso. 


Pubblicato da Unknown alle 12:57 1 commenti  

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