Buona domenica!
Ecco a voi una favola nella quale senza volerlo (giuro che è così) ho finito con l'inserire una piccola morale non per i bambini, ma per gli adulti: bisogna sempre dire ai propri figli (o in questo caso nipoti) le cose come stanno. Certo bisogna usare le parole e il modo giusto, ma nascondendo loro certe cose come potrebbero affrontarle nel momento in cui si troveranno a viverle?
L'unicorno carnivoro
(racconto n.30)
C’era
una volta una bambina di nome Amelie che viveva in un piccolo villaggio assieme
alla nonna. Fin da quando era piccola, la
piccola aveva sempre amato le favole.
Che
fossero fate bellissime che danzavano tra i fiori o folletti dispettosi pronti
a farti perdere tra gli alberi, era sempre rimasta incantata dalle creature
meravigliose delle storie che sua nonna era solita raccontarle. Lei però aveva
sempre desiderato poterne incontrare una in particolare: l’unicorno bianco.
Secondo
quanto le era stato raccontato infatti, nella foresta abitava un bellissimo unicorno
dotato di poteri incredibili. Nessuno lo aveva mai visto. Si sapeva della sua esistenza
solo per via di fugaci apparizioni che la creatura faceva ai margini del bosco.
Per
anni Amelie aveva fantasticato di poterlo vedere finché, compiuti dodici anni,
non decise di andare nella foresta a cercarlo. Si alzò all’alba e partì di
nascosto portandosi dietro solo un po’ d’acqua e del pane per la colazione.
All’inizio
le ombre cupe della foresta la spaventarono, ma dopo un po’, quando il sole fu
più alto, si rese conto di sentirsi molto a suo agio tra gli alberi che avevano
fatto da cornice a molte delle sue favole. Le ore passarono senza che Amelie
riuscisse a trovare traccia dell’unicorno.
Stanca
e demoralizzata, cominciò a pensare che forse si trattava davvero solo di un’animale
da favola.
All’improvviso
però, con sua grande meraviglia, lo vide: era un cavallo bianco dal portamento
fiero e maestoso con un lungo corno argentato al centro della fronte. L’animale
si stava abbeverando in una pozza d’acqua, ma alzò subito la testa appena lei
fece un passo avanti.
In
quel momento Amelie notò delle macchie
scure sul manto candido. Temendo fosse ferito, la bambina si avvicinò con cautela.
Appena
riuscì a sfiorarlo però l’unicorno nitrì, mostrando una fila di denti acuminati.
La bambina guardò terrorizzata le zanne chiudersi sul suo braccio e strappare
un grosso brandello di carne mentre il dolore lancinante le strappava un grido.
Non
ebbe nemmeno il tempo di provare a scappare. La creatura la azzannò alla gola,
mangiando avidamente un altro pezzo di carne.
Amelie
morì, sola e spaventata, ignorando che la nonna, per non spaventarla, aveva omesso una parte
fondamentale della storia dell’unicorno che era solito divorare chiunque gli
andasse troppo vicino.
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