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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

In attesa di vendetta

venerdì 29 marzo 2013

Buonsalve! Questo racconto nasce da alcune mie riflessioni sulla vendetta. È giusto, secondo voi, vendicarsi di qualcuno che ha commesso un crimine orribile nei nostri confronti nel momento in cui la giustizia non compie il proprio dovere?

In attesa di vendetta
(racconto n.210)

Raramente le attese sono piacevoli. Spesso sono solo lunghi momenti di angoscia in cui non possiamo fare altro che star fermi e aspettare. Io lo so perché l’attesa è stata una vera agonia.
A lungo ho aspettato il momento in cui avrei visto la persona che mi aveva portato via la mia famiglia pagare per i suoi crimini, in cui avrei ascoltato la condanna dell’assassino che una notte di due anni fa entrò in casa mia e massacrò mia moglie e mia figlia solo per poter rubare quelle poche cose di valore che avevamo. Quel bastardo venne arrestato dopo  diversi giorni e il processo durò così a lungo da farmi credere che fosse una sorta di punizione per non essere stato in grado di proteggere le mie amate. La paura che quel bastardo non pagasse per il suo crimine era una tortura straziante. Quella paura si trasformò ben presto in un’orribile certezza. Il responsabile della morte di mia moglie e di mia figlia venne scarcerato per insufficienza di prove.
Io però sapevo che era stato lui, nonostante il passamontagna avrei riconosciuto quegli occhi gelidi e spietati ovunque. I giorni successivi furono come una lenta e straziante agonia per me.
Non potevo credere che quel mostro fosse libero, che potesse crogiolarsi nella soddisfazione di averla fatta franca. In ogni momento io rivedevo nella mia mente quella maledettissima notte e poi il sorriso di quell’uomo nel momento in cui venne liberato. Cominciai a fare pensieri orribili, a immaginare i mille modi in cui avrei potuto ammazzare quel verme.
Mi ci volle parecchio tempo per riuscire a reprimere tutta quella rabbia, ma il desiderio di vendicarmi continuò a torturarmi come un tarlo invisibile. Poi, dopo diversi mesi, lo vidi.
Se ne stava seduto a un bar e rideva con un gruppo di amici come se niente fosse successo. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rimasi nascosto finché, ubriaco e stanco, l’assassino non si avviò verso casa. Lo seguii fino al suo appartamento e m’intrufolai nell’abitazione così come lui aveva fatto nella mia anni prima. Silenzioso, sfoderai il coltello, la lama che mi ero imposto di portare sempre con me. Lo colsi sotto la doccia, nudo e indifeso. Gli tagliai prima gli attributi, gioendo nel sentirlo urlare come il porco che era poi, dopo averglieli infilati in gola, lo sgozzai. In quel momento provai una profonda soddisfazione e un vuoto che sapeva di pace. Mentre sentivo le sirene della polizia avvicinarsi sorrisi per la prima volta dopo tanto tempo. Avrei pagato, è vero, ma almeno avevo avuto la mia vendetta. Finalmente avrei trovato un po’ di pace. 


Pubblicato da Unknown alle 12:43  

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Uao bellissimo e truculento come solo tu sai fare. Sai come la penso per quanto riguarda la vendetta... penso che la sua famiglia non avrebbe voluto che si rovinasse fino a quel livello. E prima o poi il criminale avrebbe comunque fatto un passo falso che lo avrebbe portato nelle maglie della giustizia. Il problema sarebbe stato nella certezza della pena o ancora meglio nell'ossessione di consegnare il criminale in mano alla giustizia, che qui è espresso in modo molto inquietante ma per questo perfetto. BRAVAAAAAAAAA <3 <3 <3

29 marzo 2013 alle ore 14:14  

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