Buonsalve!
Questo racconto mi p stato ispirato da una mostra fotografica naturalistica che
ho visitato ieri e che mi ha davvero colpita. A volte è bello e utile
ricordarsi che non ci siamo solo noi su questo pianeta.
Ricordi riflessi
(racconto n.330
Era da tanto
che Tasha aveva perso consapevolezza di cosa volesse dire vivere libera. Era
passato così tanto tempo che ormai la parola libertà aveva perso del tutto
significato per lei. Il suo mondo si limitava a un ampia territorio circondato
da una recinsione di metallo al di là di un fossato. Una grotta spoglia era
l’unico rifugio in cui potersi riparare durante le piogge abbondanti e quella
strana acqua ghiacciata che aveva imparato a conoscere e a sopportare durante i
suoi primi anni di prigionia.
C’era chi la
sfamava, dandole la carne di cui aveva bisogno e questo aveva ucciso qualcosa
dentro di lei, una parte importante del suo essere che ogni tanto si faceva
sentire, che urlava e chiedeva di essere soddisfatta. Col tempo, Tasha aveva
imparato a sopprimere quella parte di sé, riducendola solo a una voce interiore
in un’anima assopita.
Ogni tanto
però accadeva qualcosa che risvegliava in lei antichi ricordi. Nella sua
prigione c’era un ampio specchio d’acqua circondato da diversi alberi. A volte
Tasha vi si avvicinava e vedeva nello specchio d’acqua il suo riflesso
circondato dagli alberi. Quando si vedeva immersa nel verde, senza alcun
riflesso attorno, sentiva riemergere il passato.
Rivedeva se
stessa correre libera in spazzi aperti senza limiti né recinti. Ricordava altri come lei, due compagni con cui formava un gruppo unito in cui potersi sentire a casa.
Poi
riemergeva l’istinto della caccia. Ricordava i brividi che provava ogni volta
che individuava una pista e l’esaltazione nel momento in cui riusciva a individuare
una preda perfetta.
Riportava
alla luce quella gelida sensazione di consapevolezza nel momento in cui si
preparava a colpire e l’eccitazione mentre si lanciava contro la sua vittima
per poi affondare zanne e artigli nella carne.
Quella
sensazione, l’istinto selvaggio che s’impadroniva di lei, era una parte
importante di lei, che però adesso non poteva soddisfare. Poi ricordava il
momento della sua cattura, la paura quando all’improvviso si era ritrovata a
dimenarsi e a ringhiare imprigionata in una rete e la tristezza e il dolore di
quei primi giorni di prigionia. In quei momenti si rendeva conto di essere come
morta e, per non sopportare il dolore di una tale consapevolezza, si costringeva a dimenticare di essere mai
stata libera, di aver vissuto in tempi lontani come una tigre vera e libera.
1 commenti:
la chiusura del racconto è a dir poco perfetta... e spesso ci dimentichiamo come spesso anche noi umani ci crediamo liberi, ma in realtà prigionieri di una gabbia forse peggiore di quella della tigrotta... un bacioneeeee <3
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