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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

La truffa

venerdì 30 novembre 2012

Buonsalve! Questo racconto mi è venuto in mente… boh a dire il vero non so come mi è venuto in mente… spero piaccia comunque. ^,.,^

La truffa
(racconto n.91)

Non sono mai stato un tipo molto affidabile anzi devo dire che la gente farebbe bene a diffidare costantemente di me. Mi chiamo Marvin e, con mio grande orgoglio, posso dire di essere un truffatore di prima categoria.
Mi sono finto molte persone nella mia vita e ne ho truffate anche di più, ma devo ammettere che non mi stanco mai di questo stile di vita. Cambio città all’incirca ogni sei mesi, il tempo di abbindolare qualche ricca signora attempata o il direttore di una qualche piccola azienda, e gli unici legami che ho sono quelli coi contatti che mi sono creato in anni e anni di oneste truffe.
Come ho iniziato questa vita? Indovinate?
No, la mia infanzia non è stata un disastro né ho vissuto particolarmente nella miseria. Certo abitavamo nel Bronx, in una palazzina fatiscente, ma sia mia madre che mio padre avevano un lavoro che di certo ci permetteva di non dover saltare i pasti.
Forse è per questo che sono diventato così: proprio perché avevo già ciò che mi bastava per vivere ho iniziato a nutrire il desiderio di avere molto di più.
C’è stata una truffa in particolare che mi ha reso molto fiero di me stesso. Ero molto giovane allora, ma mi ero già fatto un nome tra i miei “colleghi” per questo decisi di impiegare le mie risorse per far credere a un ricco uomo d’affari ormai in pensione di essere il figlio illegittimo che non aveva mai conosciuto.
Ovviamente questo ha richiesto prima una lunga preparazione per scoprire le sue passate relazioni e trovare una mia possibile “madre” inoltre ho dovuto anche chiedere la restituzione di qualche favore per ottenere, al momento giusto, un falso test del DNA.
In poche settimane, nonostante le proteste dei suoi numerosi parenti, sono riuscito a farmi aprire dal vecchio un conto a mio nome con una cifra davvero molto alta. Tutto quello che non era riuscito fin dalla mia nascita per farvi capire. Ovviamente ho provveduto appena possibile a svuotare il conto e a sparire dalla sua triste esistenza. Avrei potuto avere di più se fossi rimasto con lui, ma c’è una regola fondamentale che non ho la minima intenzione di infrangere: tutte le truffe prima o poi vengono smascherate perciò non devono durare così tanto da dare tempo sufficiente ai più sospettosi di indagare.
Certo potrei anche rischiare a volte, ma sapete io sono un professionista e come tale amo il mio lavoro nella sua perfezione.



Pubblicato da Unknown alle 10:36 0 commenti  

Nascita di un ritratto

giovedì 29 novembre 2012

Buonsalve!
Il racconto di oggi è ispirato al dipinto “la ragazza col turbante” di Jan Vermeer.  Volevo parlare della creazione di un ritratto di donna e ho scelto quello perché l’ho sempre trovato davvero molto affascinante.

Nascita di un ritratto
(racconto n.90)

La prima pennellata ha rappresentato il primo battito del mio cuore.
Nessuno poteva sentirlo, ma quel battito impercettibile vibrava con la tela che pian piano rivelava le mie forme. Nessuno tranne lui, il mio pittore.
 Ogni volta che tracciava un nuovo segno, sentivo il suo cuore adattarsi al ritmo sempre più frenetico del mio. Era come se, mentre prendevo vita, la sua esistenza si plasmasse attorno alla mia.
Ogni suo movimento serviva a rendermi più completa, più viva.
All’inizio non riuscivo a vederlo. Era come una presenza carica di energia capace di infondermi forza e vitalità con la sua sola vicinanza.
Man mano che il mio volto veniva dipinto però, cominciai a scorgerne i lineamenti. Il suo viso serio, i suoi occhi carichi di determinazione e passione. Sembrava ricercare la perfezione in ogni gesto della mano, in ogni colore o tratto sulla tela. Era davvero meraviglioso.
Poi vidi lei.
Non so cosa provai in quel momento. Sapevo che il mio volto sarebbe stato identico al suo, a quello della ragazza che, in posa con le labbra socchiuse, guardava il mio creatore con la sua languida innocenza.
Era bella, molto ed io mi sentii onorata di poter mantenere intatta per sempre quella bellezza.
Man mano che il lavoro proseguiva presi maggiore consapevolezza di me e di ciò che mi circondava.
I dettagli della stanza in cui mi trovavo si fecero più vividi così come quelli del mio pittore e della sua modella. La mia attenzione cadde sull’orecchino di lei, su quel dettaglio che sembrava voler catturare la luce sul suo volto. Sapevo che quello sarebbe stato l’ultimo dettaglio.
Capii infatti di essere finalmente completa nel momento in cui il pittore tracciò le due gocce che formavano il mio orecchino.
Mentre la modella si toglieva per l’ultima volta il gioiello, non potei fare a meno di sentire l’emozione impadronirsi di me nel pensare a quella perla che avrebbe illuminato il mio volto in eterno.


Pubblicato da Unknown alle 10:39 3 commenti  

Un viaggio movimentato

mercoledì 28 novembre 2012


Buonsalve!
Questo racconto è nato in metropolitana, osservando una ragazza che probabilmente era in partenza per chissà quale viaggio. Buona lettura! ^,.,^

Un viaggio movimentato
(racconto n.89)

All’inizio il mio doveva essere un viaggio breve. Un semplice spostamento da Roma a Parigi e ritorno dopo un breve fine settimana. O almeno era quello che pensavo e speravo.
Mentre stava quasi per arrivare il momento per me di raggiungere l’aereo un’idiota mi diede una botta così forte da farmi finire per terra.
Ovviamente oltre al dolore e allo sballottamento c’è stato un altro piccolo problema: senza nemmeno rendermene conto mi sono ritrovata su un aereo diretto al Cairo.
Non ho la più pallida idea di come ci fossi finita, fatto sta che una volta arrivata tutti mi hanno guardata e ispezionata come se avessi chissà quale arma di distruzione di massa con me. Una bella umiliazione che di certo non è facile da sopportare anche per una resistente come me.
Fatto sta che, dopo essere stata sottoposta a una miriade di controlli, ho dovuto aspettare ben due giorni in aeroporto prima di poter essere imbarcata su un nuovo volo. E questa volta indovinate dove son finita?
A New York.
Dico vi rendete conto? Ore e ore di viaggio per poi accorgersi di essere finita di nuovo sull’aereo sbagliato.
Se poi vogliamo mettere che anche lì i controlli sono sempre molto accurati vi lascio immaginare come possono essere state le ore successive al mio arrivo all’aeroporto. Vi dico solo che un paio di soggetti non proprio delicati mi hanno messo mani sudaticce ovunque controllando tutto quello che avevo.
Credo che qualcuno si sia anche intascato qualcosa perché alla fine mi sono sentita le tasche posteriori più leggere. Almeno però questa volta l’attesa non fu tanto lunga.
Dopo circa tre ore di controlli mi hanno fatto imbarcare di nuovo. Questa volta, con mio grande sollievo, sono riuscita ad arrivare a Parigi!
Peccato che la mia padrona fosse già rientrata a Roma da un pezzo.
Ma che volete, quando si è una valigia viaggiare non è sempre facile. Ora scusate, ma mi aspettano gli ultimi controlli prima di essere restituita.


Pubblicato da Unknown alle 10:45 0 commenti  

Il coraggio di amare

martedì 27 novembre 2012

Buonsalve! 
Questo racconto è per una mia carissima amica con l'augurio che possa trovare una persona capace di darle la felicità che merita. ^,.,^

Il coraggio di amare
(racconto n.88)

Se c’era qualcosa che Tiziana non riusciva in alcun modo a capire erano gli uomini. Insomma dicono sempre che sono le donne a essere complicate, ma a volte anche loro sanno essere un vero e proprio mistero. Mich era sicuramente un esempio lampante dell’idiozia maschile.
Si vedevano tutti i giorni nel grande magazzino in cui entrambi lavoravano eppure continuava a lanciargli messaggi contraddittori che lei non riusciva a interpretare. Le uniche cose che sapeva con certezza erano che a lei Mich interessava parecchio e che lui infondo non era poi così indifferente. I suoi continui attacchi di gelosia, le sue frecciatine e gli ammiccamenti dovevano pur voler dire qualcosa. Peccato che poi facesse finta di niente ogni volta che lei cercava di fargli capire il suo interesse.
 Certo sarebbe stato più facile chiedergli se fosse in qualche modo interessato, ma la sua insicurezza a volte le giocava davvero dei brutti scherzi.
Avrebbe potuto rispondere a tono a un fornitore in qualsiasi momento e di solito tendeva sempre ad avere la meglio nelle discussioni, ma quando si trattava di faccende sentimentali… beh tutta la sua sfrontatezza finiva puntualmente nel cesso. Non che si facesse mettere i piedi in testa da Mich, anzi. Quando si trattava di lavoro non si faceva certo problemi a rispondergli e, perché no, a lanciargli qualche frecciatina maliziosa. Con la speranza che magari un giorno lui si svegliasse.
Le giornate comunque passavano sempre in maniera piuttosto divertente. Tra loro si era creata  una bella complicità cosa di cui non poteva certo lamentarsi.
Un giorno però accadde qualcosa che le fece capire che forse le sue non erano solo fantasie. Si trovava in magazzino a controllare della merce appena arrivata quando un’idiota perse il controllo di un muletto le vemme addosso a velocità elevata.
Lei, impegnata com’era, non si accorse di niente finché non sentì qualcuno afferrarla e spingerla via.
In un attimo si ritrovò schiacciata contro degli scaffali con dei pacchi che cadevano da ogni parte e Mich che cercava di proteggerla.
Quando la confusione cessò e dopo aver lanciato uno sguardo spaventato al muletto poco distante, alzò gli occhi e vide il volto di lui a pochi centimetri dal suo. Si senti avvampare nel sentire il suo respiro così vicino e il suo corpo premuto contro il proprio, ma alla fine riuscì a sorridergli ringraziandolo.
Lui sorrise a sua volta, un sorriso che valeva più di qualsiasi parola. Forse non aveva sperato in vano, forse poteva esserci davvero qualcosa di speciale tra loro.
E anche se anche si stava solo illudendo, avrebbe comunque provato a fare un passo avanti perché nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati aveva capito che avrebbe potuto accettare un rifiuto, ma non il rimpianto di non aver mai provato ad amare.




Pubblicato da Unknown alle 10:28 0 commenti  

Cristallo di neve

lunedì 26 novembre 2012

Buonsalve! 
Questo racconto é scritto per motivi: perché adoro la neve e amo davvero tanto il Natale. Manca meno di un mese al 25 Dicembre e già sto cominciando a respirare l'aria Natalizia quindi questo racconto era d'obbligo. ;) 

Cristallo di neve
( racconto n.87)


Fin da quando mi sono formato ho visto il mondo dall'alto con ammirazione e curiosità. Scivolando
nel cielo con i miei fratelli, ho scoperto luoghi meravigliosi, pieni di vita e bellezza. Un giorno però
la nostra nuvola madre si fermò all'improvviso.
Sotto di noi una grande città brillava di luci e colori.
Ovunque c'erano decorazioni e alberi che brillavano di una moltitudine di colori. Il vento ci spiegò che quello era il periodo dell'anno che gli uomini chiamavano "natale". In quei giorni il mondo degli uomini, o almeno di alcuni di loro, si riempiva di calore e magia.
Fu mentre lo sentivo raccontare delle storie sul natale che decisi che un giorno ne avrei fatto parte anch'io.
Lo dissi ai miei fratelli, vittima del mio entusiasmo per quel nuovo desiderio, ma questi scoppiarono subito a ridere. Noi eravamo cristalli di neve e se fossimo scesi in quella grande città la nostra esistenza non sarebbe durata molto.
Per un po' provai a dimenticare quel mio folle sogno.
Man mano che si avvicinava il giorno di Natale però la città si riempiva di luci e di allegria e la mia smania aumentava.
Quando arrivò la sera della vigilia non riuscii più a resistere.
Anche se non era arrivato ancora il mio momento di scendere sulla terra, richiamai i miei fratelli e dissi loro addio.
Ignorando le loro suppliche, mi lasciai andare sperando di riuscire a fare in qualche modo parte di quella splendida festa.
Il vento allora decise di aiutarmi.
Mi sospinse con delicatezza fino a una piazza al centro della quale svettava un grande albero pieno di decorazioni e con uno splendido puntale a forma di cristallo di neve.
Rimasi sbalordito e commosso quando mi adagiò al centro di esso.
Poco dopo scoccarono le campane della mezzanotte.
Osservai la gente cantare canzoni attorno all'albero sentendomi felice come non mai.
Anche se la mia esistenza era stata breve, anche se sarebbe finita presto, avevo realizzato il mio desiderio ed ero diventato parte della Magia del Natale.

Pubblicato da Unknown alle 11:09 4 commenti  

Vivere per passione

domenica 25 novembre 2012

Buonsalve! Questo racconto è dedicato a tutti quelli che cercando di coltivare le proprie passioni e i propri desideri a dispetto di tutto e tutti.

Vivere per passione
(racconto n.86)


Non è mai facile trovare il coraggio di realizzare i propri desideri. Spesso è necessario fare dei sacrifici e a volte si arriva a  fare qualcosa che ci allontana in qualche modo dalle persone che amiamo.
Io lo so bene. Mi chiamo Nicole e sono una violinista. Fin da quando ero piccola, il mio violino è sempre stato il mio più caro amico. Anche se a causa del mio carattere introverso avevo difficoltà a trovare degli amici e sebbene molti mi prendevano in giro perché preferivo passare il mio tempo a suonare piuttosto che fare shopping, non mi sono mai sentita triste. Suonare mi faceva sentire viva e forte come non mai.
I miei genitori mi avevano sempre incoraggiata a coltivare la mia passione, ma col tempo il loro entusiasmo si è trasformato in apprensione.
Cominciarono ad aver paura per me, temevano che tutto quello mi avrebbe portato a fare una vita instabile, senza alcuna stabilità economica.
C’ero all’inizio guadagnavo una miseria coi pochi concerti che riuscivo a fare e dovevo fare un secondo lavoro come commessa per riuscire a mantenermi, ma io ero comunque felice.
Anche se sarebbe stato difficile, forse anche impossibile riuscire a farcela il solo fatto di impegnarmi con tutta me stessa per fare ciò che amo valeva più di qualsiasi stipendio del mondo.
C’è stato un periodo però in cui avevo pensato di arrendermi, in cui le delusioni per i continui rifiuti alle audizioni erano diventate insopportabili. Ho rinunciato a suonare per un anno, dedicandomi a un sicuro lavoro come segretaria d’ufficio.
Col passare dei mesi però ho finito per piombare in una profonda apatia. Ero spenta, priva di vitalità e determinazione. Mi trascinavo nella mia routine senza sapere bene perché lo stessi facendo. Non ero più me stessa e questo faceva soffrire anche chi mi stava vicino.
Chi ha una grande passione però non può accontentarsi di una vita ordinaria. Per questo alla fine ho ripreso in mano il mio violino e ho ricominciato a suonare.
Oggi, ripensando a tutte le difficoltà del passato, non posso che essere felice delle mie scelte. Perché adesso, dopo aver superato il più importante provino della mia vita e all’avvicinarsi del mio più grande concerto come solista, so per certo di aver intrapreso la strada giusta e che valeva la pena affrontare ogni sacrificio o rinuncia per questo breve, magico momento.


Pubblicato da Unknown alle 11:00 0 commenti  

L'uomo verde

sabato 24 novembre 2012

Buonsalve! Questo racconto è nato guardando una collana che ho preso da “Storia e Magia” un splendido negozio di Roma che frequento praticamente da quando ha aperto. Il ciondolo rappresenta un “uomo verde” uno spirito della natura rappresentato anche nella bellissima cappella di Roslyn in Scozia.


L'uomo verde
(racconto n.85)

Non avevo mai amato i boschi. Li avevo sempre trovati noiosi e soprattutto pericolosi per una ragazza come me. Insomma ho sedici anni, sono una cheerleader e l’ultima cosa che vorrei fare durante il fine settimana è accamparmi in un bosco umido senza niente da fare che chiacchierare con mio padre.
Lui però ha sempre voluto un figlio maschio e visto che è riuscito a sfornare solo tre femmine ha voluto compensare con me che sono la più grande. Per questo una volta al mese mi toccava fare quelle assurde escursioni con lui.
Durante la mia ultima escursione però accadde qualcosa che cambiò per sempre il mio modo di vedere il bosco. Mi ero allontanata dalla nostra tenda per un attimo quando all’improvviso si alzò una fitta nebbia che mi fece perdere del tutto il senso dell’orientamento.
Non so per quanto tempo vagai, fatto sta che inciampai e rotolai giù per un pendio. Il mondo si capovolse per un lungo momento e quando mi fermai avvertii un forte dolore alla caviglia. Provai ad alzarmi, ma ogni volta che poggiavo il peso sulla caviglia destra finivo col crollare di nuovo a terra.
Iniziai a chiedere aiuto, tremando per il freddo e la paura. All’improvviso dalla nebbia emerse una figura. Non avevo mai visto una cosa del genere. Era un uomo, con la pelle verde e lunghi capelli fatti di foglie d’edera che si andavano a confondere con una folta barba anch’essa di foglie. L’essere si chinò su di me e mi poggiò la mano calda sulla caviglia.
Avvertii subito un dolce tepore e un piacevole sollievo per tutto il corpo. Subito dopo, mi porse la mano e mi aiutò ad alzarmi. Quando mi rimisi in piedi la foresta mi apparve in maniera molto diversa. Non era più cupa e umida, ma calda e piena di una vita che prima non riuscivo minimamente a vedere, creature invisibili che riempivano l’aria di gioia e di canti.
Lo guardai e gli sorrisi, ringraziandolo. Lui sorrise a sua volta poi mi coprì gli occhi con una mano. Quando la ritrasse mi trovai di nuovo davanti alla mia tenda. Di lui non c’era più alcuna traccia.
Da quel giorno continuai a vedere la foresta con occhi diversi e cominciai a desiderare di tornarci più spesso, nella speranza di rivedere il mio uomo verde.

  

Pubblicato da Unknown alle 10:54 0 commenti  

Non sono Dio

venerdì 23 novembre 2012

Buongiorno mondo! Questo racconto è stato ispirato da Supernatural, una serie televisiva che ADORO fin da quando è uscita.


 Non sono Dio
(racconto n.84)

Essere un angelo non è semplice come si pensa. Bisogna sempre prendere scelte difficili che potrebbero interferire con l’equilibrio dell’intero universo o fare cose che non si possono definire propriamente “angeliche”.
Il mio nome è Mahasiah e sono un Serafino. Non mi capita spesso di scendere sulla terra salvo in casi davvero importante e la missione che sto per affrontare lo è sicuramente.
Il mio compito consiste nel dare la caccia a un demone, un demone che sta cercando di interferire con la vita di una donna il cui destino sarà molto importante.
Ovviamente non posso rivelare il suo nome, ma sappiate che le sue parole influenzeranno molte vite e che deve essere protetta. L’ho sorvegliata a lungo, in attesa che quel maledetto demone facesse la sua mossa finché non l’ho visto farsi avanti.
Si avvicinò a lei  in un bar, con la sua forma umana sfacciata e affascinante. Quasi mi venne da ridere quando la ragazza lo liquidò in malo modo. Non era certo una che si lasciava corrompere tanto facilmente.
Quando uscì il demone emanava una furia spaventosa. Ovunque passava le piante si seccavano come se fossero state private completamente della luce del sole per giorni.
Era la mia occasione per affrontarlo. Iniziò a vagare per le strade della città rimuginando probabilmente sulla prossima mossa da fare.
All’improvviso svoltò di fretta in un vicolo. Lo raggiunsi, ma mi ritrovai in una stradina senza uscita completamente deserta. Di lui non c’era più traccia. Sospirai e strinsi i pugni.
In un attimo il demone si avventò su di me, le dita del suo corpo umano trasformate in lunghi artigli.
Lo schivai per un pelo, riuscendo a portarmi verso l’uscita del vicolo.
- Non sei stato tanto furbo a seguirmi in questo modo, angioletto. – mi sbeffeggiò.
Scrollai le spalle della mia incarnazione con totale indifferenza.  – Credi che abbia importanza il fatto che tu ti sia accorto di me?
Lui sghignazzò. – Eccome. Sai che non puoi sperare di uccidermi in uno scontro diretto.
Le mie labbra si piegarono in un sorriso. – Il difetto di voi demoni è che siete davvero troppo sicuri di voi.
Senza lasciargli il tempo di rispondere, sfoderai la pistola che nascondevo sotto la giacca e gli sparai un colpo alla rotula.
Lui urlò finendo a terra, sanguinante mentre il proiettile con inciso un potente esorcismo gli bruciava la carne dall’interno.
Mi avvicinai guardandolo con tutto il disprezzo che provavo per quelli della sua razza e sparai un altro colpo, questa volta mirando al braccio.
Il demone urlò ancora poi mi guardò con un’ombra di terrore negli occhi. – Tu… non puoi farlo! Non puoi torturarmi così! Non…
Sparai un altro colpo, questa volta alla gamba ancora sana. – Solo Dio è perfetto e misericordioso, demone. – sparai ancora. – E mi dispiace per te, ma io non sono Dio.
Sparai ancora quattro colpi, due agli arti ancora sani e due alle spalle poi puntai l’arma alla sua testa. Un ultimo colpo e pochi secondi dopo mi stavo già allontanando, invisibile agli occhi dei mortali.
C’era solo una cosa che non riuscivo a capire di quella situazione: quel demone era un pesce davvero troppo piccolo per aver avuto il compito di occuparsi di una persona come lei.
Forse i demoni ancora non avevano capito davvero la sua importanza o forse quello era solo un primo passo verso un piano più complesso.
Scrollai le spalle e spiegai le ali per spiccare il volo.
Ci avrei pensato al momento opportuno. Per il momento il mio compito era finito.   
  

Pubblicato da Unknown alle 11:10 0 commenti  

Un'altra giustizia

giovedì 22 novembre 2012

Buooooonsalve! Questo racconto è nato rielaborando l’idea di base di una storia che avevo scritto tempo addietro. Spero che vi piaccia!

Un'altra giustizia
(racconto n.83)

Quando dei delinquenti uccisero di fronte a me il mio ragazzo ho iniziato a vedere il mondo con occhi diversi. Per sei mesi ho sperato che quegli assassini pagassero, ma quando mi sono resa conto che non li avrebbero mai presi ho capito che non esiste una giustizia se non quella che riesci a ottenere con le tue sole forze.  
Per questo ho imparato a difendermi, per questo ho trovato il modo di non essere più una vittima.
Partendo dal luogo dell’aggressione ho trovato persone in grado di portarmi da loro. Chissà perché la gente è più incline a parlare con una bella ragazza con pochi abiti addosso che con la polizia.
Li trovai in un locale gothic pieno di deficienti che credevano di essere fighi solo perché facevano foto in pose equivoche e non si lavavano i capelli da un mese.
I due se ne stavano in disparte, seduti su un divanetto e si stavano preparando delle strisce di coca mentre chiacchieravano come se niente fosse.
All’improvviso però, uno di loro si accorse di me. – Ehi, bellezza! Vuoi unirti a noi?
Sorrisi cercando di nascondere il mio ribrezzo. Non mi avevano nemmeno riconosciuta. Mi avevano portato via tutto eppure non ricordavano nemmeno il mio viso.
Mi sedetti tra loro e quello alla mia destra, dopo aver fatto sparire una striscia bianca dal tavolo, cominciò subito ad allungare le mani.
Io in risposta iniziai a strusciarmi e a stringermi a lui. Le luci molto basse ci permettevano di non essere visti e il gruppo che si stava esibendo distraeva a sufficienza i presenti.
 Quando fui abbastanza vicina, feci scivolare la mano nella borsa e tirai fuori uno dei due grossi chiodi che avevo all’interno. La sensazione di sentirlo tra le dita, attraverso i sottili guanti in pelle, era esaltante.
Fui veloce e precisa. Affondai il chiodo centrando con precisione la carotide e glielo lasciai dentro poi, altrettanto rapidamente, mi portai a cavalcioni dell’altro e gli piantai il secondo chiodo in gola.
Rimasi per un attimo a fissare i suoi occhi sgranati e terrorizzati poi scivolai via nel buio del locale.
Me ne andai senza provare quella soddisfazione che mi sarei aspettata.  Forse non bastava essermi vendicata. Forse dovevo fare di più e aiutare che come me non aveva avuto giustizia.
Forse non era ancora arrivato il momento di fermarmi.



Pubblicato da Unknown alle 11:07 2 commenti  

Meditazioni sulla vita della Morte

mercoledì 21 novembre 2012

Buoooooooonsalve! Un racconto ispirato da una lettura fatta di recente: Fated di S.G. Browne. Un gran bel romanzo, divertente, ma che da anche molti spunti di riflessione.

Meditazioni sulla vita della Morte
(racconto n.82)

Ciao sono la Morte. Tranquilli non sono qui per voi. Non ancora almeno. Si, sì, grattatevi pure i coglioni, ma tanto lo sapete che a me non si sfugge. Potente andare dove volete, ma se la vostra ora è arrivata… beh state tranquilli che mi farò viva. Ooops… scusate il pessimo gioco di parole.
Comunque non capisco perché vi spaventi tanto la mia presenza e soprattutto perché ce l’avete tanto con me. Certo ci sono dei momenti in cui vi fa comodo che io ci sia, vero? Quando mi sono presa Hitler mi pare di non aver sentito molte lamentele. Mah… voi umani non vi capirò mai.
All’inizio con voi era semplice: eravate in pochi, avevate una durata di vita piuttosto breve e di certo non vi arrabbiavate con me quando facevo il mio lavoro.
Oggi è tutto più complicato anzi voi lo siete. Pretendete di vivere almeno fino a novant’anni eppure vi riempite di schifezze, vi ammazzate con ogni tipo di sostanza nociva e fate di tutto per rendere più pericolose le vostre esistenze. Perdonatemi, ma questo non ha molto senso.
L’altro giorno ad esempio sono andata da Jake, un uomo di cinquant’anni che aveva passato gran parte della sua vita ad ammazzarsi di hamburger e sigarette. Aveva avuto perfino problemi di cuore e respirazione eppure non ha mai pensato abbandonare il suo assurdo tenore di vita. L’unica cosa negativaa della sua dipartita era il fatto che sua moglie e i suoi due bambini di dieci e dodici anni si sarebbero trovati in guai seri, tanto che lei era già nella mia lista delle persone da prendere nei successivi otto anni. Quando andata da lui era in ospedale. Aveva avuto un infarto. La sua anima lasciò il corpo non appena mi avvicinai.
All’inizio guardò confuso prima me e poi il suo corpo, ma quando si rese conto di ciò che gli stava succedendo si mise a tremare guardandomi come se avesse visto la morte in faccia. Cosa che poi era anche vera. Mi domando: ma perché apparire agli uomini come una sventola seminuda se comunque si metto a tremare di paura ogni volta che capiscono chi sei?
Fatto sta che, come sempre, alla paura iniziale seguì la rabbia. E che rabbia!
Inizio a imprecare e a urlare mentre i medici si affannavano inutilmente sul suo corpo nel tentativo di rianimarlo. Disse anche alcune cosette poco piacevoli sul mio capo, cose abbastanza pesanti che di certo Lui non deve aver gradito.
Fatto sta che me portai quell’anima al suo posto, con un pensiero che cominciava a tartassarmi la mente.
Ma se voi umani passate la maggior parte del loro tempo a lamentarvi della vostra vita, allora perché avete così tanta paura del grande cambiamento?
Insomma non sarebbe meglio lamentarsi di meno e si godervi di più l’attesa del nostro incontro?



  

Pubblicato da Unknown alle 11:30 0 commenti  

Nick the Sweeper

martedì 20 novembre 2012

Buonsalve! Ecco qui un nuovo racconto sui pirati (One Piece mi ha contagiata del tutto ormai XD)
Buona lettura!

 Nick the Sweeper
(racconto n.81)

La prima volta che mi sono imbarcato avevo solo 8 anni. Non avevo un’idea molto chiara di quello che era il mondo in cui vivevo, ma di una cosa ero certo: volevo diventare un pirata.  Nick the Sweeper, ovvero Nick lo spazzino. Così mi chiamavano tutti i membri dell’equipaggio. Si divertivano a prendermi in giro e a giocarmi brutti tiri solo perché ero il più giovane della nave, ma sapevo che in fondo non lo facevano con cattiveria. Ogni giorno grazie a loro avevo occasione di apprendere qualcosa di più sul mare e di allenarmi per essere pronto ad affrontare qualsiasi scontro.
Quelli con loro furono anni bellissimi, fatti di emozioni e scoperte nuove, di gioie e dolori, di avventura incredibili ed esilaranti giornate di lavoro.
Sono cresciuto al fianco di quegli uomini valorosi, alcuni dei quali hanno dato la vita per la nostra nave e il nostro capitano. Su di noi, il Jolly Roger svettava come una minaccia contro chiunque avesse osato attaccarci.
Col tempo divenni più di un semplice sguattero. Il giorno in cui venni riassegnato fu il più bello della mia vita. A vent’anni però decisi di lasciarli.
Era arrivato il momento per me di cercare un mio equipaggio e una mia nave che potessi nuovamente chiamare casa.
Fu triste, ma i miei compagni mi lasciarono andare facendomi i migliori auguri. Il mio capitano, colui che era stato come un padre per me, che avevo ammirato e rispettato come nessun altro uomo al mondo, mi salutò con un sorriso e una raccomandazione: - Sii sempre fedele a te stesso. - mi disse.
E così ho fatto.
Nonostante le difficoltà, quando sono salpato per la prima volta con la mia nave ho sentito il mio cuore battere come un tamburo. Ero felice e orgoglioso di aver trovato non solo uomini coraggiosi, ma anche amici fedeli.
Col tempo il nostro nome si è diffuso per tutti i mari.
Certo alcuni hanno riso all’inizio, ma col tempo, quando abbiamo cominciato a ripulire le navi nemiche dei loro tesori, hanno capito che non era poi così divertente sfidare l’equipaggio  di Nick the Sweeper.


Pubblicato da Unknown alle 10:50 0 commenti  

I racconti di mamma orco

lunedì 19 novembre 2012

Buoooooooooooooooonsalve! Ecco qui un racconto scritto pensando a tutte quelle storie che si racconto ai bambini per spaventarli e farli star buoni. Una versione di queste storie un po’ ritoccata dove i “mostri” sono proprio gli esseri umani.

I racconti di mamma orco
(racconto n.80)

I genitori spesso sottovalutano le storie che raccontano ai propri figli. Non si rendono conto che a volte possono davvero terrorizzarli a morte.
Io ad esempio ho ancora paura dei mostri di cui mi parlava mia madre quando ero solo un piccolo orco che ancora non aveva addosso che un leggero olezzo di palude.
Quando mi mettevo a letto, sul mio comodo materasso di fango, lei mi raccontava sempre orribili storie su queste creature.
Mi diceva che vivevano in città enormi che, salvo rare eccezioni, venivano pulite periodicamente e che la spazzatura veniva riposta in appositi contenitori per essere poi portata via dalle case e dai giardini. Raccontava anche che questi esseri si toglievano il fango dai vestiti e che non solo si lavavano, ma che usavano mettersi addosso anche orribili profumi per nascondere i loro odori naturali. Capirete che già di per sé tutto questo sarebbe stato sufficiente a spaventare qualsiasi piccolo orco amante del fetore quotidiano, ma i racconti di mia madre non si limitavano a quello.
Sembrava ci provasse gusto a raccontarmi di come questi mostri dessero la caccia a noi orchi nei tempi antichi.
Pare avessero delle armi magiche capaci di sputare fuoco e tuoni che potevano uccidere uno di noi con un solo colpo o che, quando non volevano eliminarci immediatamente, si divertivano a infilzarci con lunghi forconi o spade arrugginite per poi lasciare che i loro animali domestici  ci finissero. Questi racconti mi terrorizzavano a morte e mia madre ovviamente li usava per farmi star buono.
Quando non volevo farmi il mio bagno quotidiano nel fango, ad esempio, mi minacciava dicendomi che, se non facevo il bravo, avrebbe chiamato l’umano cattivo per farmi infilzare con un forcone. Non ho mai dimenticato la fifa provata in quei momenti.
Per questo ho deciso che non racconterò mai a mio figlio storie come queste. Per un orco la propria palude deve essere un posto fetido e sicuro non un luogo di mostri dalla pelle rosa e profumata.


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Storia di un romanzo fantasy

domenica 18 novembre 2012

Buonsalve!  Avendo una libreria mi sono sempre chiesta cosa potrebbe pensare un libro se potesse muoversi e pensare. Uno dei miei deliri folli che ha portato a questo risultato. XD

Storia di un romanzo fantasy
(racconto n.79 )

La mia vita in questa  libreria di Torino è iniziata davvero per caso. Mi ci ha spedito il mio creatore non appena sono uscito dalla stamperia e in un attimo mi sono ritrovato immerso tra tanti altri libri, su scaffali dove la polvere fa davvero presto ad accumularsi. Speravo di poter trovare subito un nuovo compagno di avventure, purtroppo però i romanzi come me, scritti da autori esordienti Italiani, fanno davvero fatica a farsi notare tra questa marea di altri titoli.
Alcuni di loro poi sono davvero insopportabili. Prendete i classici: se ne stanno tutti in disparte guardando gli altri dall’alto in basso come se noi romanzi moderni non valessimo niente. Certo a volte si comportano in maniera davvero comica, come quando Il Ritratto di Dorian Gray ci ha provato spudoratamente con Orgoglio e Pregiudizio, ma alla fine sono solo sporadici episodi. Gli unici davvero interessanti di quella combriccola sono il Gatto Nero e Notre Dame de Paris, ma il primo se ne sta sempre per conto suo, circondato da un alone tetro e un po’ deprimente, mentre l’altro è paranoico e soffre di complessi di inferiorità solo perché ha la copertina un po’ gobba e storta e quando si muove zoppica di continuo.
Nessuno della gang dei Classici però sarà mai insopportabile quanto Bibbia. Qualcuno dovrebbe dire a quella snob che non deve tirarsela così solo perché è il libro più venduto al mondo. Facile vendere tanto se si è dei raccomandati di prima classe e si ha un autore così famoso (anche se il fatto che sia stato scritto da un ghost writer ormai è quasi una certezza).
Comunque preferisco ignorare quegli snob e concentrarmi sugli amici del mio reparto. Il Signore degli Anelli è un po’ la nostra guida. È un libro molto saggio che sa consigliare e ascoltare gli altri con la sua pazienza di oltre 1.300 pagine.  Il modo in cui riesce a tenere a bada noi fantasy è davvero sorprendente. E fidatevi  ce ne vuole di pazienza  per tenere buono Il  Trono di Spade. Se non lo si sa prendere per il verso giusto rischia di uccidere tutti i romanzi migliori. Nonostante queste teste calde comunque il mio è uno scaffale davvero divertente. Dovreste vederci quando iniziamo a prendere in giro i Paranormal Romance! E loro nemmeno se ne rendono conto!
Insomma non è male essere un libro infondo. Anche se non vieni venduto molto il solo fatto di trovarsi in libreria può essere un’avventura davvero straordinaria.


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Un personaggio insistente

sabato 17 novembre 2012

Buonsalve! Questo racconto è dedicato a tutti i personaggi letterali che restano impressi nella mente e nel cuore di chi li scrive e, si spera, di chi li legge. ^,.,^

Un personaggio insistente
(racconto n.78)

Lo vidi per la prima volta mentre stavo rientrando a casa dal lavoro. Se ne stava ai piedi di un grosso albero e mi osservava sorridendo. Aveva sul volto quello sguardo di chi nascondeva un grande segreto dentro di sé, una storia che valeva la pena la di essere raccontata.
Sfacciato, mi rivolse un cenno di saluto col capo. Io mi fermai e rimasi a fissarlo come una stupida mentre i passanti mi lanciavano occhiate a metà tra il divertito e il perplesso. Ripresi a camminare cercando di non pensare a lui, a quel suo sorriso sicuro e perfetto che non riuscivo a togliermi dalla mente.
Mi strinsi nel cappotto, provando una stranissima sensazione, un brivido che mi attraversava il corpo assieme a una forte euforia.
Alzai la testa e lo vidi di nuovo, dalla parte opposta della strada. Continuava a guardarmi con un’insistenza quasi fastidiosa.
Quando arrivai a casa mi era già entrato nell’anima. Pensai a lui per tutta la notte, domandandomi chi fosse, quale potesse essere la sua vita e la sua storia. Il giorno dopo, quando uscii e mi misi le cuffiette dell’IPod, lui era di nuovo lì.
Se ne stava immobile, con le braccia incrociate sul petto e quel suo sorriso sornione e ammiccante.
Non capivo come fosse possibile, ma avevo l’impressione di poter scorgere maggiori dettagli della sua persona.  
Il suo modo di vestire, di muoversi mentre mi seguiva, il movimento dei suoi capelli al vento… ero in grado vedere ogni dettaglio e ogni minimo movimento del suo corpo.
Mi avviai al lavoro cercando di non badare a lui, ma la mia finta indifferenza non lo infastidì.
Continuò a seguirmi per tutto il giorno, distraendomi con la sua presenza mentre sbrigavo delle pratiche o rispondevo a noiose mail di lavoro.
Arrivai alla sera che ero stanca ed esasperata. Dovevo fare assolutamente qualcosa.
Fu così che, dopo un pasto veloce, mi sdraiai sul letto poggiandomi il computer sulle ginocchia. Iniziai a scrivere, dapprima con incertezza poi sempre più sicura di me.
Al mio fianco lui mi raccontava la sua storia, sussurrandomi avventure che mi fecero vibrare. Quando fui troppo stanca per continuare a scrivere gli sorrisi e, spento il computer, mi addormentai mentre lui svaniva pian piano per tornare a vivere nei miei sogni.


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Sopravvivere a un film horror

venerdì 16 novembre 2012

Buoooooooooooooonsalve! Avete presente quelle cose assurde che fanno i personaggi di un film horror? Quelle cose che, quando guardate il film, magari gli urlate di non fare? Beh, ecco un racconto ispirato a quelle straordinarie cazzate cinematografiche. XD

Sopravvivere a un film horror
(racconto n.77)

Ciao a tutti!
Io sono Katie e sono qui per spiegarvi come sopravvivere se per caso doveste trovarvi a vivere in un film horror. Impossibile? Beh, pensatela come vi pare. Io voglio solo spiegarvi quali errori non dovete commettere se volete avere anche solo una possibilità di scamparla contro il mostro o il maniaco di turno. Perché, ammettiamolo, se ne vedono di cazzate durante i film horror.
Ce ne sono alcune che oserei definire assurde e che ormai sono diventati cliché davvero molto poco credibili.
La prima è senza ombra di dubbio legata agli scantinati. Insomma mi spiegate perché se sanno che in giro c’è un pazzo assassino, i personaggi dei film horror vanno sempre in cantina quando salta la corrente?  Per la miseria, invece di andare a cacciarvi in qualche guaio, uscite e andate a cercare qualcuno! Molto meglio fare la parte dei fifoni che quella dei cadaveri.
Se poi trovate le porte bloccate evitate di lanciarvi al piano di sopra per trovare riparo in soffitta o in un armadio. Non serve a niente!
Prendete un qualsiasi oggetto abbastanza pesante e sfondate una finestra. Che sia al primo o al secondo piano non importa l’importante è allontanarsi dalla casa e cercate aiuto!
Un’altra cosa che non ho mai capito è perché, quando devono andare a sconfiggere il mostro di turno in una casa infestata o in cimitero, i personaggi dei film ci vanno sempre di notte.
Ma andare di giorno, magari lasciando qualcuno all’esterno nel caso ci fosse bisogno di chiamare aiuto fa tanto schifo? Perché ce l’hanno tanto con il sole?
Ehm… scusate ogni tanto mi lascio un po’ trasportare. In ogni caso se volete sopravvivere a un film horror ci sono solo due cose da fare: usare la testa poi prendere i cliché di tutti i film che avete visto e fare esattamente l’opposto.


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Come un bambino

giovedì 15 novembre 2012


Buonsalve amici! Vi siete mai chiesti come vedono i bambini gli adulti? Secondo me più o meno così XD


Come un bambino
(racconto n. 76)

Gli adulti sono degli esseri davvero strani. Non riesco a capire certi loro assurdi comportamenti. Certo io sono solo una bambina di otto anni e voi potreste ben dire che sono ancora molte le cose che non so della vita, ma davvero volete farmi credere che quelle sono le persone che possono aiutarmi a crescere? Insomma fin da quando ero solo una poppante che non sapeva parlare o camminare ho avuto l’impressione che non fossero poi tanto normali.
Quando mi parlavano facevano sempre strani versi, come se avessero un problema alla bocca che li portava a parlare come dei poveri deficienti.
Mi facevano parecchio pena perché mi rendevo conto che per loro doveva essere davvero difficile farsi capire. Io non ci riuscivo mai. So che non è bello da dire, ma spesso mi veniva da ridere a guardarli perché me li immaginavo immersi in una conversazione di tre o più persone fatta di mugugni e versi idioti. Uno spettacolo!
Fortunatamente i loro problemi sono passati nel corso del tempo e il loro modo di parlare è migliorato parecchio. Peccato che il loro cervello non sia guarito affatto.
Ancora oggi continuano infatti ad avere seri problemi di memoria e a credere in cose assurde e totalmente irreali pur di non accettare alcune cose. Quando è morto il mio pesce rosso Pix, ad esempio, mi hanno detto che era andato a vivere nel fiume con la sua famiglia e che magari un giorno sarebbe tornato a trovarci.
No, dico, vi rendete conto?
E loro sembravano crederci veramente!  Io ovviamente li assecondavo  per non minare la loro già fragile salute mentale. Poverini, in fondo vanno capiti. Io sono stata molto male quando Pix è morto, ma a quanto pare per loro era davvero troppo.
Per fortuna però ogni tanto si incontrano anche degli adulti consapevoli di come vanno davvero le cose..
Alcuni riescono anche a parlarne e, fidatevi, è loro che bisogna prendere come esempio.
Siamo bambini, non degli stupidi quindi possiamo ancora salvarci dal diventare irrimediabilmente fuori di testa. O almeno è quello che spero.





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Il desiderio del forno

mercoledì 14 novembre 2012

Buonsalve! Ho creato questa storia due sere fa, chiacchierando al telefono. Ho deciso di scriverla per dimostrare alla persona a cui l’ho raccontata di essere abbastanza assurda da avere il coraggio di pubblicarla sul blog. XD

Il desiderio del forno
(racconto n.75)


C’era una volta un forno che lavorava nella cucina di una mensa scolastica.
Ogni giorno era costretto ad avere a che fare con carne stoppacciosa che emanava un odore rancido e nauseabondo e che gli gocciolava addosso una tale quantità di grasso da fargli provare l’irrefrenabile desiderio di rompersi per poter finalmente porre fine a quelle unte torture.
Il povero forno aveva un desiderio irrealizzabile: avrebbe tanto voluto diventare una lavatrice.
Desiderava infatti smetterla con gli insopportabili odori della cucina e lasciarsi avvolgere dal profumo dell’ammorbidente e dei panni appena lavati.
Amava l’idea di poter trasformare un vestito sporco in un capo morbido e profumato, capace di poter strappare un sorriso a chiunque l’avrebbe poi indossato.
Purtroppo però era costretto a essere se stesso, imprigionato in quella lurida cucina dove due grassone con più baffi che voglia di cucinare servivano le loro sbobbe a studentelli che avrebbero ingurgitato anche dei sassi senza battere ciglio.
Avvilito per il suo sogno impossibile, continuò a cucinare schifezze finché un giorno non accadde qualcosa che non avrebbe mai immaginato: la cucina della mensa venne ristrutturata e lui venduto per pochi spicci.
Aveva paura di scoprire chi sarebbe stato il suo nuovo padrone. Temeva che, con la fortuna che aveva, avrebbe finito col cadere in mani ben peggiori di quelle delle cuoche della mensa.
Con sua grande sorpresa, venne portato nel negozio di un piccolo panettiere che, a quanto sembrava, non aveva abbastanza soldi per potersi permettere un forno nuovo.
Appena si mise al lavoro venne avvolto dal buonissimo aroma del pane al quale seguì quello di focacce, biscotti, dolci, pizze… Ogni profumo era per lui una nuova scoperta che lo spingeva a dare il meglio di sé.
Negli anni successivi, produsse così tante prelibatezze da rendere il suo padrone uno dei più famosi panettieri della zona. Ogni giorno lavorava felice, consapevole che in fondo non era poi così male essere un forno.


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Cucciolo di drago

martedì 13 novembre 2012

Buonsalve! La protagonista del racconto di oggi è un piccolo cucciolo di drago femmina. L’ispirazione questa volta è arrivata grazie ad alcune statuette al Lupo Rosso. Insomma ho parlato di così tante creature in questi racconti che non potevo non parlare anche degli splendidi draghi. ;)

Cucciolo di drago
(racconto n.74)


Mi chiamò Kendra e sono un cucciolo di drago. Fin da quando sono uscita dall’uovo non vedevo l’ora di poter finalmente volare e vedere il mondo. Amavo molto gironzolare sulle nostre montagne alla scoperta di posti sempre nuovi.
Se c’è una cosa che mi ha madre mi ha insegnato però è stata quella di non farmi mai vedere dagli umani.
Loro ci credono creature nate dalla fantasia e dalle leggende e finché continueranno a pensarla così i nostri nidi saranno al sicuro. Peccato che un giorno, spinta dalla curiosità, io mi sia avventurata un po’ troppo lontano da casa.
Vagando come mio solito vidi una delle strane macchine di metallo degli umani. Sembrava un grosso serpente e poteva trasportare al suo interno centinaia di persone.
Mi ci intrufolai dentro senza pensare alle conseguenze e quando si mise in movimento non potei fare altro che nascondermi, sperando che gli esseri umani non mi vedessero.
Una volta riuscita a scendere mi ritrovai in una foresta di metallo e umani piena di rumori e confusione. L’aria era pesante e aveva un odore amaro, il cielo sembrava vedersi appena tra quelle che, come scoprii in seguito, erano le tane degli umani.
Spaventata e disorientata vagai per quelle strade cercando di mantenermi la più nascosta possibile, rischiando molte volte di essere calpestata e schiacciata.
Non riuscivo a capire dove stessi andando. Di una cosa ero certa: dovevo salire il più in alto possibile.
Solo così la mia mamma sarebbe potuta volare da me. Lei mi trovava sempre, ovunque andassi. La nostra magia ci teneva perennemente in contatto e io sapevo che in quel momento stava volando sopra le nuvole, aspettando il momento buono per scendere e portarmi via.
Stavo girovagando ormai da ore quando lo vidi. Era sicuramente la tana più alta che avevo mai visto.
La prima cosa difficile da fare fu entrare. Dovetti aspettare a lungo e calcolare bene i tempi per riuscire a sgattaiolare all’interno della costruzione e nascondermi dietro una grossa pianta che, solo dopo alcuni secondi, mi resi conto essere finta.
Poi ci fu la salita. Riuscii a trovare le scale, ma non potevo immaginare che mi aspettava un’impresa così faticosa. Ero ancora piccola e le mie zampe erano tanto corte quanto le mie ali erano poco sviluppate.
Per fortuna riuscivo a tirami su e a far perno con la cosa altrimenti non avrei saputo come fare.
Fu uno sforzo immane per me. Quando, esausta, crollai a terra erano passate diverse ore. Alzando il muso mi accorsi che dovevo essere arrivata poco oltre la metà della salita.
Fu allora che qualcuno mi apparve davanti da uno dei varchi d’accesso alle scale. Era un umano maschio, piuttosto giovane, che teneva in mano una grossa scopa.
Mi guardò, sbattendo gli occhi come se non riuscisse a credere a ciò che stava vedendo. – Ma tu sei…
 Venni presa dal panico. Mi lanciai verso le scale cercando di salire, ma ero troppo debole. Non facevo altro che arrancare per un paio di gradini e cadere.
- Ehi, piano. – disse l’umano. – Stai cercando di salire, vero?
M’immobilizzai quando si fece avanti. Ero pronta a morderlo, ma lui mi prese da terra con delicatezza e mi strinse a sé. All’inizio mi dimenai, ma lui mi accarezzò con una gentilezza che mi trasmise una calma profonda.
Non voleva farmi del male, lo sentivo.
- Sei una creatura davvero particolare. – mi disse mentre saliva le scale con calma per non farmi sobbalzare. – Ho sempre sperato che voi esisteste ma… beh diciamo che questo mondo è diventato un po’ troppo concreto per un sognatore come me.
Lo guardai in silenzio, percependo le sue emozioni e i suoi pensieri come se fossero acqua limpida. Quando raggiungemmo il tetto, rimase sulla porta  e mi adagiò a terra.
Indietreggiai con cautela continuando a tenere gli occhi fissi su di lui.
Quando mia madre arrivò e mi sollevò in aria, il giovane umano mi salutò con un cenno della mano.
Ricambiai il saluto con un verso acuto.
Di certo mi sarei presa una bella sgridata, ma in fondo ero contenta. Avevo imparato molto sul mondo e soprattutto avevo capito una cosa importante sugli umani: molti erano distratti e indifferenti, alcuni addirittura crudeli ma, a volte, tra loro era ancora possibile trovare l’animo raro e prezioso di un sognatore.


Pubblicato da Unknown alle 11:13 0 commenti  

Vento

lunedì 12 novembre 2012

Buonsalve! Ecco un racconto venutomi in mente mentre osservavo nella metro di Torino un gruppo di musicista suonare della musica Jazz. Osservandoli ho immaginato questa presenza invisibile aleggiare tra loro e dare forza alla loro musica. Buona lettura ^,.,^

 Vento
(racconto n.73)

Il mondo è davvero un posto strano. Visto dall’alto è come un enorme flipper in cui gli umani si agitano fenetici, sbatacchiando le loro esistenze nella confusione e nel caso.
A volte mi piace scendere a guardarli.
Mi tuffo nelle strade, scivolando tra i palazzi e le luci delle loro vite frenetiche. Un gruppo di tre ragazze sta passeggiando per le vie del centro. Chiacchierano di scarpe e vestiti, entusiaste e ingenue nella loro innocenza. Proseguo e vedo su una panchina una coppia scambiarsi tenere effusioni.
Il mondo attorno a loro sembra svanito. Nelle loro vite c’è spazio solo per quel sentimento fragile come una sottile ragnatela di cristallo.
Continuo la mia corsa, tuffandomi nella metropolitana. Nell’atrio dei musicisti da strada stanno suonando un’allegra melodia Jazz.
Vortico attorno ai loro strumenti, esaltato ed estasiato dalla forza vitale di quelle note generate per pura passione. Il gruppo sembra rinvigorito dalla mia presenza e suona con ancora più vigore.
Quando me ne vado il cappello che avevano poggiato a terra è pieno di monete.
Scivolo giù nelle gallerie, nelle tenebre dove mostri d’acciaio trasportano il loro carico di lavoratori, turisti e girovaghi. Mi faccio più forte e sferzo i volti e i capelli di quelli che stanno ancora aspettando sulla banchina.
Trovo all’improvviso uno sbocco e riemergo all’aperto, non molto distante da un grande parco.
Lì, volteggio tra gli alberi e le siepi e seguo il fiume che attraversa la città, sfiorandone appena la superficie. L’acqua, mia sorella, mi saluta con spruzzi e mulinelli tra le onde agitate.
D’un tratto vedo una ragazza seduta sulla riva.
Ha lo sguardo triste, perso in un punto imprecisato.
Sta soffrendo, vede il suo sogno farsi sempre più lontano. Sull’erba, accanto a lei, c’è un quaderno lasciato aperto e una penna poggiata su di esso.
Le giro attorno e muovo le pagine del quaderno fino a catturare la sua attenzione.
La ragazza osserva i fogli bianchi e sorride. Raccoglie penna e quaderno e comincia a scrivere.
Mi conosce e racconterà molte storie su di me.
Vento, così mi chiama. Mi è sempre piaciuto quel nome.
Le accarezzo i capelli ancora una volta e mi allontano per tornare nel mio limpido cielo.



Pubblicato da Unknown alle 11:19 0 commenti  

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