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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

Un magico incontro

martedì 30 aprile 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché penso che ogni incontro, anche il più piccolo e casuale, in qualche modo lascia un segno dentro di noi, facendoci in qualche modo anche cambiare in parte la nostra visione del mondo e rendendola sempre un po’ più matura e consapevole.

Un magico incontro
(racconto n.242)

Luca era un ragazzo come tanti. Frequentava regolarmente l’università, usciva spesso con gli amici ed era un appassionato di libri, fumetti e videogiochi.
Certo per quanto fosse un amante del fantasy non era uno che credeva nella magia o in cose simili anzi di solito preferiva restare con i piedi per terra per evitare le grosse delusioni.
Un giorno però, salito sul tram per tornare a casa, vide una ragazza molto strana che catturò subito la sua attenzione. Era davvero molto carina, con lunghi capelli scuri e occhi grandi e intensi. Osservava dal finestrino la città, grigia e deprimente come non mai quel giorno, con l’aria estasiata e meravigliata di chi stava assistendo a qualcosa di straordinario.
All’improvviso la ragazza mosse lo sguardo verso di lui. I suoi occhi erano così intensi che per un attimo Luca rimase come incantato poi però abbassò la testa e tornò ad ascoltare la musica dal suo i.pod.
Quando scese dal tram si ritrovò all’improvviso la ragazza davanti.
- Ciao. - lo salutò con un sorriso.
Lui la guardò perplesso . –Ehm… ciao…
- Ho notato che mi fissavi. – continuò lei come se niente fosse .
Luca si sentì sempre più in imbarazzo. – No è che… mi stavo solo chiedendo cosa stessi guardando con così tanto entusiasmo.
Il sorriso della ragazza si fece radioso. – Non pensavo te ne fossi accorto! – esclamò – Ti faccio vedere!
La sconosciuta  gli toccò un braccio e Luca sentì una leggera scarica elettrica attraversargli il corpo.
- Guarda. – disse poi lei indicando un albero nelle vicinanze.
Quando alzò gli occhi, Luca fece un passo indietro, sussultando. Sull’albero strane creature dalla pelle di legno si muovevano guardinghe, osservandolo con occhi che sembravano simili a smeraldi luminosi.
Altri animaletti dal corpo trasparente come vetro volteggiavano tra i palazzi e le persone, sospinti dal vento che sembrava far parte di loro.
Sbalordito, Luca si girò verso la giovane. – Io…cosa sono…? Chi sei tu?
Lei continuò a sorridere con dolcezza. – Solo quello che vedi.
In un attimo, la ragazza scomparve, svanendo come fumo nel vento, lasciando Luca da solo confuso e spaventato, ma con una nuova consapevolezza del mondo nata da un semplice, magico incontro.


Pubblicato da Unknown alle 12:31 1 commenti  

Dovere verso il paese

lunedì 29 aprile 2013

Buonsalve! Questo racconto è ispirato a quello che è successo ieri a Roma, davanti a palazzo Chigi. Un modo per esprimere la mia solidarietà per i carabinieri feriti e per far capire cosa penso a riguardo (e spero davvero che si capisca anche che non ho scritto questo racconto per fare polemica o sfruttare quanto è accaduto).

Dovere verso il paese
(racconto n.241)

Mark era un poliziotto ormai da diversi anni. Con un ottimo stato di servizio, aveva sempre fatto il suo dovere anche quando questo comportava il mettere in pericolo la propria incolumità e questo perché aveva sempre nutrito un profondo amore per il proprio paese.  Per lui fare il poliziotto non era solo un lavoro, ma un dovere.  Certo le cose non andavano bene purtroppo. La crisi economica e un governo forse troppo egoistico e poco attivo avevano portato a un clima di tensione  e insicurezza. Nonostante questo però lui continuava ad avere fiducia in esso e in ciò che esso rappresentava. Per questo forse fece fatica d accettare ciò che accadde il giorno in cui la sua vita cambiò per sempre.
Era stato assegnato alla sorveglianza dell’ingresso di un centro congressi in cui le alte cariche dello stato si sarebbero riunite per  discutere in una conferenza dei problemi del paese. All’inizio andò tutto bene poi però la sua attenzione venne catturata da un uomo che si stava facendo avanti con una mano nascosta sotto la giacca e il volto teso.
Quando i loro sguardi si incrociarono in lui suonò un campanello di allarme. Si mosse in tempo per evitare di essere colpito in pieno petto dal proiettile che l’uomo sparò un attimo dopo, ma un dolore acuto al braccio lo stordì per un lungo istante.  Tutto si svolse a una velocità estrema.  La sensazione del sangue che gli colava dal braccio, il rumore degli spari attorno a lui e poi l’immagine dell’uomo a terra, anch’esso ferito. Mark non ricordava nemmeno di essersi mosso.  Agì, fece di tutto per evitare che altri venissero feriti poi, in un attimo, perse i sensi.
Giorni dopo, in ospedale, venne a sapere che si era tratto del gesto di uno squilibrato, un pazzo la cui follia era esplosa improvvisa e imprevedibile.  A lui però quella versione non convinceva. C’era qualcosa nello sguardo di quell’uomo che andava ben oltre la pazzia: c’era disperazione. Una disperazione e un angoscia che per un attimo lo avevano bloccato.
Quello sguardo gli era rimasto dentro e non lo avrebbe lasciato per tutto il resto della sua vita, più della solidarietà e del sostegno ricevuti da conoscenti, amici ed estranei. Quello sguardo lasciò un segno dentro di lui. Pur avendo fatto il suo dovere infatti, Mark  aveva capito una cosa: la rabbia e l’angoscia dell’uomo non era rivolta a lui, ma a quelli presenti nel centro congressi, ai capi che però non avevano fatto altro che definirlo un pazzo senza cercare di capire cosa davvero  lo avesse spinto a quel gesto. Non avevano fatto niente se non sprecarsi in parole sdegnate e gesti pieni di buonismo. Mark sentiva che la sua fiducia era stata minata, ma non il suo senso del dovere. Avrebbe continuato a fare il poliziotto e avrebbe continuato a fare ciò che doveva per coloro che rappresentavano la vera essenza del paese: i suoi abitanti.



Pubblicato da Unknown alle 12:41 1 commenti  

Le mie età

domenica 28 aprile 2013

Buonsalve! Anche questo racconto è nato da una citazione letta su facebook che mi ha fatto pensare a come in fondo non conta l’età anagrafica, ma le emozioni del momento che possono farti tornare bambina o farti sentire molti più anni sulle spalle.

Le mie età
(racconto n.240)

Mi chiamo Nadia e ho trent’ anni.  O almeno è quello che dichiara la mia carta d’identità. La mia giornata infatti è formata da quelle che io definisco “le mie età”. 
La settimana scorsa ad esempio  al mattino mi son sentita come se fossi tornata bambina. Marco, il mio ragazzo mi aveva preparato una buonissima colazione a base di pancake e cioccolata calda (alla quale ho aggiunto una buona dose di panna montata) e mi ha fatto sentire come una bambina il giorno del suo compleanno. Ero euforica, entusiasta, saltavo da una parte all’altra della casa per il solo motivo che ero molto, molto felice.
Mentre mangiavo lui mi lanciò un’occhiata a metà tra l’esasperato e il disperato. – Tu non crescerai mai, vero?
In risposta gli feci una bella linguaccia. – Certo che no. Non in questi casi.
Poi però accadde qualcosa che mi catapultò di nuovo nell’età adulta. Mi ero presa il pomeriggio libero perché Marco sarebbe partito per  un viaggio di lavoro di un mese e non lo avrei potuto vedere né sentire per tanto tempo.
Quando arrivai nel negozio in cui lavoravo lo trovai completamente devastato. Dei ladri erano entrati durante la notte e  avevano distrutto quello che non erano riusciti a portare via. Passai tutta la mattinata a parlare con i carabinieri e a sistemare le scartoffie per l’assicurazione. Fu snervante e angosciante anche perché l’idea che qualcuno fosse entrato in un posto che per me era come una casa mi faceva sentire malissimo.
Mi sentii come se fossi invecchiata di dieci anni, con un peso immane sulle spalle. Finii di sistemare e riorganizzare tutto solo in tardo pomeriggio.
Non riuscivo a credere di aver perso tutto quel tempo che avrei potuto invece passare col mio ragazzo. Ero così sfatta e stremata che quasi mi misi a piangere quando rientrai a casa e lo vidi con le valigie pronte. Era come se all’improvviso mi fossi guardata allo specchio e mi fossi ritrovata una vecchia di settant’anni.
Lui però mi abbracciò e sorridendo mi disse solo. – Dai, bellissima… un mese passa davvero in fretta.
Ed ecco che all’improvviso divenni un’adolescente innamorata, con i cuoricini negli occhi e il latte alle ginocchia.
Con un sorriso gongolante, lo accompagnai in aeroporto e lo guardai passare oltre il metal detector. Nel momento in cui alzò la mano per salutarmi un nodo mi serrò la gola. Mi sentii angosciata nel capire che non avrei potuto nemmeno mandargli un messaggio quando  volevo condividere qualcosa con lui. In un attimo, senza rendermene conto mi sentii sola… e tutte le mie età all’improvviso scivolarono via, lasciandomi semplicemente vuota.





Pubblicato da Unknown alle 12:42 1 commenti  

Un fuoco dentro

sabato 27 aprile 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato da uno stato di facebook… non ricordo nemmeno quale o di chi, ma di certo mi ha dato un bel po’ di ispirazione.

Un fuoco dentro
(racconto n.239)

A volte Mara aveva l'impressione di avere un fuoco dentro, una fiamma che continuava ad ardere nel profondo del suo essere e che non riusciva a controllare.
Ogni volta che correva, era come se quel fuoco interiore le desse un'energia straordinaria.
Era la rabbia ad alimentarlo. Ogni volta che si arrabbiava dava il meglio di sé nelle competizioni e si sentiva in grado di affrontare i propri avversari a testa alta.
Non aveva idea però che un giorno quel fuoco l'avrebbe scottata. Era il giorno di un'importante gara e ovviamente la tensione era alle stelle. Non era mai stata tanto nervosa e agitata.
Era come se riuscisse a contenere a stento le fiamme all'interno del suo corpo. Si stava cambiando negli spogliatoi quando Natasha, la sua più temibile avversaria, entrò nella stanza, facendosi largo tra le atlete con l'aria arrogante di chi aveva la certezza della vittoria.
- Ciao, Mara! - disse incrociando le braccia al petto. - Pronta per arrivare seconda?
Le fiamme per un attimo avvamparono, ma Mara riuscì a controllarle evitando di rispondere alla rivale.
Natasha però non volle lasciarla in pace. La guardò ghignando e si avvicinò a un armadietto urtandola bruscamente. Vedendo che Mara continuava a mantenersi impassibile, allungò una gamba facendole lo sgambetto. In quel momento le fiamme avvamparono.
Mara si alzò fissando la rivale con rabbia. - Non avresti dovuto farlo.
Accecata dall'Ira, lasciò che le fiamme si sprigionassero attraverso i suoi occhi. Quello che le altre ragazze videro fu il fuoco che si sprigionò da dove un attimo prima c'era Natasha per poi avvolgere tutto lo spogliatoio. Il violento incendio provocò solo una vittima e un ferito grave.
Priva di conoscenza e ricoperta di orribili ustioni, Mara era certa che il fuoco dentro di lei si fosse finalmente estinto e che presto sarebbe morta.
Una scintilla dentro di lei però le fece capire che non era così . Presto sarebbe tornata a divampare.


Pubblicato da Unknown alle 12:27 1 commenti  

Un posto inquietante

venerdì 26 aprile 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché mercoledì sono andata in un ristorante identico a quello descritto nel racconto (quello nella foto). Insomma se vi foste trovati in un posto del genere non ci avreste scritto anche voi un racconto? XD 

Un posto inquietante
(racconto n.238)

Lara guardò il fatiscente ristorante con aria intimorita. Erano quasi le dieci di sera e nella buia campagna tutt’attorno non si vedeva un’anima.  Erano giorni che viaggiava in macchina assieme al suo ragazzo e a una coppia di loro amici. Si erano tenuti lontani dalle strade principali e avevano percorso per ore la campagna aperta.
Erano affamati e c’erano volute ore per trovare quel ristorante sperduto, ma a Lara quel posto non piaceva per niente.  Si respirava un’aria davvero inquietante e i grossi cani che si aggiravano nell’area parcheggio erano davvero spaventosi.
Nonostante le sue obbiezioni però gli altri optarono per entrare. Vennero accolti da una ragazza bionda del tutto priva di espressioni e da un omone con una pancia strabordante a stento contenuta all’interno di una canottiera unta. Il disagio generale divenne ancora più grande quando si resero conto di essere gli unici clienti del ristorante.
Inaspettatamente però la cena si rivelò essere molto più piacevole del previsto. L’uomo, che poi scoprirono essere il cuoco, si rivelò essere davvero cortese e alla mano inoltre era davvero bravo nel suo lavoro. I piatti che la cameriera servì loro infatti erano davvero buonissimi e le porzioni così abbondanti che si ritrovarono tutti a fine serata con la pancia piena fino a scoppiare.
Pagarono il conto e raggiunsero il parcheggio soddisfatti e un po’ brilli. Per questo quando, poco prima di arrivare alla macchina, Lara vide un coltello emergere dal ventre del suo ragazzo non riuscì a reagire. Shockata, si girò verso i suoi amici che la fissavano a loro volta con occhi sgranati. Solo in quel momento notò il sangue che sgorgava da profondi squarci nelle loro gole.
 Urlò con quanto fiato aveva in gola poi ci fu un dolore intenso e il nulla.

Il cuoco rientrò nel ristorante con aria soddisfatta. La canottiera era zuppa di sangue così come lo erano le braccia, rosse fino ai gomiti.
- Tesoro – disse alla cameriera. – è arrivata la carne fresca!
La ragazza sorrise, per la prima volta nella serata.  Ai cani iniziarono ad a guaire davanti alla porta.
- Tranquilli piccoli – disse il cuoco. – Per voi c’è una della carne di ventenne.


Pubblicato da Unknown alle 14:43 1 commenti  

La punizione

giovedì 25 aprile 2013


Buonsalve! Un racconto che parla di grossi felini e delle punizioni che spettano a coloro che tradiscono i propri simili.

La punizione
(racconto n.237)

Diana si muoveva nella piccola radura  lenta e sinuosa come un felino.  I suoi occhi erano fissi sull’uomo bendato e in catene di fronte a lei.
- Chi è? – disse lui muovendo di scatto la testa. – Cosa sta succedendo?
All’improvviso l’uomo si bloccò e annusò l’aria. All’improvviso sembrò percepire qualcosa. Iniziò a piangere e a tremare come un bambino impaurito. – Diana… no…  non tu…
- Hai capito dove siamo, vero Dimitri? – disse la donna  la cui voce arrivò all’uomo gelida come una lama. – Sai che cosa ti aspetta, vero?
L’uomo si buttò a terra arrivando quasi a toccare con la fronte il terreno umido. – Ti prego non farlo! Io non volevo! Non volevo!
- Ma lo hai fatto: ci hai traditi. – ribatté lei indifferente alle sue suppliche. – Hai svelato della nostra esistenza e parlato della nostra natura solo per guadagnare qualche soldo.
- Non avevo di che mangiare. – cercò di giustificarsi lui. – Non sapevo più che fare per…
- Sta zitto. – lo intimò lei, avvicinandosi. – Non hai giustificazioni per aver usato il tuo dono come se fosse un misero trucco di prestigio.
Lui continuò a gemere e a supplicarla, ma lei non si fece impietosire. Si chinò su di lui e gli tolse la benda per poi afferrargli una caviglia. – È arrivato il momento della tua punizione.
Con una stretta, Diana gli frantumò la caviglia. L’uomo urlò, piangendo dal dolore.
La donna però non si fece impietosire. Gli sciolse le catene e lo spinse via. – Comincia a correre. – disse mentre il suo corpo veniva lentamente ricoperto di una folta pelliccia nera. – Corri se non vuoi morire subito.
E l’uomo corse. Ferito e terrorizzato, corse come non aveva mai fatto prima. Dietro di lui, Diana stava già ringhiando. Trasformata in una grossa pantera, era ormai arrivata a un balzo da lui.
 Disperato, anche l’uomo mutò il proprio aspetto, ma nemmeno in forma di pantera sarebbe potuto sfuggire alla cacciatrice. Se anche non fosse stato ferito niente avrebbe potuto salvarlo da lei.
In un attimo, Diana gli fu addosso. Le sue zanne si serrarono sulla gola della preda che emise un acuto verso di dolore.  In un attimo lo atterrò, bloccandolo con una zampa.
Non gli spezzò il collo. Non doveva morire così facilmente. La cacciatrice affondò zanne e artigli nel ventre della preda, straziandola e sventrandola.
Dopo lunghi e atroci minuti di agonia, dell’uomo non rimase che un cadavere maciullato.
Diana tornò umana e si pulì il sangue dalla bocca. Anche questa volta aveva compiuto il suo dovere, spietata e letale come era stata addestrata ad essere.
Aveva fatto ciò che era giusto per proteggere il branco. Per questo era nata. Per questo avrebbe continuato a cacciare.


Pubblicato da Unknown alle 11:01 0 commenti  

L'incidente

mercoledì 24 aprile 2013


Buonsalve amici. Un racconto scritto pensando alle disgrazie che a volte succedono nei momenti più inaspettati e che portano al risveglio di un solo, istintivo desiderio: quello di vivere.

L'incidente
(racconto n.236)

Sangue. C'era sangue ovunque. Mi sentivo confusa, stordita. Ero a terra, potevo sentire l'asfalto sotto di me, ma non riuscivo in alcun modo a ricordare perché mi trovassi lì.
Mossi la testa mentre pian piano i miei occhi cominciavano a mettere a fuoco ciò che mi circondava. Poco distante scorsi la carcassa di due auto che emettevano pericolosi sbuffi di fumo. Un uomo giaceva a terra con la faccia premuta sulla strada e le gambe schiacciate tra i detriti. Non riuscivo a capire se fosse vivo o morto.
Attorno a me sentivo dei pianti e gemiti di dolore, ma non riuscivo a capire da dove provenissero. Abbassai gli occhi e solo in quel momento mi resi conto che tutto il sangue che vedevo era il mio. Provai a gridare, ma era come se qualcosa mi premesse sulla gola, impedendomi quasi di respirare.
In quel momento i ricordi cominciarono a riemergere. Ero uscita di casa per andare in biblioteca a studiare. Avevo preso come al solito la bicicletta e imboccato la strada che percorrevo ormai almeno otto volte a settimana.
Sebbene avessi le cuffie alle orecchie ero perfettamente concentrata sulla strada davanti a me. Eppure l'attenzione non fu sufficiente.
Stavo per raggiungere un incrocio quando vidi una macchina sfrecciare a tutta velocità e passare con il rosso travolgendo un'altra macchina. Ci furono altri schianti, ma non riuscii a capire cosa stesse accadendo perché l’unica cosa che riuscii a vedere era una lamiera che mi veniva addosso..
Poi ci fu un dolore acuto e il nulla.
Non so quanto tempo passai priva di sensi.
Avevo paura, avevo tanta paura.
Ormai non cominciavo più a percepire il mio corpo. Sentivo freddo e la vista si stava di nuovo annebbiando.
Poi, all'improvviso, sentii il rassicurante suono delle ambulanze ormai vicine.
Chiusi gli occhi e sospirai sentendo le lacrime rigarmi le guance. Non avrebbero fatto in tempo.
Quando riaprii gli occhi però vidi una figura china su di me. - Sta tranquilla. - mi disse la figura. - Adesso ti portiamo in ospedale, ma tu non mollare.
Sbattei le palpebre sperando che lui capisse che non mi sarei arresa.
Sperando che capisse che volevo vivere.


Pubblicato da Unknown alle 11:39 0 commenti  

Le farfalle nello stomaco

martedì 23 aprile 2013

Buonsalve! Questo racconto è ispirato alla storia vera di una mia amica (lei sa a che mi riferisco ^,.,^)Buona lettura!

Le farfalle nello stomaco
(racconto n.235)

Alia non avrebbe mai pensato di poter trovare una persona in grado di farle sentire le farfalle nello stomaco, non dopo che aveva ricevuto tante batoste in campo sentimentale. Eppure quando aveva conosciuto Marco si era subito resa conto che aveva davanti a sé una persona molto, molto speciale.  Non riusciva a credere di potersi trovare così tanto in sintonia con una persona, di poter ridere e fare battute con qualcuno appena conosciuto come se avessero passato tutta la vita insieme. A livello fisico poi, lui le piaceva molto e Alia era certa che anche lui non fosse poi così indifferente. Per quanto lui però sembrasse darle dei segnali, la ragazza sembrava terrorizzata dal fatto di esporsi troppo con lui.
E se si stesse solo illudendo? Se quei segnali non fossero altro che sue fantasie? Per questo, quando le si presentò l’occasione, lei non si fece avanti.  Aveva organizzato una cena con diversi amici a casa sua e si era ritrovata con lui da sola nel corridoio che portava alla sua stanza, ma quando lui si avvicinò per abbracciarla lei non fece altro che ricambiare timidamente l’abbraccio per poi allontanarlo con una battuta. Quella però fu la sua ultima occasione perché poco dopo Marco si mise con una vecchia amica che gli era stata vicino quando anche lui aveva passato dei brutti momenti con la sua ex ragazza.
Alia capì di essere stata un’idiota. Per quanto cercasse di dimenticarlo, infatti, ogni volta che pensava a Marco o lo incontrava nei locali che frequentavano entrambi, la ragazza continuava a sentire le farfalle nello stomaco. Per questo dopo mesi di rimpianti decise che non era giusto nei confronti di se stessa continuare a tenersi tutto dentro. Quando quel venerdì lo vide, lo prese da un lato e gli disse tutto quello che le passava per la testa. Che ai suoi occhi lui era persona speciale, la più gentile e sensibile che avesse mai conosciuto. Gli disse che lo rispettava e che lo trovava davvero straordinario. Poi lui disse qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. – Non credevo che tu pensassi di me le stesse cose che io penso di te.
Alia rimase di sasso soprattutto quando lui la strinse e le diede un piccolo bacio al lato della bocca.
Il giorno dopo però lui gli scrisse che la ringraziava, ma che era stato contento di non essersi spinto troppo oltre con lei perché non voleva fare del male a nessuno. Lui aveva un impegno e doveva rispettare la sua ragazza.
Alia accettò la sua decisione sebbene non con poca amarezza. Non avrebbe mai pensato che lui, tre mesi dopo si sarebbe presentato alla sua porta nel cuore della notte.
- Che ci fai qui? – gli chiese.
Lui si limitò a sorridere. – Chiudi gli occhi. – disse.
E quando lei lo fece, lui la strinse forte, baciandola così intensamente da farle tremare le gambe.
- Ma… cosa…
- Non potevo stare con una persona sapendo di provare qualcosa per te. – sorrise lui.
Lei ricambiò il sorriso e lo baciò ancora, felice di avergli detto ciò che provava e godendosi le sue farfalle nello stomaco.



Pubblicato da Unknown alle 15:08 1 commenti  

Problemi di sonno

lunedì 22 aprile 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché ieri mattia mi sono svegliata sul serio con le mani sporche di sangue. Tranquilli non ho ucciso nessuno. Non so come, ma devo essermi fatta male ne sonno al lobo dell’orecchio che ha iniziato a sanguinare abbondantemente quindi, spavento iniziale a parte, niente di grave XD

Problemi di sonno
(racconto n.234)

Erano giorni che Mina non riusciva a dormire bene. Si svegliava sempre molto agitata e più stanca di quanto non fosse prima di andare a dormire.
Questo ovviamente influiva notevolmente sul suo umore diventato molto più instabile. Un pomeriggio decise di fare un giro in centro con Darla, la sua più cara amica, sperando di riuscire a risollevarsi e a farsi passare l’irritabilità di quei giorni.
- Che ti succede? -  le disse l’amica appena si sedettero assieme al tavolo di un bar.
- Non lo so. – rispose lei massaggiandosi le tempie. – Sono diversi giorni che dormo male, faccio strani sogni di cui non riesco a ricordare niente e che mi mettono addosso una strana agitazione.
Darla aggrottò la fronte, preoccupata. – Non dovresti provare a rivolgerti a qualcuno?
Mina trovò quell’affermazione davvero molto irritante, ma decise di calmarsi e lasciar correre. In quei giorni ci voleva davvero poco per farla arrabbiare.
L’amica se ne rese conto e cambiò subito argomento. – Carino il braccialetto che indossi, è nuovo?
Mina lo guardò cercando di ricordare dove lo avesse preso. – Al contrario. Non ricordavo nemmeno di averlo. Oggi l’ho trovato nel portagioie e ho deciso di indossarlo.
- Ti sta bene. – sorrise l’amica.
Poi, dopo una giornata passata a litigare con commesse e signore di mezza età, accadde qualcosa che le fece perdere davvero le staffe: avevano deciso di concludere la serata andando a mangiare insieme in un pub quando un ciccione, che sembrava essersi fatto il bagno nella cipolla, decise di farsi avanti e di sfoggiare tecniche di rimorchio degne del peggior porco attempato della storia.
Lo liquidarono in quattro e quattr’otto e questo  se ne andò mugugnando. – Magari se vi pagassi ve lo prendereste il mio cazzo, dannate troie lesbiche.
Mina quasi gli saltò addosso, ma l’amica la fermò. Non valeva la pena arrabbiarsi per un tipo del genere. L’incazzatura però le passò solo quando si mise a letto.
Si addormentò pensando a quanto sarebbe stato bello far rimangiare a quel tipo i suoi insulti.  
La mattina dopo si svegliò di soprassalto, agitata e zuppa di sudore. All’inizio pensò di aver avuto solo l’ennesimo incubo poi però, passandosi una mano sul viso, sentì su di essa qualcosa di denso e vischioso. Quando accese la luce, un urlo le morì in gola nel vedersi le mani sporche di sangue. Iniziò ad agitarsi per la casa in preda al panico e si buttò sotto la doccia con ancora il pigiama addosso e si ripulì completamente.
Un’ora dopo era sul divano, sconvolta. Accese la televisione, incapace di sopportare il silenzio e subito vide in primo piano una foto dell’uomo che l’aveva insultata la sera prima. Lo avevano ucciso facendogli ingoiare la sua stessa lingua.
In quel momento capì con orrore perché si svegliava sempre più stanca di prima e il perché del braccialetto e di altri oggetti di valore che si era ritrovata in casa e che non ricordava di aver comprato.
Tremante, alzò il telefono e compose il numero di Darla. – Ciao. – disse quando lei le rispose.- Ho bisogno di aiuto.


Pubblicato da Unknown alle 13:42 1 commenti  

La verità tra le fiamme

domenica 21 aprile 2013

Buonsalve! Questo racconto è scritto pensato alla presa di consapevolezza della verità, non sempre piacevole. L’idea è in parte ispirata al film “The Others”. Spero vi piaccia ^,.,^

La verità tra le fiamme
(racconto n. 233)

Lilim amava molto le fiamme. Viveva in una villa dove i camini venivano tenuti costantemente accesi a causa soprattutto del freddo che imperversava costantemente all’esterno. Costretta a starsene sempre in casa, Lilim trovava nelle fiamme una sorta di conforto alla solitudine a cui era costretta.
Nelle fiamme infatti poteva vedere “loro”.
Non sapeva chi fossero, ma ogni tanto le capitava di vedere nel fuoco alcuni individui, persone di cui lei non sapeva niente, ma che comunque l’aiutavano a evadere da quella monotonia fatta di ricami e letture.
A volte le capitava perfino di parlare con una di loro. Si chiamava Angeline e aveva un carattere allegro e spigliato. Passavano ore a parlare mentre ricamavano davanti a quel camino che sembrava una sorta di porta tra due realtà. Per Lilim, Angeline era fantastica! Così entusiasta e allegra da coinvolgerla sempre e trascinarla col suo entusiasmo.
Le chiacchierate con lei erano diventati gli unici momenti allegri della giornata.  Un giorno Angeline la salutò in maniera più entusiasta del solito.
- Che cos’hai? – le chiese Lilim. – È successo qualcosa?
 Lei si sedette davanti al fuoco tenendo un libro poggiato sulle gambe. – Ho trovato il modo di aiutarti.
Lilim aggrottò la fronte. – Che vuoi dire?
- Devi ricordare quello che ti è successo, il motivo per cui sei qui. – esclamò Angie con un sorriso radioso. – Così almeno potrai andare.
La ragazza non capì di cosa stesse parlando, ma aveva una strana, orribile sensazione. Era come se le parole dell’amica avessero in qualche modo toccato un nervo scoperto. Cominciò a sentirsi strana e agitata. – Io… non… di che cosa stai parlando?
Angie aprì il libro e si fece improvvisamente serie. – Questo è un diario che ho trovato nella biblioteca della casa. – iniziò a leggere con voce calma e decisa. -  La mia bambina ormai se n’è andata .Ha sofferto per giorni e giorni su quel letto, impossibilitata anche solo a muoversi o a parlare.  Il suo bellissimo volto era livido e tumefatto. Quando l’abbiamo trovata era ridotta così male che l’abbiamo riconosciuta a stento. Mi hanno consigliato di scrivere questo diario per alleviare il dolore, ma è come se avessi delle lame nella carne.
 Non avrei mai pensato che qualcuno potesse farle una cosa del genere, che potessero esistere tali mostri. Non posso definirli esseri umani, non posso considerare persone le bestie che hanno picchiato e torturato la mia bellissima Lilim.
Lilim deglutì, incapace di dare un senso a ciò che aveva appena ascoltato. – Io… non capisco… non riesco a…
Il volto di Angie si fece triste nel rendersi conto che Lilim davvero non capiva di cosa stesse parlando. – Lil tu sei morta. Sei uno spirito imprigionato su questa terra.
Fu allora che i ricordi la travolsero. Ricordò l’orribile sera in cui venne aggredita da un gruppo di sbandati, le percosse e le violenze, il dolore per le ossa rotte e le ferite al volto, l’agonia di quelle ultime giornate prima di spegnersi e poi… poi si era semplicemente ritrovata in quella casa a ripetere di continuo gli stessi, monotoni gesti come se fosse una prigione dalla quale non poteva, o non voleva, scappare.
Una lacrima le scese lungo la guancia.
- Sta tranquilla, Lil. – la rassicurò Angie. –Ora che sai la verità potrai farcela a passare oltre. Io sarò con te fino alla fine.
Lilim sorrise di rimando. Non sapeva perché, ma nonostante gli orribili ricordi della sua morte, adesso che sapeva la verità si sentiva stranamente, profondamente serena.



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La preda sbagliata

sabato 20 aprile 2013

Buonsalve! Un racconto scritto pensando a come a volte una vittima può rivelarsi un carnefice ben peggiore del suo persecutore. Buona lettura ;)

La preda sbagliata
(racconto n.232)

Erano settimane ormai che Carla aveva l’orribile sensazione che qualcuno la stesse seguendo.  Si sentiva costantemente osservata e ogni tanto scorgeva  con la coda dell’occhio una figura avvolta in un soprabito scuro. Non ne era sicura ovviamente, ma col tempo si sentì sempre più ansiosa e paranoica.
Poi arrivarono i fiori. Ogni giorno le venivano recapitati a casa e al lavoro diversi mazzi di rose che ovviamente lei provvedeva a buttare. Col tempo oltre ai fiori arrivarono i messaggi, messaggi inquietanti  in cui il suo misterioso “ammiratore” la definiva la “sua preda più affascinante” e le prometteva che presto sarebbero stati insieme per sempre.
Ogni volta, Carla restava immobile a fissare a quei biglietti pensando chi fosse l’individuo disgustoso che la stava tormentando a quel modo.
Sapeva bene che le cose non potevano andare avanti così. Doveva trovare un modo per farla finita.
Per questo decise di prendere lei l’iniziativa. Si mise una gonna inguinale e una camicetta molto scollata e uscì di casa. I tacchi degli stivali picchiettavano sull’asfalto attirando su di lei gli sguardi di tutti i passanti.
Stava attraversando un vicolo buio quando sentì qualcuno avvicinarsi.
- Non dovresti andartene in giro così. – disse una voce. – Tu non sei una donnaccia… non sei come quelle squallide ragazze che si vedono in giro…
Carla si fermò e rimase immobile. – Io mi vesto come voglio – disse. – e vado a letto con chi voglio.
- No, tu sei pura! – ringhiò l’uomo. – Tu non sei così! Non devi essere così! Tu sei mia!
Quando lui cercò di afferrarla, Carla reagì. Scartò di lato e sfoderò il pugnale che teneva nella borsa, facendolo sbilanciare e cadere a terra. In un attimo gli  fu sopra e gli piantò la lama nel ventre.
Il maniaco iniziò a piangere e a mugugnare, ma lei, impassibile, gli premette la mano sulla bocca e continuò il suo lavoro di coltello.
Lo lasciò solo quando ebbe riversato le sue interiora sull’asfalto per poi tagliargli i genitali e inserirli all’interno del corpo sventrato.
Non glieli avrebbe mangiati, non come aveva fatto con tutte le sue altre vittime. Lui era un verme, un essere meschino che non meritava di far parte del mio essere.
 - Mi dispiace, porco maniaco – gli sussurrò in un orecchio – ma questa volta hai puntato la preda sbagliata.


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La mia natura di lupo

venerdì 19 aprile 2013

Buonsalve! Oggi avevo proprio voglia di scrivere una storia sui licantropi anche perché i lupi (dopo i pinguini) sono i miei animali preferiti ^,.,^ Buona lettura a tutti!!!

La mia natura di lupo
(racconto n.231)


Tutto iniziò la sera in cui decisi di uscire con delle mie amiche per una notte di bagordi e festeggiamenti.
Eravamo giovani, affascinanti, single e soprattutto avevamo tanto, tanto bisogno di spassarcela. Optammo per andare in uno dei night club più alla moda della città dove iniziammo subito a scatenarci in folli danze. Ero un po’ brilla quando lo vidi.  Mi osservava attraverso la folla e le luci psichedeliche con gli occhi che sembravano brillare di una luce ambrata sul volto dai lineamenti decisi e marcati. In quel momento provai un fremito che non riuscii a spiegarmi. Ebbi come l’impressione che tutto il mio essere fosse attratto da lui. Deglutii e mi feci largo tra la folla, ignorando completamente le mie amiche.  
Quasi senza rendermene conto mi ritrovai nel parcheggio, da sola. Mi guardai attorno cercando di capire bene come potessi essere finita lì. All’improvviso però un’ombra sbucò dalla vegetazione.  Non ebbi nemmeno il tempo di reagire. Senti un dolore acuto attraversarmi tutto il corpo poi ci furono solo le tenebre.
Mi risvegliai in una camera di ospedale con la spalla fasciata e una flebo attaccata al braccio.
Quello fu il primo giorno della mia nuova esistenza.  All’inizio il cambiamento si manifestò solo attraverso i miei sensi. Erano molto più sviluppati e ogni impulso mi arrivava così accentuato da  essere quasi insopportabile e spaventoso. Poi ci fu la luna piena.  Stavo camminando nei pressi del parco cittadino per tornare a casa quando sorse. Cominciai a sentire un dolore atroce attraversarmi tutto il corpo, come se le mie ossa stessero premendo per uscire all’esterno.  Urlai e mi dimenai, in preda a un terrore cieco. Ero certa di stare per morire ed erro terrorizzata. Fu allora che l’uomo del night club mi trovò.
- Sta tranquilla. – mi disse.- Presto passerà. Finirà tutto presto lo giuro.
All’improvviso il dolore si fece così intenso che  persi conoscenza. Quando mi ripresi ero all’interno del parco. Stordita e confusa, cercai di alzarmi, ma mi resi conto di non riuscire a mettermi in piedi. Solo in quel momento mi accorsi che al posto delle braccia avevo zampe ricoperte da un folto pelo castano.
- Sta calma, Lauren… non ti agitare. -  disse qualcuno accanto a me.
Mi ci volle un attimo per rendermi conto che apparteneva all’uomo del night club.
- Il mio nome è Nicolas
“Cosa mi sta succedendo?”  pensai.
- Ti sei trasformata. – continuò lui come se avesse letto nei miei pensieri. – Grazie al mio morso e alla luna adesso il tuo lupo è emerso.
Fu come se un violento istinto prendesse  il sopravvento sul mio essere. Mi avventai contro di lui a zanne scoperte mentre una rabbia cieca si impadroniva di me. In un attimo lui mi spinse via e si tramutò a sua volta in lupo. Non so per quanto combattemmo, ma alla fine dopo un po’ finii a terra stremata.
Lo odiai per molto tempo per ciò che mi aveva fatto, ma capii che solo grazie a lui potevo capire come tenere a bada la mia natura di lupo.
Solo adesso però, dopo tanti anni, ho capito la verità su quella notte: quando Nicolas mi aveva morsa non mi aveva propriamente trasformata, ma aveva solo permesso alla mia vera natura di emergere.
Il sangue e il cuore del lupo erano già dentro di me, per questo mi ero sentita così attratta da lui. Per questo adesso, dopo tanto tempo, finalmente riesco a sentirmi davvero me stessa.



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Una persona irritante

giovedì 18 aprile 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato a quel grande libro che è Fight Club ^,.,^ 
Buona lettura!!!!!

Una persona irritante
(racconto n.230)

Ci sono persone così irritanti e fastidiose che a volte fanno venire l’impulso di prenderle a schiaffi fino a far diventare loro le guance viola. Mick era esattamente uno di queste persone.
Lavoro con lui da circa due cinque mesi in un supermercato e a stento riesco a resistere all’impulso di farlo a pezzi e rinchiuderlo in uno dei congelatori  del reparto surgelati.
Mick era un arrogante, spocchioso, idiota che pensava che solo per il fatto che lavorava in quella fogna da più di tre anni poteva divertirsi a sfogare le proprie frustrazioni sui nuovi arrivati.
Con me non aveva fatto altro fino a quando era arrivata Triscia. Lei era quella che si poteva definire una  gran figa. Con gambe lunghe e affusolate e lo sguardo da gatta, era dotata di un fascino magnetico che attirava inevitabilmente gli sguardi di tutti.
Quello che più piaceva di lei era la sua grinta. Il suo primo giorno Mick aveva subito provato a prenderla di mira: mentre stava sistemando uno scaffale, lui le si era avvicinato con la sua solita aria da viscido spaccone.
- Fa pure con calma. – le disse incrociando le braccia sul petto. – Non hai bisogno di affrettarti più di tanto, visto che i minuti che perdi a sistemare questa roba ti verranno decurtati dallo stipendio.
Lei si limitò a buttare una confezione di spaghetti su uno scaffale e a fronteggiarlo a testa alta. – Ma tu guarda, ancora non avevo visto il viscido maschio frustrato  di questo squallido posto. Dimmi, ti piace essere un povero trentacinquenne vergine che vive ancora con la mamma e che non si accorge di essere tanto patetico quanto squallido anche sul posto di lavoro?
Lui rimase di sasso. Non disse niente mentre lei si spostava per controllare il banco frigo.
- Oh, a proposito – disse la ragazza un attimo dopo – questo yogurt è scaduto.
In un attimo gli versò il contenuto del barattolo in testa, provocando le risate di tutti.
Mick non ebbe più il coraggio di tormentare nessuno per una settimana poi però riprese a sfogarsi su di me. Mi trattò così da schifo mentre mi dava della stupida, patetica, fallita che quando me ne andai piangendo mi dissero che Triscia lo afferrò e lo attaccò al muro davanti a tutti. – Ti giuro che se provi ancora a maltrattarla ti ritroverai a pezzi in un uno dei congelatori del reparto surgelati.
Lui però non si fece intimidire, al contrario divenne ancora più insopportabile.  Due settimane dopo trovarono le sue braccia e le sue gambe  nei congelatori del pesce e il busto in quello del gelato. La sua testa era invece stata poggiata sopra alcune confezioni di yogurt.
Quando vidi quei resti rimasi così sconvolta che dovetti correre in bagno a vomitare. Era stata lei, era stata Triscia non avevo dubbi. La cosa che più mi spaventava però era che gli aveva fatto tutto quello che avrei voluto fargli io. Era come se avesse in qualche modo concretizzato i miei pensieri. Corsi in bagno e vomitai tutto quello che avevo nello stomaco. Mi sciacquai la bocca, ma quando alzai lo sguardo mi bloccai: il volto di Triscia mi fissava con un sorriso soddisfatto dallo specchio.
Solo allora mi resi conto di una cosa: stavo sorridendo anch’io.


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Osservare la vita

mercoledì 17 aprile 2013

Buonsalve! Questo racconto é nato poche ore fa, mentre tornavo in treno da Milano. L'ho scritto perché mi sono resa conto col tempo che la mia visione della scrittura e della lettura sono cambiate molto. Esse devono essere un modo per arricchire la nostra vita non per fuggire da essa.  Le prime storie che dobbiamo creare sono le nostre altrimenti non faremo altro che essere come degli specchi opachi che a malapena riescono a riflettere storie scritte da altri. Saremo vuoti e tristi, senza alcuna vera emozione da trasmettere.

Osservare la vita
(racconto n.229)

Mi chiamo Sara e fino a ieri ero una stazionatrice professionista.
Che cosa vuol dire? Beh in pratica ogni volta che avevo un momento libero passavo tutto il mio tempo nella stazione centrale di Milano, provando a immaginare la vita dei numerosi viaggiatori che mi passavano davanti. A volte mi mettevo anche a chiacchierare con loro scoprendone così le destinazioni e creando attorno ad esse storie di ogni tipo.
In tre anni avevo raccolto quaderni su quaderni di queste storie e incontrato persone di tutti i tipi. Due giorni fa però è accaduto qualcosa che ha minato ogni mia sicurezza.
Ero appena uscita dal lavoro e me ne stavo come al solito in stazione a osservare e a scrivere quando all'improvviso mi si é avvicinata una bambina.
Per un po' rimase semplicemente a guardarmi con aria interrogativa.
- Ciao. - le dissi con un sorriso.
Lei mi fece un timido cenno di saluto con la mano.
- Che cosa fai? - mi chiese dopo un po'.
- Scrivo delle storie. - dissi mostrandole il quaderno su cui stavo scrivendo.
Lei si chinò a guardare, ma ovviamente non capì niente della mia calligrafia confusa. - Di che parlano?
Sorrisi, intenerita dalla sua genuina curiosità. - Delle persone che vedo qui in stazione. Provo a immaginare le loro vite, dove vanno e perché.
Il volto della bambina si distese in un sorriso emozionato. - Bello! - disse per poi aggiungere qualcosa che mi lasciò completamente spiazzata. - Hai scritto anche una storia su di te?
Non so perché, ma continuai a rimuginare su quelle parole finché non decisi di provare a scrivere la mia storia.
Dopo un po' però mi resi conto di non sapere molto bene che scrivere. Che cosa potevo dire di me? Che passavo tutto il mio tempo libero in una stazione a immaginare le vite degli altri? Che non facevo altro che scrivere storie che nessuno avrebbe mai letto?
Ancora adesso mi trovo a fissare una pagina bianca, vuota come mi sto sentendo in questo momento.
Mi sono resa conto di non avere certezze se non quella di stare sprecando tanto, troppo tempo. No, ce n'é un'altra, una cosa che potrebbe cambiare molte cose: domani io non  andrò in stazione.
Forse così potrò cominciare a creare la mia storia.


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La casa

martedì 16 aprile 2013

Buonsalve! Questo racconto é stato ispirato da una piccola casa che vedo sempre quando rientro a piedi dal lavoro. Buona lettura ^,.,^

La casa
(racconto n.228)

In una strada non molto trafficata di Torino c’era una piccola casa incastonata tra due alti palazzi. Era molto piccola, un’abitazione di due piani piuttosto vecchia alla quale nessuno badava più di tanto.
Michele però ne era sempre rimasto affascinato.
Ogni volta che passava per quella strada gli lanciava occhiate incuriosite, chiedendosi chi ci abitasse e quali storie fossero nate al suo interno. Le finestre però erano sempre chiuse e non aveva mai visto entrare o uscire nessuno. Per questo un giorno decise di provare ad avvicinarsi.
Si piazzò davanti alla porta, senza saper bene cosa fare, domandandosi perché se ne stesse lì a fissarla imbambolato invece di bussare o andarsene. All’improvviso però la porta si aprì emettendo un cupo cigolio.
All’inizio Michele rimase impietrito. Si guardò attorno, chiedendosi se sarebbe dovuto entrare o meno.  Dopo l’esitazione iniziale però si fece avanti ed entrò nella casa.
Sembrava una normalissima abitazione all'interno, ma a Michele trasmetteva una strana sensazione di ansia. Faceva freddo, un freddo che gli entrava nelle ossa e gli annebbiava le mente.
Si avviò verso le scale, ma una voce lo bloccò. “Michele… sei tu Michele?”
Si girò e vide sua madre che lo fissava col volto pallido e scavato dalla malattia. 
- Mamma… sei… sei tu? 
“Perché mi hai lasciato morire? Perché mi hai fatto questo?
Michele scosse la testa sentendo il respiro mozzarglisi in gola. Non poteva essere vero. Sua madre era morta da diversi anni. 
La donna si avvicinò e tese le mani adunche verso di lui. Quando lo toccò sul viso, Michele urlò nel sentire il proprio volto bruciare e fondersi come corrosa da un potente acido.  Prima sentì la pelle sciogliersi poi la carne e i muscoli. 
Urlò e urlò, straziato da quel dolore atroce mentre nella sua mente continuava vedere e sentire il proprio corpo deteriorarsi.
Attorno a lui, la casa sembrava vibrare di soddisfazione mentre si nutriva della sua paura e della sua sofferenza, mentre, attraverso quelle orribili illusioni, scavava nel profondo del suo essere per nutrirsi della sua anima.

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Nel sangue e nel dolore

lunedì 15 aprile 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto pensando a come la mente possa distorcere la percezione delle cose, come possa distorcere la percezione delle cose.  Buona lettura!

Nel sangue e nel dolore
(racconto n.227)

La lama di un pugnale è come una cara amica: ti fa sentire forte e ti aiuta nei momenti più difficili, quelli in cui solo una soluzione drastica può davvero risolvere le cose.
Io adoro i coltelli. Mi hanno aiutato molto nel compiere il mio dovere.
Molti direbbero che sono pazzo, che dovrei essere rinchiuso in una cella e lasciato lì a marcir. In realtà sono solo un uomo che sa guardarsi bene attorno.  Vedo la crudeltà nella gente, vedo il lato più oscuro e perverso dell’animo umano e i pugnali sono le armi che uso per estirparlo.
È iniziato tutto una notte di tre anni fa. Allora ero un patetico fallito, incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse starmene seduto per ore in un pub a bere. Non a ubriacarmi, intendiamoci, ero così incompetente che non riuscivo a fare nemmeno quello.
Stavo tornando a casa a piedi quando delle grida attirarono la mia attenzione. Un uomo stava picchiando un ragazzo più giovane con sul volto il sorriso di chi se la stava godendo un mondo.  All’inizio provai solo una gelida indifferenza. Quella situazione non mi riguardava quindi non dovevo intromettermi.
Poi però sopraggiunse il disgusto. Quell’essere e la soddisfazione che gli traspariva dal volto erano rivoltanti. In un attimo mi ritrovai con una spranga in mano. Lo colpii alla testa più e più volte spargendo nel terreno la sua materia cerebrale. Me ne andai prima ancora che il ragazzo potesse mettere bene a fuoco il mio viso. Dopo quel giorno capii che c’era qualcosa di marcio nel nostro mondo e che qualcuno doveva muovere i primi passi per estirparlo. Ma se volevo davvero fare un buon lavoro e sbarazzarmi di quei parassiti, di quei disgustosi, viscidi vermi,  allora dovevo andare a fondo. Dovevo scavare nella carne e strappare il putridume da quegli esseri spregevoli.
Per questo ho scelto i pugnali e le loro lame lente e precise, perfette per compiere il mio dovere. Non potevo fermarmi perché quella era la mia missione, il compito a cui non avrei mai rinunciato, che mi era stato affidato dal destino: eliminare la feccia nel sangue e nel dolore.


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Una storia di vita

domenica 14 aprile 2013

Buonsalve. Questo racconto è ispirato alla storia di una persona con cui ho avuto modo di parlare sabato.  A volte tendiamo a considerare le persone solo per  quello che fanno non per chi sono veramente e trovo tutto ciò davvero molto, molto triste.

Una storia di vita
(racconto n.226)

Mi capita spesso di osservare le persone che mi circondano e di ascoltare le storie che li hanno portati a essere quello che sono. Non sono molte le volte che sento racconti allegri.
La settimana ad esempio, mentre ero all’università, ebbi modo di parlare con un inserviente e di ascoltare la sua storia.
Nel suo paese lui era laureato in chimica. Le difficoltà e i problemi lo avevano portato a doversene andare e a cercare di crearsi una nuova vita altrove.   Era arrivato in Italia su invito di un amico che gli aveva proposto di fermarsi lì per un po’ e magari cercare un impiego nel suo campo.
Per potersi pagare da vivere, aveva iniziato a lavorare in un cantiere edile. Ogni giorno trasportava sacchi di cemento fino a farsi venire le vesciche e a sentirsi i muscoli in fiamme. Quando però lo avevano pagato era rimasto sorpreso della cifra guadagnata in sole tre settimane. Non avrebbe mai potuto sperare in una paga simile nel suo paese nemmeno se avesse continuato a lavorare come chimico. Ne fu davvero meravigliato e questo lo convinse a stabilirsi in Italia definitivamente.  Gli anni passarono e il lavoro si fece tanto più duro quanto lo stipendio basso.
Nel frattempo aveva provato a trovare lavoro nel suo campo, ma il fatto che fosse straniero sembra essere un limite per lui. Alla fine, dopo dieci anni, aveva desistito.
Era però riuscito a trovare un posto da inserviente all’università in modo da restare in qualche modo in contatto con quello che era stato. Nessuno si accorse mai di lui né aveva mai nemmeno provato a farsi domande su chi fosse davvero.
 Quando alla fine della nostra chiacchierata dovette andare via per riprendere il suo lavoro, mi ritrovai a guardarlo con occhi diversi e a chiedermi  ancora di più cosa nascondessero le persone attorno a me. C’erano così tante vite e così tante storie eppure spesso ci troviamo a ignorarle perché troppo concentrati su di noi e sui nostri problemi..
Non so perché, ma in quel momento mi sentii davvero molto, molto triste.



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La paura della morte

sabato 13 aprile 2013

BUonsalve! Un racconto sull’ossessione della morte e sulla paura di vivere che spesso porta a non vivere affatto.  Ammetto che sono cose a cui a volte penso e che mi spaventano, sebbene la domanda che mi faccio più spesso è una: com’è possibile rinunciare a fare qualcosa, qualsiasi cosa, solo per paura?

La paura della morte
(racconto n.225)

Per  Henry la morte era un pensiero frequente e ossessivo. A volte veniva preso da un senso di angoscia opprimente che gli mozzava il respiro e non lo faceva dormire.
 Spesso pensava che prima o poi sarebbe toccato anche a lui, che il suo corpo sarebbe morto e di lui non sarebbe rimasto più niente.  Aveva paura di cosa ne sarebbe stato della sua anima, che una volta morto non ci sarebbe stato che il nulla. Non un paradiso né un inferno solo… il vuoto.  Questo lo aveva portato a trascorrere tutta la sua esistenza nella paura. Passava le giornate nella paura che potesse accadergli qualcosa. Per questo stava molto attento quando doveva cucinare, cercando di non usare coltelli troppo affilati o di accendere il gas più di una volta al giorno e quando usciva di casa non faceva che evitare tutti i posti in cui avrebbero potuto capitargli degli incidenti.
Evitava quindi i luoghi troppo affollanti, per non rischiare di venire travolto dalla folla o finire in una rissa, non attraversava mai le strade troppo trafficate né andava in posti che reputava estremamente pericolosi come il mare o la montagna. Per non parlare poi dei suoi legami con le persone: riteneva i contatti fisici pericolosi e pensava che i rapporti umani portassero inevitabilmente alla depressione e al suicidio ergo erano da evitare.
Un giorno però, mentre stava scendendo dal letto, scivolò su una delle sue pantofole e batté la testa contro lo spigolo della cassettiera. Non si svegliò più.
Il suo ultimo pensiero, mentre cadeva per morire in quel modo così stupido, fu che non avrebbe mai pensato che potesse andarsene così presto né in maniera così stupida.  Nei suoi numerosi, disperati tentavi di sfuggire alla morte aveva finito col non vivere affatto.  


Pubblicato da Unknown alle 11:46 1 commenti  

Incontro al buio

venerdì 12 aprile 2013

Buonsalve! Questo racconto è ispirato agli appuntamenti al buio o agli incontri avvenuti in chat o attraverso dei social network. Spesso li prendiamo davvero molto alla leggera. Ma in fondo che cosa potrebbe capitarci di male?

Incontro al buio
(racconto n.224)

A cosa può portare un incontro al buio? Forse è solo il momento in cui due persone incrociano per un po’ le loro vite per poi separarsi un attimo dopo e riprendere a percorrere i rispettivi sentieri. Oppure può essere l’inizio di qualcosa di importante in grado di durare per una vita intera.
Marie non si era mai posta troppo domandi, né si era mai fatta troppo problemi nell’organizzare incontri al buio con persone con le quali aveva parlato si e no due volte su internet.
La maggior parte delle volte i suoi appuntamenti si erano risolti in veri e propri disastri, ma questa volta era sicura che sarebbe andato tutto alla grande.
Jonathan sembrava davvero un tipo in gamba, serio e affascinante. Avevano passato ore a chattare di arte e cultura e nelle foto che le aveva mandato era davvero un figo da paura.
Si diedero appuntamento in una zona affollata del centro e lui si comportò fin da subito in maniera molto galante. Le donò una serata magica, romantica ed elegante.
Marie ne fu davvero rapita, tanto che quando lui la portò in una casa isolata quasi non ci fece caso. Voleva andare a letto con quell’uomo bellissimo e affascinante, il resto erano solo dettagli.
Lui la fece accomodare nell’abitazione e richiuse la porta alle sue spalle. Solo quando vide i grossi teli di plastica che ricoprivano la stanza si rese conto che c’era qualcosa che non andava in quella situazione.
Stette per chiedere spiegazioni, ma in un attimo si ritrovò la mano di lui sulla bocca. Sentì un odore strano, come di mandorle, poi crollò a terra.
Quando si risvegliò si ritrovò legata e imbavagliata a un tavolo operatorio. Iniziò a tremare mentre Jonathan la guardava con occhi avidi e bramosi. Nella sua mano, un bisturi brillava inquietante alla luce della lampade al neon. L’uomo si fece avanti e iniziò a incidere la carne.
Le grida di Marie, soffocate dal bavaglio, si persero nel silenzio della casa. Le lacrime le scesero subito sulle guance. Si pentì di aver preso così alla leggera quei suoi appuntamenti al buio. In fondo a cosa potrebbe portare un incontro al buio? Beh magari potresti incontrare il tuo assassino.


Pubblicato da Unknown alle 14:08 1 commenti  

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