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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

Ti va di vivere un'avventura?

sabato 31 agosto 2013

Buonsalve! Siamo arrivati alla fine amici, questo è l’ultimo dei 365 racconti di questo blog. Questo anno per me è stato ricco di emozioni e avvenimenti. Ho chiuso il mio negozio, ho deciso di tagliare i ponti con il mio editore, scritto un nuovo romanzo e ricevuto tante delusioni quante soddisfazioni. Ho rivalutato persone e amici, trovandone di nuovi e rinunciando ad altri, ho commesso errori e ho cercato di porvi rimedio e ho mi sono scoperta pronta a ricominciare la mia vita da zero.  Mi sono riscoperta più decisa e più forte e questo blog è stato testimone di tutto questo. Quest’ultimo racconto è per tutte le avventure che, come questa, hanno avuto fine e per quelle che ancora devono iniziare.
È stato scritto pensando anche a voi, amici, che mi avete seguita e sostenuta durante tutto l’anno.
Con la speranza che vogliate seguirmi anche nella mia prossima avventura.

Ti va di vivere un'avventura?
(racconto n.365!!!!)

“Ehi, Mina! Ti va di vivere un’avventura?”
È stato con queste parole che mi hai rapita, tu così incosciente da voler sfidare il mondo, così folle da avere una possibilità di riuscire a conquistarlo. Il tuo sorriso, entusiasta e pieno di vita, ha dissipato da me ogni dubbio. Sapevo che ti avrei seguito, sempre e ovunque. Insieme siamo partiti verso la nostra grande avventura, abbiamo visto posti meravigliosi, conosciuto persone straordinarie e mostri che di umano avevano solo l’aspetto. Siamo stati felici assieme, amanti bramosi di sguardi, liberi come solo insieme potevamo essere.
Poi la tua storia ha avuto fine. Quando ti ho visto morire un vuoto oscuro ha cercato di impadronirsi di me eppure, nonostante tutto, quel tuo sorriso è riuscito in qualche modo a dissiparlo. Avevamo raggiunto una terra lontana, dalla parte opposta del mondo. Lì, tra gli alberi di una foresta selvaggia, siamo caduti in un’imboscata. Siamo scappati, fuggendo da quegli uomini che ci avrebbero ridotti in schiavitù, bestie che vendevano le persone come se fossero animali. Tu mi hai stretto la mano per tutto il tempo, infondendomi coraggio e forza. Poi, all’improvviso, ti sei voltato e li hai affrontati.
Hai combattuto come un leone, uccidendone molti , resistendo fino all’arrivo dei nostri compagni di viaggio. Sei crollato solo quando mi hai saputa al sicuro.
Non ricordo quante lacrime ho versato mentre pian piano morivi tra le mie braccia eppure, proprio  nel momento della fine, mi hai sorriso e mi hai sussurrato le tue ultime parole.
Quando ti abbiamo seppellito sono rimasta a lungo in ginocchio davanti alla tua tomba, cercando di scacciare il dolore e la sofferenza per non essere riuscita ad aiutarti, per non essere stata la degna compagna che meritavi e non aver potuto fare niente per te. Poi risentii nella mente le tue ultime parole come se il vento le avesse custodite nel tempo: “Ehi…. Vivi per me... una nuova avventura.”
 Per un attimo ebbi la sensazione che la tua mano stringesse ancora una volta la mia per infondermi nuovamente coraggio e forza. Mi sono alzata e, asciugandomi le lacrime, ho sorriso così come tu facevi sempre. Il tempo di un addio silenzioso poi mi sono voltata e sono tornata a sorridere a una nuova avventura.




Pubblicato da Unknown alle 08:55 1 commenti  

Paura dei numeri

venerdì 30 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato dal fatto che il mio ragazzo ogni tanto mi prende in giro dicendomi che sono talmente spaventata dai numeri che li sogno inseguirmi di notte. XD  Buona lettura!

Paura dei numeri
(racconto n.364)

Marta odiava i numeri con tutta se stessa. Non che non sapesse contare, semplicemente non le piaceva fare operazioni troppo complicate. Ogni volta che le mettevano davanti un calcolo troppo complesso in un primo momento si sentiva spaesata, poi cominciava a sentire una certa agitazione seguita da un vero e proprio attacco di panico se non riusciva a risolverlo.
Un giorno la sua insegnante di matematica le mise davanti un foglio pieno di numeri e formule strane. Per una volta Marta si sentiva sicura sull’esito del compito:  aveva passato settimane a studiare e prepararsi aiutata dalla sua migliore amica. Conosceva ogni passaggio alla perfezione ed era perfino riuscita a vincere la sua ansia per i numeri.
Quando lesse cosa c’era sul foglio però inorridì: non aveva mai studiato niente di simile in vita sua. Rimase per un attimo a fissare i numeri sotto al suo naso con gli occhi gonfi di lacrime.
All’improvviso iniziò a tremare, spaventata. Per un attimo gli sembrò addirittura che i numeri  che stava guardando avessero iniziato a muoversi. Si stropicciò gli occhi, cercando di calmarsi, ma quando tornò a guardare si rese conto con orrore che i numeri si stavano davvero muovendo.
Ondeggiavano e sbattevano gli uni sugli altri sempre più velocemente finché non divennero scie indistinte sotto lo sguardo allucinato di Marta.
D’un tratto i numeri schizzarono fuori dal foglio, strappando un grido alla ragazza che si alzò dalla sedia e corse via.  I numeri però non vollero darle tregua. Uniti in un vortice indistinto, le volarono dietro finché non la raggiunsero, travolgendola e trascinandola in un turbinio confuso.
Marta, ormai in preda al terrore, non poté fare altro che gridare e gridare, sperando che qualcuno la salvasse da quell’orrore di numeri.

Un attimo dopo, Marta si alzò a sedere di scatto, tremando. Le ci volle un po’ per rendersi conto di trovarsi nel suo letto e di aver avuto solo un bruttissimo incubo. I tempi della scuola erano finiti e quello era stato solo un brutto sogno.  Era sollevata dal fatto che i numeri non si sarebbero mai più messi a inseguirla. 


Pubblicato da Unknown alle 10:33 1 commenti  

Le campane

giovedì 29 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è stato ispirato da delle campane che ho visto tornando in treno dalle vacanze. Scrivendo questo post mi sto rendendo conto che ormai mancano solo due racconti… le ultime due storie di un’avventura durata tutta un anno. Quasi non mi sembra vero.

Le campane
(racconto n.363)

Carl aveva sempre odiato il suono delle campane. Gli ricordavano i momenti più brutti e angoscianti della sua vita, tutto quello che non era mai riuscito a fare per le persone a cui voleva bene.
La prima volta che ricordava di aver sentito le campane fu quando suonarono cupe per il funerale di sua madre. Aveva da poco compiuto quattro anni.
Sua madre si era ammalata all'improvviso e si era spenta così velocemente da non dargli quasi il tempo di capire cosa stesse accadendo. Anni dopo aveva sentito suonare le campane alle nozze della ragazza che amava e che lo aveva lasciato per un'idiota che la trattava da schifo, ma che poteva darle un tenore di vita decisamente migliore.
Per questo Carl tremava ogni volta che sentiva una campana. Quel suono gli dava sempre l'orribile sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto.
Poi, una mattina, venne svegliato da un cupo scampanio.
Si alzò di scatto, gridando terrorizzato e tremante per quello che gli era sembrato un orribile lamento. Si scosse, cercando di dimenticare quel suono orribile e iniziò la sua giornata. Dopo sei ore esatte, però, il rintocco si ripeté. Carl era al lavoro e si mise a urlare davanti ai colleghi che tentarono di rassicurarlo dicendogli di non aver sentito niente.
Lo scampanio però si ripeté, facendosi sempre più intenso e frequente.
Tre giorni dopo era diventato un suono incessante e continuo nella mente dell'uomo che, ormai al limite, non riusciva quasi più a uscire di casa.
All'improvviso Carl sembrò perdere la testa. Cominciò con l'alzare il volume di radio e televisione al massimo per non sentire più la campana che gli risuonava in testa, ma quando vide che le cose non miglioravano iniziò a picchiare la testa contro la parete, a  urlare e a farsi del male per farla smettere.
I suoi vicini chiamarono subito la polizia, ma quando gli agenti provarono a calmarlo, sul volto di Carl si dipinse un ghigno orribile.
- Ho capito! Finalmente so come farla smettere!
Così dicendo, si lanciò dalla finestra del suo appartamento. Precipitò per sette piani e in quel breve lasso di tempo la campana suonò più forte che mai.

Poi ci fu il nulla e la morte che avvolse ogni cosa, ponendo definitivamente fine all’ultimo scampanio della sua vita.


Pubblicato da Unknown alle 10:01 1 commenti  

Il complotto

mercoledì 28 agosto 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato a personaggi realmente esistenti de quale non posso parlare, ma le cui storie sono davvero molto, molto più assurde di questa.

Il complotto
(racconto n.362)

Vincenzo era un uomo semplice, un amante della campagna che aveva un grosso, bruttissimo vizio: il bere.
Spesso la sera, dopo il lavoro, usciva di casa e andava al bar del paese dove con gli amici si scolava birra fino a che non era così ciucco da riuscire a stento a tenersi in piedi.
A volte riusciva a rimediare un passaggio a casa, altre era costretto a tornarsene a casa a piedi, barcollando e attirandosi addosso gli insulti di tutti quelli che disturbava con i suoi schiamazzi. Una sera gli capitò qualcosa di alquanto singolare: stava per arrivare a casa quando vide un cane guardarsi per le vie deserte con aria circospetta. Incuriosito, Vincenzo decise di seguirlo, tenendosi a una distanza di sicurezza per non farsi notare. L'animale si avviò verso una cascina abbandonata e lì Vincenzo vide qualcosa di sbalorditivo: decine di cani e di gatti erano riuniti in una specie di assemblea e... parlavano! Discutevano sui loro tentativi di disfarsi dei propri esseri umani e di come estendere il loro dominio sul paese.
Sconvolto, l'uomo fuggì via e, arrivato a casa, raccontò tutto alla moglie che ovviamente si limitò ad arrabbiarsi e a rimproverarlo per essersi di nuovo ubriacato tanto da avere le visioni.
Lui però era sicuro che non si era trattata solo di un'allucinazione. Il giorno dopo provò a mettere in guardia tutti su quello che aveva visto e sul terribile piano degli animali domestici di disfarsi di tutti gli umani del paese.
Ovviamente nessuno gli credette anzi risero di lui e iniziarono a dargli del pazzo ubriacone. Vincenzo allora decise di tornare alla cascina, disperato e bisognoso di trovare delle prove.
Fu un colpo per lui trovarla deserta. Non c'era nemmeno un segno che in quel posto ci fossero stati degli animali.
All'improvviso però il cane che aveva seguito la sera prima entrò nella cascina e iniziò a ringhiargli contro. Vincenzo, ancora con i postumi della sbornia, indietreggiò.
Non si accorse del gatto che aveva fatto scivolare una bottiglia tra i suoi piedi né di quello che aveva spostato una grossa pietra dietro di lui.

In un attimo, l'uomo inciampò sulla bottiglia e picchiò la testa contro la pietra, morendo sul colpo. Quando lo ritrovarono tutti diedero la colpa alla sua grande passione per il bere ignorando il terribile complotto organizzato astutamente dai loro animali domestici.  


Pubblicato da Unknown alle 10:36 1 commenti  

Allegoria dell'acqua

martedì 27 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto è ispirato dal dipinto inserito come immagina dal titolo “Allegoria dell’acqua”. Ovviamente il racconto ha preso anche il titolo del dipinto. Buona lettura!

Allegoria dell'acqua
(racconto n.361)

Loro ormai sono ovunque. Si sono diffusi nel mondo in maniera esponenziale ignorando ciò che ha permesso loro di diventare forti e ciò che permette al mondo stesso di esistere. Hanno spesso sottovalutato la mia presenza, dandomi per scontata come se fossi eterna e insignificante. In realtà é a me che devono la loro vita. I periodi più prosperi della loro storia sono iniziati grazie a me, grazie alla mia presenza che ha permesso alle loro terre di  fiorire e alle loro civiltà di prosperare.
Spesso però hanno esagerato. Hanno sfruttato così tanto i miei doni che sono stata costretta ad annullare me stessa, a nascondere la mia presenza per poter ripristinare un equilibrio ormai precario.
In quei periodi loro hanno fatto di tutto per richiamarmi, per farmi rientrare nelle loro esistenze. Li ho visti soffrire e patire, consumarsi e azzuffarsi nel disperato tentativo di conquistarsi ciò che restava delle poche risorse rimaste. Ho visto la sofferenza dei loro pochi innocenti, ma non mi sono lasciata commuovere. Sono rimasta nascosta finché la loro avidità non si é inaridita del tutto e l'equilibrio di un tempo non è stato ripristinato.
A volte però l'indifferenza non era sufficiente con loro.
In quelle terre in cui gli uomini hanno cominciato a spadroneggiare fregandosene del mondo e delle altre entità che vi dimorano, ogni volta che hanno iniziato a montarsi la testa credendosi i padroni del mondo, io ho scatenato la mia ira. Li ho travolti con la mia forza, rendendoli consapevoli della loro impotenza e piccolezza nei miei confronti.
Ho ricordato loro che il mondo non gli appartiene e che io sono l'essenza in grado di dare loro la vita, ma anche di togliergliela con una facilità disarmante.
Io, l'elemento creatore da cui ogni individuo viene dissetato, colei che combatte contro il fuoco ribelle e ne esce vincitrice, l'entità che offre cibo ed emozione, ristoro e bellezza, ma anche pericolo e giustizia, smarrimento e paura.

Io sono colei che vive in ogni vivente, senza la quale la terra non sarebbe che polvere morta. Sono colei alla quale appartiene gran parte del mondo, sono l'acqua forte e pura da cui tutto nasce e senza la quale niente vive. 


Pubblicato da Unknown alle 10:11 1 commenti  

Il naufrago

lunedì 26 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è stato ispirato da un dipinto visto nella Pinacoteca del Castello Sforzesco. Purtroppo non ho una foto del dipinto, quindi ho dovuto sceglierne un altro. Spero vi piaccia!

Il naufrago
 (racconto n.360)

Avevo sempre amato la mia casa anche se agli occhi di molti essa non era che un ammasso di colonne bianche e pietre ammassate le une sulle altre, ricordo di un'epoca ormai dimenticata. Il mio unico compagno era il mare, a volte calmo e gentile altre possente e irruente. Nessuno approdava mai sulla sua spiaggia e questo mi permetteva di godermi appieno la pace di quel luogo immacolato.
Un giorno, però, una zattera raggiunse la riva. Un uomo era riverso su di essa, stremato dopo quello che doveva essere stato un viaggio per la sopravvivenza. All'inizio pensai di spingere nuovamente l’imbarcazione in mare e rimandarlo al suo destino, ma ebbi pietà per quel povero disperato. Mi presi cura di lui e quando rinvenne, la sua gioia e la sua gratitudine mi commossero.
 La sua espressione era così gentile e il suo sorriso così vivo da togliermi ogni dubbio. Avevo fatto la cosa giusta ad aiutarlo. In attesa di riprendersi, si stabilì sulla spiaggia dove andai a trovarlo spesso. Apprezzai il fatto che rispettasse il fatto che non volessi estranei nella mia casa. Col tempo imparai a conoscerlo e scoprii la storia del suo naufragio, di come inutilmente aveva tentato di salvare i suoi compagni dalla furia del mare. Passammo ore insieme finché una notte lui mi disse che era ormai pronto a ripartire. Era una notte splendida, illuminata da una bellissima luna piena che irradiava ovunque la sua luce argentata.
Mi disse che aveva sistemato la zattera e raccolto abbastanza provviste da riprendere il mare poi, inaspettatamente, mi chiese di partire con lui. Io rimasi immobile, sconvolta e addolorata: amavo la sua compagnia, ma non avrei mai potuto abbandonare la mia casa. Nell’inutile tentativo di convincermi, lui si avvicinò per toccarmi, ma io mi ritrassi. Forse in quel momento capì perché si limitò a sorridere e a fare un piccolo cenno di assenso col capo.

Il giorno dopo, quando raggiunsi la spiaggia, il mio naufrago era già partito. Su uno scoglio, però,  una bellissima conchiglia brillava accanto a un mazzo di fiori bianchi. Sentii gli occhi umidi, divisa dalla tristezza per la sua partenza e la gioia per la consapevolezza che aveva capito e accettato la verità. Presi la conchiglia e i fiori e ritornai nella mia casa. Ne raggiunsi il cuore e li poggiai lì, su quella lastra di pietra sulla quale avevo passato tanto tempo e che custodiva gelosamente ciò che restava del mio cadavere.


Pubblicato da Unknown alle 13:54 1 commenti  

Il Sindacato delle Marmotte

domenica 25 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto é dedicato a tutte le marmotte del mondo alle quali va la mia solidarietà e il mio sostegno.

Il Sindacato delle Marmotte

(racconto n.359)

Ogni anno migliaia di marmotte vengono sfruttate e maltrattate da datori di lavoro privi di scrupoli. Rinchiusi in fabbriche grigie e prive di sicurezza, questi poveri animali sono costretti a confezionare ogni giorno centinaia e centinaia di barrette di cioccolato.
Io lo so perché ero uno di loro. Crebbi con i miei fratelli in una di queste fabbriche, guardando mia madre e mio padre che si ferivano le zampe con le macchine per la produzione del cioccolato. Ogni tanto i nostri padroni ci chiudevano in ampie stanze al centro delle quali mettevano del cioccolato. Noi potevamo toccarlo, annusarlo, studiarne con curiosa attenzione la carta che lo avvolgeva, ma se qualcuno provava ad assaggiarlo... Beh non era piacevole. Per niente.
Iniziai a lavorare appena divenni autosufficiente e da allora la mia vita é stata segnata dal lavoro e dalla fame. Poi però arrivò la mia occasione: per permettere a me e ai miei fratelli di scappare e di raccontare la verità, i miei genitori organizzarono una finta rivolta. Le guardie, troppo impegnate a occuparsi delle altre marmotte, non si accorsero nemmeno  della nostra assenza.
Da allora ci siamo battuti in tutti i modi per far conoscere le nostre condizioni. Purtroppo però le cose non sono affatto semplici perché voi umani preferite credere alle cose belle, dare ragione a chi vi illude che va sempre tutto bene anche quando é evidente che non é così. E i nostri padroni sono stati molto bravi in questo.
Vi hanno raccontato una marea di bugie sulle nostre condizioni, mostrandoci al lavoro tutti concentrati in un ambiente allegro e confortevole.
Menzogne, grandi, orribili menzogne che noi ci stiamo impegnando a rivelare. Per tutte quelle marmotte che ogni giorno vengono sfruttate per il confezionamento di dolci che non hanno nemmeno il diritto di assaggiare, per combattere la loro miseria e far valere i loro diritti. Noi siamo i primi membri del Sindacato delle Marmotte, pronti a tutto pur di difendere i nostri simili.
Ricordatevi di questo quando mangerete del cioccolato perché ogni confezione é nata dal sacrificio e dal lavoro di noi povere marmotte.



Pubblicato da Unknown alle 15:10 0 commenti  

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