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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

Una storia d'amore

domenica 30 giugno 2013

Buonsalve! Questo racconto parla di una storia d’amore molto speciale ed è dedicata a tutti quelli che hanno avuto modo di viverla.

Una storia d'amore
(racconto n.303)

Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?
Era in un corridoio polveroso di una vecchia libreria, un posto che sapeva di magia e mistero. Ti vedevo spesso aggirarti tra gli scaffali, gli occhi che brillavano di entusiasmo ed euforia.
Guardarti mentre osservavi ogni libro con vivo interesse era meraviglioso. Poi un giorno ti sei accorta di me. Ti sei avvicinata, mi hai osservato e da è stato una sorta di colpo di fulmine.
Mi hai portato a casa e abbiamo passato la notte insieme, con solo la luce di una piccola lampada a illuminare la tua camera da letto. Insieme abbiamo riso, pianto, abbiamo vissuto tensioni e momenti talmente eccitanti da mozzare il respiro.
Siamo stati felici e alla fine tu sei crollata tra le lenzuola stropicciate, stanca, ma soddisfatta, con un sorriso sereno dipinto sul  volto rilassato.
In quei momenti tu sei stata con me come nessun’altra al mondo, come se tutto ruotasse attorno alla nostra storia, a ciò che ci teneva legati in un’avventura meravigliosa.
Poi, inevitabilmente, arrivò la fine.
Tu sapevi che sarebbe  successo eppure mi è sembrato vederti versare una lacrima quando hai capito che era arrivato il momento. Io invece ero sempre stato pronto e mi sono limitato ad accettare e accogliere le tue lacrime su di me. Ciò che ti chiedo è solo una cosa: non dimenticare.
Ricorda ogni momento di gioia e ogni lacrima, ogni ansia e ogni brivido… ricorda e parla di me. Condividi la mia storia con tutti quelli che incontrerai sul tuo cammino affinché anch’essi in qualche modo possano viverla. Condividi e ricorda perché ciò che di me è rimasto nel tuo cuore vivrà per sempre. Perché anche se sono solo un insieme di carta e inchiostro ciò che è racchiuso dentro tra le mie pagine è vero quanto lo sono le emozioni che ti ha regalato.
Perché la nostra storia è nata nel momento in cui mi hai visto sullo scaffale di quella libreria e, sebbene sembri si sia conclusa nel momento in cui hai letto l’ultima pagina, è destinata  a vivere per sempre nel ricordo e nella condivisione.


Pubblicato da Unknown alle 09:50 1 commenti  

Lo sciopero del protagonista

sabato 29 giugno 2013


Buonsalve! Un racconto sulla stupidità di certi film sugli zombie (per la cronaca: non ho ancora visto World War Z XD)

Lo sciopero del protagonista
(racconto n.302)

La mia vita é cambiata quando loro sono arrivati, quelle creature orribili che come una piaga si sono diffuse in tutto il mondo.
Orribili e disgustosi, quegli esseri un tempo erano stati umani, uomini e donne che avevano una vita, una famiglia. Adesso non sono che cadaveri ambulanti e io, assieme a un pugno di sopravvissuti, non posso fare altro che combattere e far i strada in un mondo marcio per non diventare un mostro come loro.
All'inizio non é stato semplice. Nessuno di noi riusciva a capire cosa stesse accadendo. Io mi trovavo con la mia ragazza quando apparvero. Stavamo tornando alla macchina, posteggiata nel parcheggio di un grande centro commerciale, quando sentimmo le prime grida. Vidi un uomo grosso come un armadio piangere come un marmocchio mentre una ragazza gli strappava brandelli di carne a morsi. Alle sue spalle, una bambina guardava sconvolta quella che probabilmente era la madre mentre veniva sbranata viva da un paio di poliziotti.
Mi ci volle un attimo per rendermi conto del pericolo. In un attimo strinsi la mano della mia ragazza e la trascinai dalla parte opposta, verso l'ingresso del centro commerciale. Facemmo appena in tempo a avvicinarci che si udì uno sparo assordante. Voltai la testa all'indietro e mi resi conto che uno di quei mostri era dietro di noi. Un altro sparo e l'essere barcollò all'indietro, colpito in pieno petto. Riuscimmo a entrare un attimo prima che due uomini bloccassero le porte a vetro. Una guardia abbassò l'arma tenuta fino a un attimo prima puntata verso l'esterno. - State bene? - chiese.
Io feci un cenno di assenso col capo stringendo a me la mia ragazza che piangeva terrorizzata. - Si può sapere che sta succedendo? Cosa cazzo sono quei mostri?

No. Fermi. Adesso basta! 
Ho assecondato questa cosa perché pensavo avrebbe portato a qualcosa di sensato, ma questo é troppo! Tu, dannato regista, mi vuoi spiegare perché in questo stramaledettissimo film nessuno si rende conto che quelli sono zombie? ZOMBIE CAZZO!
E poi perché quella guardia non gli ha sparato in testa? Non poteva non sapere che é così che si ammazzano! Possibile che qui nessuno abbia ha mai visto un film di Romero?
Sai che ti dico? Io sciopero! Vieni tu a fare il protagonista in questa farsa! Quando sarà il tuo culo a essere in pericolo staremo a vedere se non ti ricorderai di certi dettagli!



Pubblicato da Unknown alle 12:59 2 commenti  

Odio le poste

venerdì 28 giugno 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché nell’ultima settimana sono andata in posta almeno tre volte al giuorno ç,.,ç. Non ne potevo più!

Odio le poste!
(racconto n.301)

Io odio andare alle poste. Trovo snervante il dover aspettare davanti a tanti, irritanti sconosciuti di trovarsi di fronte a un arrogante idiota che pensa di poterti rubare tempo ed energia facendo finta di lavorare.
Il mio problema è che sono costretto ad andarci spesso per spedire pacchi e raccomandate per il mio datore di lavoro. Ogni volta poi finisco sempre col dover interagire con l’essere più irritante della terra: un ciccione saccente e arrogante che sembra divertirsi a farmi aspettare le ore e a costringermi a ripetere la fila per ogni minima imperfezione.  Lo odiavo. Io lo odiavo quasi quanto questa mia vita di merda fatta solo per obbedire e aspettare.
Stamattina però le cose erano diverse. Sono andato preparato, pronto ad affrontare quello stronzo.
Sono entrato in posta con una sicurezza che non avevo mai avuto, ho preso il numero e mi sono messo a sedere, osservando con attenzione la gente attorno a me.
C’era una vecchietta dall’aria stanca e depressa che forse, come ogni mese, sperava nel miracolo di trovare qualcosa in più nella sua pensione. Dietro di lei, un ragazzo dall’aria annoiata aspettava paziente il suo turno di poter pagare una bolletta per la quale avrebbe quasi digiunato per tre giorni. Poco più in là, un uomo discuteva animatamente il cellulare, lanciando occhiate impazienti al tabellone dei numeri.
Dopo un’attesa  in apparenza interminabile finalmente arrivò il mio turno. Fortuna volle che mi ritrovai allo sportello gestito al mio idiota nemico. Gli consegnai la raccomandata da spedire e lui la controllò con la sua impassibile, irritante saccenza. 
All’improvviso alzò gli occhi verso di me.
Sapevo che stava per indicarmi l’errore che avevo volutamente commesso nel compilare il modulo.
Quando aprì bocca feci la mia mossa. In un attimo estrassi la pistola che tenevo nascosta dietro la schiena e gli sparai un colpo in piena fronte.
Subito la gente attorno a me iniziò a urlare e a scappare. Io però mi sentivo soddisfatto.
Avevo posto fine alla vita di quell’idiota. Ora non restava che fare lo stesso con la mia.



Pubblicato da Unknown alle 18:17 0 commenti  

Il disonore di uno Spartano

giovedì 27 giugno 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché… beh… è il racconto numero 300! XD

Il disonore di uno spartano
(racconto n.300)

Combattere. Astinos era stato cresciuto per questo, per  essere il più forte e trionfare o morire in battaglia. Fin da piccolo era stato addestrato, aveva sudato e sputato sangue per essere all’altezza, per poter diventare un vero uomo, un vero Spartano. Aveva irrobustito il suo corpo,  sviluppato tanto i muscoli quanto la sua intelligenza e imparato a combattere al fianco dei suoi compagni come se avessero un solo corpo e una sola mente.  Era sempre stato convinto che tutta la sua vita si sarebbe fondata su quello, che avrebbe dedicato tutta la sua esistenza alla guerra.
Un giorno si trovava immerso nell’eccitazione di una battaglia, euforico mentre con la sua lancia mieteva cadaveri per soddisfare la propria sete di sangue. All’improvviso però si bloccò.
Davanti a lui infatti c’erano le donne più belle che lui avesse mai visto. Vestite solo con pochi veli semitrasparenti, ognuna di loro aveva corpi formosi e labbra che sembravano aspettare solo di essere baciate. Attorno a lui la battaglia continuava a imperversare, il sangue scorreva a fiumi e i suoi compagni invocavano il suo nome per poter riformare la falange.
Astinos mosse appena gli occhi verso di loro poi tornò a concentrarsi sulle splendide donne davanti a lui che lo fissavano con sguardi languidi e seducenti. Cercò di concentrarsi, di far riaffiorare ciò che lo aveva sempre spinto a mettere l’arte della guerra prima di tutto.
All’improvviso una delle ragazze si avvicinò e lo prese per mano accompagnandolo in mezzo alle altre. Lo Spartano rivolse un ultimo sguardo ai suoi compagni  poi, con una scrollata di spalle, tornò a concentrarsi sulle splendide donne attorno a lui. Le accarezzò, toccando i loro corpi morbidi, godendo del loro calore finché all’improvviso una fitta di dolore al ventre non lo fece sussultare. Sconvolto, guardò la lama affondata nella sua carne e il sorriso della donna che lo aveva trafitto. In un attimo tutte le altre le furono addosso, colpendolo e straziandolo, ridendo del suo dolore e della sua agonia.  Una lacrima gli rigò il volto nel rendersi conto che sarebbe morto così, nella vergogna e nel disonore di aver tradito se stesso per dato retta alle sue parti basse.




Pubblicato da Unknown alle 16:54 1 commenti  

Il bello della bestia

mercoledì 26 giugno 2013

Buonsalve! Una versione molto alternativa della storia de “La bella e la bestia” ^,.,^

Il bello della bestia
(racconto n.299)

Eric era un principe tanto bello quanto viziato che un giorno venne trasformato in una bestia da una potente strega. Il principe aveva solo un modo per poter spezzar l’incantesimo: trovare il vero amore nonostante il suo aspetto bestiale. Col tempo però il principe perse ogni speranza di tornare alla sua vita normale. Il suo palazzo cadde in rovina e nessuno a parte lui lo abitò più per molti anni. Divenne sempre più cupo e la sua natura bestiale iniziò a prendere il sopravvento.
Dopo tanti e tanti anni arrivò la rassegnazione, dolorosa nella consapevolezza che nessuno avrebbe mai potuto cambiare le cose, che era quella la sua vera natura.
Un giorno una bellissima ragazza si imbatté nel suo castello. Lui la osservò vagare per le stanze polverose, nascondendosi nell’ombra per capire se potesse essere adatta.
La ragazza era di una bellezza straordinaria con un viso angelico e un corpo morbido e ben proporzionato. Sembrava davvero perfetta.
La bestia si ritrovò a scoprire le zanne in un ghigno. Mentre la giovane vagava spaventata in quel luogo a lei sconosciuto, la bestia scivolò alle sue spalle. Quando si accorse di lui, la giovane emise un grido spaventoso e fuggì. Iniziò a correre per quelle stanze buie, guardandosi di continuo le spalle nella vana speranza di non vedere più quell’orribile creatura dietro di lei. La bestia però continuò a seguirla. Con poche falcate riuscì a raggiungerla e ad atterrarla.
La ragazza si dimenò e urlò, ma la bestia non lasciò la presa. In un attimo le strappò i vestiti di dosso, mantenendo sul volto quel ghigno perfido.


Diversi minuti dopo, la bestia si alzò dal corpo nudo e sventrato della giovane. Azzannò un ultimo pezzo di carne poi si pulì il muso con una mano. Aveva soddisfatto tutti i suoi bisogni, aveva ammazzato e si era nutrito di quella ragazza e nessuno avrebbe mai potuto punirlo. Possedeva la forza e la rabbia necessari per fare ciò che voleva, quando lo voleva e niente lo avrebbe mai potuto far sentire in colpa. Infondo era quello il bello di essere una bestia.


Pubblicato da Unknown alle 16:08 1 commenti  

Toccare il fondo

martedì 25 giugno 2013


Buonsave! Un racconto su ciò che vuol dire toccare il fondo. Buona lettura!

Toccare il fondo
(racconto n.298)

Jack era sempre stato un uomo calmo e posato, uno che valutava ogni azione e che faceva sempre attenzione alle conseguenze. Un giorno però, mentre tornava a casa dal lavoro, un gatto sbucò da un cespuglio e si immobilizzò in mezzo alla strada. Non riuscì a sterzare in tempo e lo investì. Sconvolto, Jack scese dalla macchina e rimase per un po’ a fissare la carcassa del felino. In quel momento qualcosa scattò in lui. Si rese conto infatti che la vista di tutto quel sangue non lo infastidiva, ma gli faceva provare un brivido del tutto inaspettato. Da quel giorno Jack visse unicamente per ricercare di quel brivido. Smise di calcolare e valutare ogni rischio, iniziò a comportarsi in maniera violenta e aggressiva. In pochi mesi perse il lavoro e passò una notte in prigione per aver provocato una rissa in un pub.   Tutto quello però non bastava. Jack voleva ricreare il brivido provato alla vista del cadavere maciullato del gatto anche a costo di toccare davvero il fondo. Ogni scusa divenne buona per iniziare a fare a botte con qualche conosciuto che fosse un ubriaco in un locale o un passante che incrociava per strada. Niente però sembrava bastare. Un giorno vide un senza tetto al lato di una strada. Non ci pensò un attimo: iniziò a colpirlo e a colpirlo, ignorando le sue suppliche e i suoi lamenti mentre un’esaltante euforia s’impadroniva di lui. Eccolo… c’era quasi, lo sentiva. Lo lasciò in mezzo alla strada sanguinante, non ancora del tutto soddisfatto. Da allora si accanì su molti senza tetto non sapendo che, il mese successivo, sarebbe stato sfrattato e si sarebbe ritrovato egli stesso in mezzo alla strada.
.  La prima notte che passò per strada, però,  si ritrovò circondato da un gruppo di senza tetto che all’inizio non riconobbe.  In un attimo, questi iniziarono a malmenarlo, colpendolo ripetutamente con bastoni e sbarre di metallo.
Per un momento il mondo attorno a Jack divenne un vortice di oscurità e dolore poi, all’improvviso, una fitta più acuta sovrastò tutto il resto.
Con la mano si tastò il petto. Un pezzo di metallo lo attraversava da parte a parte. I senza tetto si allontanarono di corsa e lo abbandonarono in mezzo alla strada.

Jack si trovò a sorridere mentre moriva su un marciapiede lurido, in mezzo alla sua stessa urina. L’eccitazione della morte che sovrastava ogni cosa… Bellissima… perfetta…  esattamente ciò che lui stava cercando: quel brivido estremo che solo la morte di chi ha toccato davvero il fondo può dare.


Pubblicato da Unknown alle 13:48 1 commenti  

Quasi impossibile

lunedì 24 giugno 2013

Buonsalve! Un racconto su come a volte è necessaria una grande forza di volontà per riuscire a raggiungere un obbiettivo, fregandosene di chi cerca d ostacolarci ma allo stesso tempo cercando di fare sempre la cosa giusta in ogni caso.

Quasi impossibile
(racconto n.297)

“Pensi davvero di poterci riuscire? Tu fallirai. Non avrai che delusioni e amarezza se continuerai su questa strada.” Calies si era sentita dire cose del genere fin da quando aveva  deciso di entrare all’Accademia per apprendere le arti magiche.
Il solo fatto che si fosse presentata ai test di idoneità aveva suscitato grandissimo scalpore. Nessuna donna lo aveva mai fatto prima eppure lei era risultata essere la più dotata della sessione. Il suo percorso di studi non era stato facile soprattutto perché né gli insegnanti né tanto meno gli altri allievi le avevano reso le cose semplici. C’era un insegnante in particolare che aveva cercato ostacolarla in tutti i modi. Era il responsabile del suo corso, troppo vecchio per accettare anche solo l’idea che una donna potesse far parte dell’Accademia. Per questo forse non aveva fatto che umiliarla durante tutti gli anni di studi, enfatizzando ogni più piccolo errore e dando scarso valore ai suoi successi.
La sua reticenza era il motivo per cui non era stata mai considerata al di sopra della media generale.  Poi arrivarono i test finali, superati i quali sarebbe finalmente stata considerata da tutti la prima Maga del regno.
Quando si trovò faccia a faccia col suo insegnate, capì immediatamente che lui non le avrebbe mai permesso di superare quelle prove. Non importava. Avrebbe dato il meglio di sé in ogni caso.  Come previsto, l’uomo non fece altro che mettere in risalto i sui errori e incastrarla con trabocchetti di ogni tipo. Poi però accadde qualcosa: mentre le stava per comunicare il suo fallimento, il vecchio si portò una mano al petto e iniziò a sputare sangue. Calies lo guardò sgomenta accasciarsi davanti ai suoi occhi. Le grida attorno a lei si fecero sempre più alte, ma la ragazza non si lasciò distrare. Diploma o meno, lei era una Maga e poteva fare qualcosa. Si avvicinò al vecchio che all’inizio provò a scacciarla, ma lei impose con determinazione le mani su di lui e si appellò alla magia.
Tutti videro una luce sprigionarsi dalla mano della ragazza e l’insegnante esalare il suo ultimo respiro. Ci furono diversi secondi di tensione poi il vecchio boccheggiò e ricominciò a respirare. Le urla che si levarono attorno a Calies la fecero sussultare. Ce l’aveva fatta. Aveva salvato quell’uomo e nessuno avrebbe più potuto mettere in discussione il suo diritto di essere chiamata “Maga”.
In un modo o nell’altro era riuscita a fare l’impossibile.




Pubblicato da Unknown alle 12:52 1 commenti  

Il bambino

domenica 23 giugno 2013

Buonsalve! Un racconto su come, a volte, le cose che ci fanno paura sono in realtà quelle che, se affrontate, ci riservano le maggiori e più belle sorprese.

Il bambino
 (racconto n.296)


Marta era felicemente sposata da tre anni e ormai lei e suo marito cominciavano a sentire il desiderio di avere un figlio. Proprio per questo si erano finalmente decisi a comprare una casa più grande, una villetta in periferia dove poter crescere  un bambino senza intrappolarlo nel caos di una città caotica come Roma.
Il giorno del trasloco, Marta era a dir poco entusiasta. Stava per iniziare una nuova fase della loro vita e questo la rendeva davvero felice.
Lei e suo marito passarono tutta la giornata a svuotare scatoloni  e finirono col crollare a letto stanchi morti, poco dopo la mezzanotte. Marta si addormentò immediatamente tra le braccia di suo marito. Erano le quattro del mattino quando uno strano rumore la svegliò. Si alzò con una stranissima sensazione, un brivido che le attraversava tutto il corpo.
Andò in quella che sarebbe presto diventata la stanza del piccolo e vide una figura accanto alla finestra, la sagoma di un bambino il cui sguardo sembrava pesarle addosso come un macigno.
Marta deglutì e tastò la parete in cerca della luce. Quando l’accese, la figura era completamente svanita. La donna tornò a letto pensando che fosse stata solo la sua immaginazione legata al fatto di dormire per la prima volta in un ambiente nuovo.
Nelle successive sette notti però, la figura continuò ad apparirle facendola letteralmente impazzire. L’ottavo giorno, ormai diventata paranoica, telefono all’agente immobiliare che le aveva venduto la casa.
- C’è una cosa che devo sapere con urgenza. – disse senza troppi convenevoli. – In questa casa è morto un bambino?
La risposta fu negativa. La villetta era stata costruita dai precedenti proprietari che però non avevano mai avuto figli. Quella notte Marta decise di affrontare il bambino misterioso. Quando venne svegliata dai soliti rumori si alzò e tornò nella stanza vuota.
- Chi sei? – chiese invece di accendere la luce. – Cosa posso fare per te?
Il bambino si avvicinò e allungò una manina verso di lei. Nel momento in cui la toccò, un raggiò di luce gli illuminò il volto. Marta ebbe un tuffo al cuore nel vedere quanto quel bambino le assomigliasse. In quel momento di rese conto di una cosa alla quale non aveva badato con il caos del trasloco: aveva un ritardo. Si portò una mano al ventre e la figura scomparve come se fosse svanita all’interno di esso.
Con un sorriso, Marta tornò a letto e svegliò suo marito.- Tesoro… devo dirti una cosa…



Pubblicato da Unknown alle 11:19 1 commenti  

Un'amica inaspettata

sabato 22 giugno 2013


Buonsalve! Un racconto che parla di come a volte sono le persone più inaspettate che ci sorprendono quando abbiamo più bisogno di aiuto.

Un'amica inaspettata
(racconto n.295)

Katie era la ragazza più ammirata e ben voluta dalla scuola. Presidente del comitato studentesco, cheerleader e studentessa modello,  non aveva mai avuto un solo problema nella vita e questo l’aveva portata a credere di avere il diritto di poter guardare chiunque dall’alto in basso senza problemi.
Nascondendosi dietro una falsa umiltà, aveva sviluppato l’innata capacità di riuscire a giudicare e umiliare le persone continuando però ad apparire perfetta agli occhi degli altri. C’era una ragazza con la quale si accaniva in maniera particolare: si chiamava Amber, secchiona nerd che, a detta di Katie, nessuno avrebbe mai invitato al ballo studentesco a meno che non fosse molto, molto disperato.
Un giorno però la vita di Katie ricevette una bruttissima scossa. Un attacco improvviso, un ricovero in ospedale e la diagnosi di un cancro cambiarono tutto.
In pochi mese perse i capelli, la popolarità e la speranza di una vita lunga e normale. Oltre agli amici ovviamente.  Tutti quelli che fino a poco prima l’avevano idolatrata e adorata, infatti, cominciarono a guardarla in maniera diversa e a trattarla come se non avessero mai avuto davvero a che fare con lei. Col tempo, Katie capì che nessuno di loro l’avrebbe più trattata come un tempo e si lasciò andare. Iniziò a frequentare la scuola sempre meno e non si sorprese del fatto che nessuno andò più a trovarla. Alla fine, anche a causa del peggiorare delle sue condizioni, si ritirò dal suo liceo.
Pochi giorni dopo, però, sua madre bussò alla porta della sua stanza.
- C’è una visita per te. – disse affacciandosi sulla porta.
Katie ne fu davvero sorpresa e lo fu ancora di più quando vide Amber entrare timidamente nella camera.
- Che ci fai qui? – chiese.
- Non ti ho più vista a scuola e mi son preoccupata. – disse lei. – Come stai?
Katie abbassò la testa e si tolse la bandana mostrando la testa completamente priva di capelli. – Sono stata meglio. – rispose per poi abbozzare un sorriso. – Grazie per essere passata.
Amber si sedette sul bordo del letto. – Sai mi piace l’acconciatura. Quasi quasi me la faccio anch’io.
- Stronzate. Non lo faresti mai. – ribatté Katie non riuscendosi trattenere dal rispondere acidamente.
Il giorno dopo, Amber la sorprese ancora. Si presentò infatti da lei con la testa rasata e un sorriso smagliante. – Sì, mi piace davvero molto!

Nel vederla, Katie non riuscì a trattenere le lacrime. Scoppiò a piangere e in un attimo Amber l’abbracciò rassicurandola del fatto che in ogni caso avrebbe trovato conforto in un’amica inaspettata.  


Pubblicato da Unknown alle 13:25 1 commenti  

Non può piovere su internet

venerdì 21 giugno 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato alla frase “non può piovere per sempre” e scritto pensando a quanto sia facile nascondersi su internet e  vivere una vita virtuale, una realtà in cui in fondo niente può ferirti o toccarti davvero perché non sei tu a metterti davvero in gioco, ma solo un avatar che può essere più o meno realistico.

Non può piovere su internet
(racconto n.294)

Sara passava gran parte del suo tempo su internet. All’inizio ci andava solo la sera, frequentando chat o giocando e condividendo post su facebook.  Col tempo aveva iniziato ad andarci anche il pomeriggio e  in ogni momento libero che aveva.
Quando si isolava nel suo mondo virtuale si sentiva felice, lontana dall’ipocrisia di chi la circondava e soprattutto da quelle insicurezze che ogni giorno la tormentavano, facendola sempre sentire angosciata e inadeguata. Lei sapeva di non essere bella, di essere insulsa e lentigginosa, con un cespuglio incolto al posto dei capelli e un fisico gracile, piatto come quello di una ragazzina e per niente attraente.

Su internet però poteva essere quello che voleva. Poteva diventare una bellissima trentenne con curve morbide e capelli setosi o una neo laureata acuta e intelligente. Poteva parlare liberamente con diversi ragazzi senza sentirsi impacciata o preoccuparsi di fare brutta figura. Le piaceva essere quello che voleva senza riserve così come le piacevano i complimenti che riceveva da tutti quelli con cui le capitava di flirtare. Un giorno però conobbe su internet Roberto, un ragazzo che l’affascinò fin dalla prima chiacchierata. Era intelligente, simpatico e interessante, una persona con la quale parlava davvero moto bene e con cui si sentiva davvero in sintonia. Dopo diverse settimane passate a chattare, lui le chiese un vero appuntamento. Sara venne presa dal panico. Gli aveva mandato una foto ritoccata e questo voleva dire che avrebbe dovuto dirgli che lo aveva ingannato. Per una volta però decise di affrontare la situazione e di presentarsi all’appuntamento. In fondo era una persona intelligente che sembrava non badare troppo alle apparenze.  Quando la vide, però, Roberto fece un’espressione strana, quasi schifata e Sara capì di essersi sbagliata su di lui. La sua sicurezza svanì in un attimo. Impacciata e intimorita, quando arrivò quasi a ustionarlo con il caffè fuggì via in preda alle lacrime. Non contattò più Roberto né lui le scrisse più una mail. Ben le stava. Si era esposta nel mondo vero e come sempre aveva finito con lo stare male. Su internet era meglio, nessuno poteva ferirla lì né accadevano cose brutte che potevano renderla triste o farla soffrire.  Internet era un mondo in cui potersi nascondere, un mondo nel quale era possibile non vedere mai la pioggia.


Pubblicato da Unknown alle 14:19 1 commenti  

La verità è che non l'ha uccisa abbastanza

giovedì 20 giugno 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato partendo dal titolo che mi è stato ispirato da quello del film “La verità è che non gli piaci abbastanza” ^,.,^ Buona lettura! XD

La verità è che non l'ha uccisa abbastanza
(racconto n.293)

Susan giaceva con la faccia nel fango mentre una pioggia copiosa scendeva ad allagare il vicolo deserto. Sotto di lei una pozza di sangue si faceva sempre più ampia. Steven la guardò con aria soddisfatta, rigirandosi tra le mani il coltello  che le aveva piantato nel ventre.
Era stato tutto perfetto, tutto era andato esattamente come aveva pianificato. Il suo alibi avrebbe retto e quando gli avrebbero riferito dell’orribile morte di sua moglie per un tentativo di furto, avrebbe recitato la parte del maritino addolorato.
Adesso quella stronza non avrebbe più riso di lui né si sarebbe più fatta bella sperperando i suoi soldi e civettando con tutti i ragazzini che le capitavano a tiro.
Si disfò con una buona dose di acido dell’arma del delitto e tornò alla festa dei suoi vicini, pronto a divertirsi alla grande. La serata proseguì in maniera strepitosa e Steven si concesse anche di flirtare con una ragazza appena conosciuta.
Poi, mentre stava bevendo l’ennesima birra, sentì delle urla agghiaccianti provenire dal giardino. Uscì all’aperto e lasciò cadere il bicchiere, sgranando gli occhi.
Susan stava barcollando tra gli invitati, la mano premuta sul ventre e il volto completamente sporco di fango. Emetteva un verso cupo, lamentoso quasi si stesse strozzando nell’inutile tentativo di parlare. Barcollo verso Steven che, paralizzato e sconvolto, non riuscì a credere di averla davanti.  Lui urlò solo quando lei gli si avventò addosso e lo buttò a terra cercando di strangolarlo.  Tentò di divincolarsi, ma lei sembrava dotata di una forza portentosa. Nessuno fece in tempo ad aiutarlo perché in un attimo la mano della donna trovò un coccio di vetro e glielo piantò in gola. Steven morì dissanguato assieme a sua moglie che si lasciò andare alla morte dopo aver finalmente avuto vendetta.

   

Pubblicato da Unknown alle 13:46 1 commenti  

L'ennesimo fallimento

mercoledì 19 giugno 2013

Buonsalve! Un racconto sui fallimenti e sui gesti estremi ai quali la depressione e il dolore possono portare.
Buona lettura!

L'ennesimo fallimento
(racconto n.292)

Cristina si era sempre sentita invisibile. Aveva sempre avuto l’impressione che per quanto cercasse di parlare agli altri la sua voce restasse sempre e comunque inascoltata. Infondo perché avrebbero dovuto ascoltarla? Lei non aveva mai combinato molto nella vita. Ci aveva provato, sì, ma ogni volta che tentava di portare a termine qualcosa finiva puntualmente con un  completo fallimento.
Col tempo e le delusioni aveva finito col cadere in depressione e col convincersi di non valere niente, che il motivo per cui continuava a fallire e a sentirsi così sola, distante dalle poche amicizie che era riuscita a crearsi, fosse che infondo non meritava niente dalla vita.
Pian piano cominciò a isolarsi sempre di più tanto che a un certo punto iniziò a passare tutte le giornate chiusa in casa senza entrare in contatto con anima viva. Quando alla fine si decise a uscire si rese conto di essere diventata davvero invisibile.  Nessuno la vedeva, né il cameriere del bar nel quale era andata per fare colazione né i commessi del supermercato o i cassieri con i quali chiacchierava sempre quando andava in banca. Nessuno le parlava e anche quando la guardavano sembrava che stessero sempre fissando qualcosa alle sue spalle.
Dopo tutta la mattinata passata a farsi notare, Cristina decise di tornarsene a casa. Quella ormai era la storia della sua vita. Perfino farsi vedere era diventato impossibile per lei.
L’ennesimo fallimento dal quale probabilmente non si sarebbe mai potuta riprendere. Si trascinò nel suo appartamento, barcollando come se fosse ubriaca mentre la sua mente pian piano si perdeva in pensieri cupi e tristi ricordi. Senza quasi rendersene conto si trovò nel suo salotto e si sedette in poltrona.
Rimase per un po’ immobile poi girò la testa e fissò il proprio corpo riverso sul divano, il vomito che le colava da un angolo della bocca e il flacone di pasticche ancora in mano.
Si guardò per un attimo poi tornò a fissare il vuoto.
L’ennesimo fallimento dal quale però non si sarebbe mai più ripresa.





Pubblicato da Unknown alle 14:09 1 commenti  

Una cosa inspiegabile

martedì 18 giugno 2013

Buonsalve! Un racconto su ciò che non riusciamo a spiegarci e che, a volte, riesce a minare tutte le nostre certezze.

Una cosa inspiegabile
(racconto n.291)

Solo perché una persona non sa spiegarsi una cosa non vuol dire che non possa succedere. Samantha però non la pensava così. Per lei qualsiasi cosa si poteva spiegare in maniera razionale e scientifica altrimenti quel qualcosa semplicemente non era reale.
Lei era una ragazza coi piedi per terra che credeva sempre e solo a ciò che vedeva.  Un giorno però tutte le sue certezze s’incrinarono con violenza. Simon, il suo ragazzo morì all’improvviso e Samantha passò i tre mesi successivi a tormentarsi nel cercare di dare un senso alla sofferenza che la stava consumando. Non riusciva a smettere di piangere e niente sembrava in grado di tirarla su di morale. Una sera le sue amiche decisero di portarla fuori per aiutarla. Una serata in discoteca come tante, ma durante la quale lei non riuscì in alcun modo a divertirsi. All’improvviso venne colta da un attacco di panico che la costrinse a uscire all’aperto. Sola, nel parcheggio, iniziò a piangere come una bambina. Si sentiva così sola e smarrita che non sapeva come reagire al dolore che la stava tormentando. In quel momento il rumore di una macchina che si avvicinava a tutta velocità le fece sollevare la testa.
Fece appena in tempo a vedere una macchina venirle addosso che sentì qualcuno afferrarla bruscamente e trascinarla via. Si ritrovò per terra quasi senza rendersene conto, su di lei il peso di qualcuno del quale non riusciva a scorgere il viso. Quando si rimise in piedi e lo vide sentì il cuore perdere un battito.  Davanti a lei c’era il suo Simon, l’amore della sua vita morto pochi mesi prima per un incidente.
Lui le rivolse uno sguardo dolce, di quelli che le facevano sempre provare un brivido caldo.
- Simon… - sussurrò. – Sei tu…
La mano di lui le accarezzò una guancia. Si avvicinò, le labbra a poca distanza dal suo orecchio. Una lacrima le scese lungo il viso e la costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, lui era sparito. Samantha non seppe spiegarsi cosa fosse successo quella notte. Non aveva bevuto, la sua mente era lucida e attenta.
Dopo un po’ però capì che in fondo non le importava perché nella mente e nel cuore avrebbe conservato per sempre quell’unica frase che lui le aveva sussurrato: VIVI PER ME, AMORE.



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Provocazioni

lunedì 17 giugno 2013

Buonsalve! Un racconto in parte ispirato a Fight Club del quale ho adorato sia romanzo che film. Chi lo conosce capirà ;)

Provocazioni
(racconto n.290)

Ci sono persone che farebbero di tutto per renderti la vita impossibile, che si divertono a tormentarti fino a farti perdere la testa. Mark lo sapeva bene perché c'era qualcuno che si stava impegnando seriamente per rovinargli l'esistenza. Quel qualcuno era Nicolas. Bello e sicuro di sé, Nicolas era esattamente l'opposto di Mark che, così mingherlino e insicuro, non era certo il tipo di persona che sapeva come farsi valere.
Fin dal primo anno di università aveva dovuto sopportare le angherie e le provocazioni di quel bullo senza avere la forza o il coraggio di reagire. Spesso, quando Nicolas gli dava del vigliacco, Mark s’infuriava, ma era come se nel momento di reagire e di raccogliere le sue sfide qualcosa lo bloccasse. Finiva sempre col tornarsene a casa a testa bassa, sentendo le risate di lui alle sue spalle.
Un giorno però Nicolas tirò in ballo un argomento che a Mark non piacque affatto: Lara, la ragazza della quale era sempre stato innamorato.
Mark stava tornando a casa quando vide un ragazzo avvicinarsi a lei e iniziare a chiacchierare con disinvoltura ed entusiasmo.
Provò una fitta di gelosia e proprio in quel momento Nicolas fece la sua comparsa. - Guarda che lo so già che ti piace, ranocchio. - sghignazzò. - Come so che non hai mai avuto il coraggio di dirle ciò che provi nonostante lei sia la tua più cara amica.
- Smettila. Non ti azzardare a parlare di lei! - tagliò corto Mark allontanandosi.
Nicolas però lo seguì. - Dimmi come é stato sentirla parlare della sua prima volta? Ti é venuto duro, vero? Così tanto che poi sei dovuto correre a chiuderti in bagno.
Mark si morse il labbro. Non avrebbe mai ammesso che le cose erano andate più o meno a quel modo.
- Scommetto che verrà da te anche quando si farà sbattere da quel tipo. - continuò Nicolas. - E scommetto anche che ti importa così poco di lei in realtà da non avere il coraggio di affrontarlo. Tu non sei innamorato: vuoi solo portartela a letto.
A quelle parole, Mark si infuriò sul serio, solo che invece di ribattere a Nicolas si lanciò contro il ragazzo che stava parlando con Lara. Lo colpì con un pugno, facendolo finire a terra e si portò su di lui colpendolo e colpendolo fino a farsi sanguinare le nocche. In quel momento provò un'insana soddisfazione, un senso di liberazione che gli annebbiò la mente. Non si accorse che era Lara a cercare di fermarlo fin quando non la spintonò nel tentativo di liberarsi di lei. Allora si bloccò e la sua rabbia svanì di punto in bianco.
- Io... Mi dispiace...
- Si può sapere che ti é preso? - urlò la ragazza guardandolo piena di rabbia. -  Perché diavolo lo hai aggredito?
Marco scosse la testa sentendo le lacrime inumidirgli gli occhi. - Ti giuro che non volevo. Sai che non sono un tipo violento. É solo che Nicolas....
- Non c'é nessun Nicolas! - gridò lei. - Continui a parlarmi di lui come se fosse una persona reale, ma non é così. Lui é solo l'amico immaginario che ti sei creato quando avevamo cinque anni!
- Lui é reale. - singhiozzò Mark. - É lì, alle tue spalle!
Lara si voltò solo per dimostrargli che si sbagliava. - Non c'é nessuno dietro di me e lo sai bene. Cerca di risolvere questa cosa, Mark o non penso che la nostra amicizia potrà durare.
Se ne andò portando con sé il ragazzo ferito, lasciando solo Mark a fissare il volto soddisfatto di Nicolas, il sorriso vittorioso della sua mente ghignante. 


Pubblicato da Unknown alle 13:44 1 commenti  

Un dono di morte

domenica 16 giugno 2013

Buonsalve! Anche oggi un racconto non proprio “allegro” (so che ad alcuni non piacerà, ma prometto di tornare presto a scrivere qualcosa di più ottimista. Buona lettura!

Un dono di morte
(racconto n.289)

Lucas era un uomo d’affari che poteva dire con fierezza di aver avuto tutto dalla vita. Era cresciuto in una famiglia benestante che lo aveva educato nelle migliori scuole e che non gli aveva mai negato niente. Da parte sua non aveva mai approfittato di tutta la libertà che gli era stata data. Non si era mai drogato, mai guidato ubriaco e soprattutto era cresciuto con una consapevolezza e un rispetto per il denaro e il lavoro inusuali che lo avevano spinto a impegnarsi prima nello studio e poi nel lavoro per costruirsi da zero un’eccellente carriera.
Nell’animo di Lucas però c’era un’ombra, un’inquietudine che non era mai riuscito a reprimere.
Tutto iniziò con Caroline. Bella ed elegante, era la ragazza più popolare al campus universitario. Si erano trovati fin da subito e avevano iniziato a uscire insieme. In pochi mesi divennero la coppia d’oro dell’università, i perfetti fidanzatini che tutti invidiavano e ammiravano.
Poi però un ubriaco distrusse tutto il suo mondo. Venne loro addosso mentre stavano rientrando a casa in macchina. Lui non si fece niente. Caroline morì sul colpo.
Quella notte tutte le sue certezze crollarono e quell’ombra dentro di lui cominciò a crescere diventando ogni anno sempre più grande e opprimente.
Poi un giorno Lucas capì che per liberarsi di quell’ombra doveva assecondarla. Doveva dare sfogo a quell’istinto fatto di rabbia e dolore che stava ribollendo dentro di lui. Per questo il terzo anniversario della morte di Caroline decise di andare in un bar. Passò lì tutta la notte finché all’improvviso non vide un uomo alzarsi e barcollare verso l’uscita. Lasciò passare un paio di minuti, pagò i drink che aveva bevuto e si alzò con passo sicuro e deciso. Raggiunse l’uomo in un vicolo e lo seguì fino alla sua macchina.
Lo vide sollevare le chiavi con mano tremante e aprire lo sportello. Si avvicinò lento poi, prima che l’uomo potesse voltarsi, gli mise attorno alla gola un lungo filo da pesca.  Strinse e strinse con tutte le sue forze, rimanendo impassibile nel vedere l’uomo contorcersi e dimenarsi mentre moriva soffocato. Provando un’intima soddisfazione quando lui crollò a terra esanime.
Rapido, eliminò ogni possibile prova che potesse ricollegarlo all’omicidio e se ne andò. Quello fu solo il primo di numerosi doni che fece alla sua Caroline. In giorni diversi e in posti diversi, periodicamente dava sfogo a quell’ombra che si nascondeva dentro di lui, perfetto e preciso, impeccabile come lo era sempre stato nell’onorare ciò che la vita gli aveva dato.


Pubblicato da Unknown alle 08:40 0 commenti  

una mente deviata

sabato 15 giugno 2013

Buonsalve! Visto che in questi giorni sono stata buona oggi ho deciso di far scorrere un po’ di sangue… nel racconto ovviamente ^,.,^

Una mente deviata
(racconto n.288)


Marcus aveva sempre detestato la gente. Non la sopportava per la sua ipocrisia, la sua arroganza e l'ottusità con cui vivevano le loro patetiche esistenze.
Spesso si era ritrovato a passare per le vie del centro immaginando le persone attorno a lui con la gola squarciata e i volti sfregiati da cocci di vetro che gli uscivano dalla carne.
Ogni volta che veniva preso da quelle sue fantasie si ritrovava a sorridere mentre un brivido di eccitazione gli attraversava il corpo.
C'era solo una persona che Marcus non odiava: la sua dolce vicina Lana. Per lui, lei era come un angelo, un'eccezione in quel mondo marcio fatto di viscidi vermi striscianti.
L'amava e la venerava come una Dea in terra e approfittava di ogni scusa per poter andare a parlarle. La sua gentilezza e la sua dolcezza lo facevano ben sperare. Di sicuro anche lei doveva essersi accorta di lui, di quanto fosse diverso dalla feccia che li circondava. Una mattina suonò alla sua porta con l'ennesima scusa. Rimase a dir poco sconvolto quando si ritrovò davanti un uomo in mutande con l'aria scompigliata e assonnata.
- Ha bisogno di qualcosa? - gli chiese, ma Marcus non rispose. Con gli occhi sgranati, si girò e tornò nel suo appartamento.
Si ripresentò poco dopo a casa della ragazza e quando lui aprì di nuovo la porta gli piantò un coltello da cucina nel petto.
L'uomo barcollò e Marcus si fece avanti  affondandogli il coltello in gola più e più volte.
All'improvviso le urla di Lana lo scossero. Alzò la testa verso di lei e una lacrima gli rigò il viso. - Tu... Tu eri pura... Bellissima... Perché hai lascito che lui ti toccasse? Perché ti sei sporcata con un verme del genere?
Lana iniziò a terrorizzata.
Marcus avanzò verso di lei, il coltello ancora stretto in mano. - Mi sbagliavo su di te. Mi sono sempre sbagliato.
Non le diede nemmeno il tempo di urlare.  Si avventò su di lei, atterrandola e iniziando colpirla, a tagliare e a strapparne la carne fino a quando non fu completamente ricoperto del suo sangue.
Si alzò lentamente e rimase a guardare il corpo della donna con disgusto. Lei era uguale a tutti gli altri: una piaga che come tale andava debellata.


Pubblicato da Unknown alle 15:17 1 commenti  

L'orsacchiotto

venerdì 14 giugno 2013

Buonsalve! Un racconto alla Toy Story su un giocattolo che spesso viene sottovalutato, soprattutto dai maschietti: l'orsetto di peluche.

L'orsacchiotto
(racconto n. 287)

Essere un orsetto di peluche non é facile, se poi vivi in una stanza piena di pupazzetti soldato o action figure di personaggi eroici e bellissimi diventa un vero strazio.
Fin dal sui arrivo,  gli altri giocattoli lo avevano guardato con un misto di disprezzo e pietà per quel suo corpo grosso e goffo, per il suo aspetto tenero e coccoloso che non incuteva alcuna paura o timore. Lui era l'estraneo finito in quella  camera per sbaglio, un regalo fatto al loro bambino da una zia mai vista prima che non conosceva assolutamente i suoi gusti.
La vita del piccolo orsacchioto perciò era sempre stata molto triste e solitaria. Spesso guardava i soldati giocattolo effettuare i loro addestramenti durante la notte o i guerrieri sfidarsi in combattimenti sempre più terribili con invidia.
Avrebbe voluto anche lui potersi muovere agilmente come loro, essere snodato e pieno di dettagli in modo da poter far divertire il loro bambino durante il giorno.
Questo però non sarebbe mai potuto accadere. Il bambino avrebbe sempre preferito loro a lui. Per questo lo lasciava sempre sul comodino accanto al letto a impolverare.
Una notte, mentre tutti gli altri giocattoli si allenavano o combattevano, l'orsetto vide il bambino agitarsi nel letto. Sembrava spaventato e sudava freddo come se qualcosa lo stesse tormentando nel sonno.
L'orsacchiotto si alzò e zampettò fino al bordo del letto mettendosi accanto al bambino.
In quel momento lui si svegliò urlando.
L'orsetto s'immobilizzò appena un attimo prima che la madre del bimbo facesse irruzione nella stanza.
- Mamma! Aiuto mamma! - urlò il bimbo.
- Tranquillo, piccolo. - lo abbracciò la donna, accarezzandolo dolcemente. - É stato solo un brutto sogno. 
- Resta qui con me, ti prego!
La donna sorrise e afferrò l'orsacchiotto porgendolo al piccolo. - Perché invece non abbracci questo? Non sembra, ma gli orsi sono molto forti lo sai? Di sicuro, se lo tratterai bene, ti proteggerà dagli incubi.
Il bambino lo strinse e da quella notte divenne il giocattolo più importante e rispettato della stanza, colui che proteggeva il piccolo nel sonno dormendo al suo fianco ogni singola notte.


Pubblicato da Unknown alle 10:31 1 commenti  

La bolla di sapone

giovedì 13 giugno 2013

Buonsalve! Ho pensato di scrivere un racconto con una bolla di sapone mentre giocavo con la cuginetta del mio ragazzo. L'idea di base é stata: come sarebbe vedere il mondo attraverso una bolla?

La bolla di sapone
(racconto n.286)

Marie aveva otto anni e da due viveva all'interno di una bolla di sapone. Suo padre, un famoso scienziato, ne aveva creata una indistruttibile per lei, una bolla in grado di fornirle tutto ciò di cui aveva bisogno attraverso complessi processi chimici.
Da quando era entrata nella sua bolla, il mondo per Marie era diventato un posto meraviglioso. Tutto attorno a lei brillava come se fosse fatto di cristallo e quando il sole splendeva sulla bolla, ogni colore diventava cangiante e alla piccola sembrava di trovarsi circondata da un magico arcobaleno.
Marie visse felice nella sua bolla per molto tempo, ma un giorno qualcosa turbò la sua pace perfetta.
Mentre faceva una passeggiata con sua madre, saltellando allegramente nella sua casa rotonda, vide un gruppo di bambini che giocavano a palla. 
Dapprima lanciò uno sguardo intimorito alla mamma, ma quando quella le rivolse un sorriso incoraggiante e le fece cenno di andare, decise di farsi avanti.
Si avvicinò timidamente ai bambini che le rivolsero sguardi stupiti. Alcuni iniziarono a sghignazzare e a parlottare tra loro finché quello che sembrava essere il più grande non diede loro una sberla dietro la nuca intimandoli di smettere.
- Scusa se hanno riso di te. - disse il bambino raccogliendo la palla da terra per poi porgerla a Marie. - Io mi chiamo André. Giochi con noi?
Lei sorrise entusiasta, ma quando tese le mani per prendere la palla non riuscì ad afferrarla a causa della sua bolla.
Riprovò e riprovò suscitando sempre più le risate degli altri bambini. Alla fine lanciò uno sguardo disperato ad André e corse via in lacrime.
Sconvolta da quanto era successo, Marie andò dal padre e gli chiese di liberarla dalla sua bolla. 
- Ma... Piccola, mi hai sempre detto di essere felice di vivere lì dentro. Perché adesso vuoi liberartene?
Marie singhiozzò e si asciugò le lacrime che ancora le bagnavano il viso. - Perché non voglio avere una bolla se non posso nemmeno giocare con gli altri.
Il papà poggiò una mano sulla bolla come per accarezzare la guancia della figlia.

Due giorni dopo, Marie tornò nel parco dove ritrovò André e i suoi amici. All'improvviso, uno di loro lanciò il pallone un po' troppo lontano nella sua direzione e lei lo afferrò dirigendosi verso di loro.
Con un sorriso lo porse ad André. - Posso giocare con voi?
Il bambino le sorrise di rimando. - Con molto piacere! 

   

Pubblicato da Unknown alle 18:10 1 commenti  

Infetta

mercoledì 12 giugno 2013

Buonsalve! Visto che non sto tanto bene e che in questi due giorni ho minacciato spesso il mio ragazzo di contagiarlo, ho deciso di scrivere un racconto su una bambina infetta mooolto speciale. Buona lettura!

Infetta
(racconto n.285)

Elena era una bambina infetta. Fin da quando aveva sei anni anni viveva in una camera sigillata e isolata dal resto della comunità. Passava la maggior parte del suo tempo da sola, guardando filmati e studiando tutto ciò che, dicevano, avrebbe potuto aiutarla a risolvere il suo problema. L'unico contatto umano che aveva era quello con le infermiere che, una volta al giorno, entravano a ritirare la biancheria sporca e a portarle il poco cibo che doveva farsi bastare per tutta la giornata.
A causa della sua malattia altamente contagiosa però a nessuna delle donne era permesso recarsi nella stanza per più di due giorni di seguito né rivolgerle in alcun modo la parola.
Era questa imposizione a far soffrire particolarmente Elena.
Vedere quelle infermiere, provare a parlare loro e ricevere in cambio solo una gelida indifferenza era straziante e non faceva che aggravare le sue condizioni.
Un giorno però accadde un imprevisto nel suo sistema di sorveglianza: una ragazza, per coprire il turno di una collega, si recò nella stanza della piccola anche per i due giorni successivi al suo turno regolare.
Fu proprio il terzo giorno che la malattia le venne trasmessa. Appena la rivide infatti, Elena le sorrise entusiasta e le corse incontro. La ragazza cominciò a sentirsi strana. Fece molto fatica a ignorare prima la gioia poi le lacrime della bambina.
Il quarto giorno non ci riuscì affatto.
Quando la ragazza stava per uscire, Elena vide con meraviglia una lacrima rigarle una guancia e capì di averla infettata.
Aveva risvegliato in lei le pericolose emozioni da tempo bandite nel loro mondo.
Nella loro realtà infatti non c'era posto per la gioia né per il pianto o la rabbia. C'erano solo l'obbedienza e la repressione di tutto ciò che poteva rendere deboli o ribelli. Ogni tanto però nasceva qualcuno come Elena, qualcuno immune ai programmi di controllo delle emozioni e allora quella che veniva chiamata "la malattia" tornava a manifestarsi risvegliando la parte più umana di un mondo in preda al controllo.

Pubblicato da Unknown alle 15:51 1 commenti  

Resurrezione

martedì 11 giugno 2013

Buonsalve! In questi giorni non sto bene (dannata bronchite) quindi perdonatemi se sono un po' sbrigativa. Spero comunque vi piaccia il racconto! ^,.,^

Resurrezione
(racconto n.284)

Buio... Luce... Buio... Luce...
Sollevai e abbassai le palpebre freneticamente, incapace di tenerle aperte. Riuscii appena a scorgere davanti a me un teschio, la carne marcia e la pelle penzolavano su di esso come un macabro velo.
Buio... Luce... Buio ... Luce... Buio...
Buio...
Urlai, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Provai allora di nuovo ad aprire gli occhi, ma invano. Era come se qualcuno mi avesse incollato le palpebre. Cieco e muto, cominciai a sentire la paura crescere a dismisura. Pian piano la paura divenne panico, così forte e incontrollato da farmi perdere il controllo. Fu allora che, in un gesto disperato, mi afferrai le palpebre. E cominciai a tirare. Il dolore fu atroce, straziante, il sangue cominciò a scorrermi addosso come grosse lacrime. Nella mente però avevo un solo pensiero: dovevo vedere. Dovevo sapere cosa mi stava succedendo. Quando la pelle si strappò del tutto, ci misi un po' a mettere a fuoco l'ambiente che mi circondava.
Ovunque c'erano ossa disposte a formare macabri ornamenti per quella che sembrava essere una vasta cripta nella quale cadaveri marcescenti erano immersi nel loro sonno di morte. 
Mi alzai di scatto,rendendomi conto di essere riverso su un mucchio di teschi. Quando mi allontanai, alcuni di essi rotolarono e si fermarono con le orbite vuote puntate nella mia direzione. Mi stavano fissando, ne ero certo. Ero anche sicuro che se avessero potuto avrebbero riso di me. In preda a un puro terrore, inizia a vagare per la cripta finché non mi trovai di fronte a una lucida lastra d'argento. Non badai a le parole che vi erano incise. L'unica cosa che vidi davvero infatti fu il riflesso del mio volto, scarnificato, la pelle su di esso simile a una sottile pergamena strappata.
Spalancai la bocca cercando di gridare tutto il mio orrore. Solo allora mi accorsi di non avere più la lingua.
Poi abbassai lo sguardo e vidi il mio torace martoriato, la carne putrescente e le costole aperte come un fiore sanguinolento appena sbocciato. Barcollai, incapace anche solo di pensare finché all'improvviso un sussurro mi costrinse a voltarmi.
Mi ritrovai di fronte a una figura incappucciata. Fissare dentro il cappuccio fu come guardare una tenebra più nera della notte stessa, un vuoto privo di vita e calore.
- É troppo presto. - disse. - Il tempo del risveglio non é ancora arrivato. Torna a dormire.
A quel comando sentii tutte le forza venirmi meno. Anche senza palpebre, i miei occhi si spensero, la mia mente si perse ed io mi accasciai al suolo nuovamente legato alla morte.

Pubblicato da Unknown alle 16:15 0 commenti  

Sotto la terra incandescente

lunedì 10 giugno 2013

Buonsalve! Nonostante la febbre ecco qui anche la storia di oggi! Questo racconto mi é stato ispirato dai Campi Flegrei, vicino Napoli. Un racconto sulle forze che dormono sotto la terra che mi hanno sempre trasmesso un certo timore. Buona lettura!

Sotto la terra incandescente
(raccontl n.283)


Ho riposato a lungo sotto la terra, millenni di attesa nei quali niente ha scosso il mio essere. La mia presenza é sempre stata tangibile, visibile attraverso la terra che ribolliva e i miasmi sulfurei che si riversano nell'aria della superficie.
Eppure loro non hanno avuto paura. Quelle minuscole creatura hanno eretto su di me le loro dimore, ridendo delle mie manifestazioni e ignorando la reale entità del mio potere.
Col passare dei secoli son cresciuti di numero, si sono sviluppati creando civiltà sempre più grandi così come più ampie si sono fatte le loro conoscenze e le loro capacità.
Perfino quando scoprirono la mia vera natura decisero di ignorarmi e anzi mi sfruttarono come un fenomeno per il quale staccare un biglietto.
La loro paura sembra più rivolta al gigante al mio fianco, a quel mio simile che, sebbene molto meno potente di me, svettava verso l'alto con la sua massa imponente di roccia e fumo.
Un giorno però quegli esseri così fragili capiranno la reale entità del loro errore e quando lo faranno sarà tardi. Il fuoco dentro di me si risveglierà e il cielo verrà solcato da nubi di fumo nero che si diffonderanno ovunque nel loro mondo, oscurando il sole e avvolgendo ogni cosa in una tenebra di fuoco e zolfo.
Con una forza tale da far tremare il mondo, io mi sveglierò dal mio sonno e tutti tremeranno nella consapevolezza di ciò che non poteva in alcun modo essere evitato. Il inoltre non sono solo. Ce ne sono altri come me e insieme abbiamo la forza per spaccare le fondamenta del mondo. Per ora però ci limitiamo a dormire e a osservare incuranti del fatto che molti ci considerano violenti e spietati.
Perché, al contrario di ciò che sembra, noi non siamo crudeli, ma entità neutrali animate dai movimenti sotterranei della terra stessa. Siamo magma e fumo, roccia ed energia e ciò a cui aspiriamo é l'equilibrio, un equilibrio che un giorno dovrà essere infranto per poter essere rinnovato.
Nel frattempo aspettiamo e dormiamo sotto la terra incandescente. Gli uomini, quelle fragili creature che abitano sopra di noi, ci hanno dato un nome. Ci chiamano "super vulcani". Noi, però, altro non siamo che la forza devastante di un mondo antico e potente. 
  

Pubblicato da Unknown alle 14:06 1 commenti  

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