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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

La speranza di una Dea

lunedì 24 settembre 2012

Buon inizio settimana a tutti!
Questo racconto mi frullava già da un po' in testa. In parte legato alla mia fede e al mio bisogno di abbattere il cinismo degli ultimi tempi, spero di cuore che possiate apprezzarlo.


La speranza di una Dea
(racconto n.24)

Essere una divinità non è certo una cosa facile.  Purtroppo, a differenza di quello che molti pensano, non si tratta solo di essere venerati e fare a gara con gli altri Dei per vedere chi ha più seguaci (anche perché ormai quel Gesù ha la vittoria in tasca da duemila anni).
Gestire questo mondo ormai sta diventando sempre più difficile e di solito sono gli umani a complicarci di continuo le cose. Non fanno altro che rendere tutto ancora più problematico di quanto già non sia.
Per una divinità femminile poi cercare di aiutarli sembra quasi impossibile.
Una volta le antiche popolazioni celtiche credevano molto in me. Le loro preghiere mi arrivavano come una marea di voci piene di speranza.
Adesso non mi arrivano che flebili sussurri carichi di tristezza e rimpianto. Sono così pochi quelli ancora capaci di credere in me che potrei andarmene in giro per le loro strade affollate senza che loro si accorgano minimamente della mia presenza tra loro.
Per questo ogni tanto lo faccio. Assumo forma umana e me ne vado in giro nelle loro città in cerca di una ragione, un motivo per cui potrebbe valere la pena di continuare a occuparsi di questo mondo.
Trovai quel motivo per puro caso.
Mi trovavo in una delle più grosse metropoli umane e stavo attraversando la strada senza badare molto a ciò che mi accadeva attorno. La mia mente infatti si trovava altrove, in un ospedale dove una giovane donna stava invocando il mio nome con tutta se stessa.
 Fu allora che scorsi un auto venirmi incontro a tutta velocità. Non me ne preoccupai. In fondo non poteva certo uccidermi anzi al massimo si sarebbe ribaltata su se stessa e accartocciata come una foglia secca.
Ma questo l’umano che mi aiutò non poteva certo saperlo.
Si lanciò verso di me, senza badare a cosa gli sarebbe potuto succedere, spingendomi via poco prima che l’auto mi falciasse.
La vettura non colpì me, ma travolse lui a una velocità spaventosa. Cadde in un coma che i medici umani definirono “irreversibile”.
Quel suo sacrificio mi toccò più di tutte le preghiere del mondo. Solo per quello valeva davvero la pena continuare a vegliare sul mondo anche senza seguaci o rituali in mio nome.
Perciò decisi di ricambiare il gesto di bontà che quell’umano aveva avuto per me. Per questo, quando riaprì gli occhi, egli mi vide negli sguardi felici di tutte le persone a lui care.
Perché a volte un miracolo non è un dono solo per chi lo riceve.
  

Pubblicato da Unknown alle 18:06  

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