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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

L'unicorno carnivoro

domenica 30 settembre 2012

Buona domenica!
Ecco a voi una favola nella quale senza volerlo (giuro che è così)  ho finito con l'inserire una piccola morale non per i bambini, ma per gli adulti: bisogna sempre dire ai propri figli (o in questo caso nipoti) le cose come stanno. Certo bisogna usare le parole e il modo giusto, ma nascondendo loro certe cose come potrebbero affrontarle nel momento in cui si troveranno a viverle?


L'unicorno carnivoro
(racconto n.30)

C’era una volta una bambina di nome Amelie che viveva in un piccolo villaggio assieme alla nonna.  Fin da quando era piccola, la piccola aveva sempre amato le favole.
Che fossero fate bellissime che danzavano tra i fiori o folletti dispettosi pronti a farti perdere tra gli alberi, era sempre rimasta incantata dalle creature meravigliose delle storie che sua nonna era solita raccontarle. Lei però aveva sempre desiderato poterne incontrare una in particolare: l’unicorno bianco.
Secondo quanto le era stato raccontato infatti, nella foresta abitava un bellissimo unicorno dotato di poteri incredibili. Nessuno lo aveva mai visto. Si sapeva della sua esistenza solo per via di fugaci apparizioni che la creatura faceva ai margini del bosco.
Per anni Amelie aveva fantasticato di poterlo vedere finché, compiuti dodici anni, non decise di andare nella foresta a cercarlo. Si alzò all’alba e partì di nascosto portandosi dietro solo un po’ d’acqua e del pane per la colazione.
All’inizio le ombre cupe della foresta la spaventarono, ma dopo un po’, quando il sole fu più alto, si rese conto di sentirsi molto a suo agio tra gli alberi che avevano fatto da cornice a molte delle sue favole. Le ore passarono senza che Amelie riuscisse a trovare traccia dell’unicorno.
Stanca e demoralizzata, cominciò a pensare che forse si trattava davvero solo di un’animale da favola.
All’improvviso però, con sua grande meraviglia, lo vide: era un cavallo bianco dal portamento fiero e maestoso con un lungo corno argentato al centro della fronte. L’animale si stava abbeverando in una pozza d’acqua, ma alzò subito la testa appena lei fece un passo avanti.
In quel momento Amelie notò  delle macchie scure sul manto candido. Temendo fosse ferito, la bambina si avvicinò con cautela.
Appena riuscì a sfiorarlo però l’unicorno nitrì, mostrando una fila di denti acuminati. La bambina guardò terrorizzata le zanne chiudersi sul suo braccio e strappare un grosso brandello di carne mentre il dolore lancinante le strappava un grido.
Non ebbe nemmeno il tempo di provare a scappare. La creatura la azzannò alla gola, mangiando avidamente un altro pezzo di carne.
Amelie morì, sola e spaventata, ignorando che la nonna,  per non spaventarla, aveva omesso una parte fondamentale della storia dell’unicorno che era solito divorare chiunque gli andasse troppo vicino.




Pubblicato da Unknown alle 11:29 0 commenti  

Bookclub

sabato 29 settembre 2012

Buonsalve a tutti! Ieri ho assistito in diretta all'Hangouts del mitico Bookclub "Quelli con gli occhiali" ai quali mi sono ispirata per questo nuovo racconto. 
Vi consiglio caldamente di ascoltarli  (http://www.youtube.com/watch?v=E77CyPrw4lk&feature=plcp) 
perché personalmente mi son sempre fatta delle grasse risate con loro.


Bookclub
(racconto n.29)

Valery aveva sempre amato i libri. Fin da quando era piccola si era sempre appassionata a ogni tipo di storia, dai romanzi fantastici ai gialli, dagli storici ai classici.
All'inizio aveva coltivato da sola questa passione, ma col tempo aveva trovato persone con cui condividere e commentare i suoi romanzi preferiti.
Per una pettegola di natura come lei poi era una vera e propria fortuna. Proprio per condividere questo interesse era nato il "BooksClub". Una volta al mese, dopo aver scelto un libro di comune accordo, lei e i suoi amici si riunivano in un Hangout su Google+ per discuterne con una buona bottiglia di birra e tante risate.
Con lei c'era Cristy, dolce e composta, Danielle, critica e decisa e Paul, un po' folle e spigliato nonché ideatore del gruppo. Insieme si facevano sempre delle bellissime chiacchierate mettendo nei commenti quella buona dose di cattiveria che non guastava mai.
Ormai avevano già fatto diversi incontri che, una volta pubblicati, avevano cominciato a riscuotere un certo successo. Certo avevano avuto anche detrattori. C’erano infatti alcuni soggetti piuttosto divertenti che con le loro critiche non facevano che dare loro grandissime soddisfazioni.
Valery aspettava sempre con ansia quegli incontri e finalmente, dopo giorni di attesa, era arrivato il momento di ritrovarsi. Il libro di cui avrebbero parlato non era certo dei migliori: un distopico per ragazzini con una classica storia d'amore impossibile tanto smielata quanto assurda e malamente scritta. Una chicca che normalmente avrebbe fatto venir loro i capelli bianchi al solo leggere la quarta di copertina, ma che in quel contesto avrebbe dato vita a un succulento dibattito.
Avevano iniziato già da alcuni minuti quando un messaggio sul loro gruppo Facebook li fece scoppiare a ridere: era il loro solito detrattore preferito che scriveva l'ennesimo commento su quanto insulsi fossero come recensori e patetiche le loro finte sbevazzate.
Valery sorrise e alzò la bottiglia, proponendo un brindisi al loro nuovo amico.
Quando gli altri alzarono a loro volta le loro birre, si sentì davvero felice. Quello era davvero uno splendido modo per coltivare la propria passione, allo stesso tempo una valvola di sfogo e una buona occasione di confronto.
In fondo era anche per quello che amava i libri: che ti piacessero o meno ti avrebbero sempre lasciato qualcosa, anche una volta finita l'ultima pagina.




Pubblicato da Unknown alle 12:24 0 commenti  

Il lavoro per noi è un lusso

venerdì 28 settembre 2012

Buonsalve amici
il racconto di oggi ha un significato molto importante perché parla di una situazione che forse non tutti conoscono: attualmente, 600 persone rischiano il posto per via della possibile chiusura/vendita della divisione Italiana della catena di negozi FNAC.  Per mesi i dipendenti sono rimasti nell'incertezza e ancora oggi non hanno idea di che ne sarà di loro e se, a fine anno, avranno ancora un lavoro.
Riporto qui il link del gruppo facebook e quello della petizione "SALVIAMO FNAC" che vi invito con il cuore a firmare: 

https://www.facebook.com/salviamofnac
http://firmiamo.it/salviamo-fnac


Il lavoro per noi è un lusso
(racconto n.28)

Fin dall'inizio Andrea si era ritenuto fortunato ad aver trovato quel lavoro. Molti danno poca importanza al lavoro dei commessi, soprattutto quelli dei reparti videogiochi delle grandi catene come quella in cui lui era stato assunto, ma lui era bravo in quello che faceva e i clienti che gli chiedevano consiglio se ne accorgevano sempre ed era quella la cosa importante. Certo gli orari erano estenuanti e la paga non proprio esorbitante, ma alla fine riusciva comunque a tirare avanti. Col tempo, il negozio in cui lavorava si era rivelato essere un piccolo mondo a parte.
Aveva trovato amici sinceri e compagni di risate, ma anche insopportabili rompicoglioni o arpie acide tanto brave a giudicare quanto a fare ciò di cui accusavano gli altri.
Col tempo aveva visto nascere storie importanti sfociate poi in splendidi matrimoni o incontrato persone di passaggio in quello che era un ambiente lavorativo vario e complesso.
E i clienti poi! Quanto ne aveva visti!  Amanti dei videogiochi o della lettura, delle ultime tecnologie o del cinema passavano tra quegli scaffali parlando delle proprie passioni, scambiando opinioni ed esperienze con lui e gli altri commessi o anche solo con altri clienti o amici in un crocevia di vite che aveva del meraviglioso.
Per quanto snervante e soffocante potesse essere a volte, quel posto pulsava di vita e arte, di passione e cultura.
Spesso Andrea si era ritrovato a sorridere e a pensare che in fondo gli sarebbe potuta andare molto peggio.
O almeno aveva sorriso finché non gli avevano dato la notizia: presto la loro intera catena di negozi in Italia avrebbe potuto chiudere. Da un giorno all'altro, lui e altre 600 persone avrebbero rischiato di perdere il lavoro.
Da quella comunicazione passarono nove mesi, un inferno di incertezza in attesa di sapere cosa ne sarebbe stato di loro. I grandi capi lassù se la prendevano comoda, non pensavano a cosa sarebbe potuto accadere ai giovani dipendenti che avevano provato a crearsi un futuro con un mutuo o a quelle coppie, che lavorando insieme, avrebbero perso ogni sostentamento per loro e i propri figli. Senza quel lavoro molti, lui compreso, avrebbero rischiato di perdere tutto.
Andrea sapeva però che non era disperandosi che avrebbero avuto una risposta. Dovevano fare qualcosa.
Iniziò pian piano, una città alla volta.  Roma, Milano, Torino, ovunque ci fosse una sede della loro catena di negozi i dipendenti cominciarono a far sentire la loro voce attraverso pacifiche manifestazioni. Perfino su diversi social network nacquero iniziative atte a far conoscere e comprendere la delicata situazione in cui si trovavano. Presto migliaia di altre voci si sarebbero unite alla loro protesta, alla semplice richiesta di sapere cosa ne sarebbe stato di quelle 600 persone, di quelle 600 famiglie. Forse quelle voci avrebbero smosso più di una coscienza, forse avrebbero ricordato a chi fingeva di non ascoltare che il lavoro non era solo un lusso. Era la possibilità di una vita dignitosa.


I dipendenti della FNAC di Torino manifestano a piazza Vittorio

Pubblicato da Unknown alle 11:58 0 commenti  

Il desiderio di un'artista

giovedì 27 settembre 2012

Buonsalve a tutti!
Questo racconto è nato pensando a quanto può essere difficile per un artista (che sia scrittore o illustratore o altro) far diventare la propria passione un lavoro e a tutti i rischi che incorrono avvicinandosi a una realtà sicuramente non semplice. Allo stesso tempo però è nato anche dalla determinazione e dall'entusiasmo che riescono a trasmettermi tutte le persone che, in un modo o nell'altro, mi hanno dato il loro supporto e il loro incoraggiamento in tutti questi anni di scrittura nonché dalla speranza che l'occasione della vita possa arrivare per tutti.

Il desiderio di un'artista
(racconto n.27)


Lilian non aveva molti talenti, anzi a dire il vero si riteneva una ragazza davvero mediocre. D'aspetto era piuttosto anonima, alta ma formosa e con una zazzera di capelli scuri in perenne disordine. Non sapeva cucinare, né cucire, era troppo impacciata per fare qualsiasi sport e la sua eccessiva timidezza la portava a mantenere in tutto quello che faceva un basso profilo.
Insomma era un vero disastro. C'era solo una cosa che sapeva far bene: lei sapeva disegnare.
Ogni volta che stringeva in mano una matita o si trovava davanti a una tavoletta grafica si trasformava. Le sue mani diventavano ferme e sicure, capaci di tracciare linee precise e accurate che davano vita a veri e propri capolavori.
I suoi disegni sembravano prender animarsi a ogni tratto. Il suo sogno era sempre stato quello di fare della sua passione un lavoro. Purtroppo però non sapeva che nella realtà a cui voleva appartenere c'era sempre qualcuno pronto ad approfittare del talento di un'ingenua.
Fu David Neil a insegnarle quella dura lezione. La contattò su Deviantart, spacciandosi per un committente interessato a farle realizzare alcune copertine. L'entusiasmo di Lilian fu tale che quando lui pubblicò i suoi lavori col proprio nome, attribuendosene il merito, il mondo le crollò addosso. Cominciò a pensare di non essere tagliata per diventare un'illustratrice, che fosse troppo debole per quel lavoro.
Accadde però qualcosa che non si sarebbe mai aspettata: una donna che la seguiva da tempo, riconobbe il suo tratto nelle copertine rubate da Neil. Quando le chiese se in privato se le opere fossero sue e lei le racconto quello che era successo, scatenò qualcosa di davvero sorprendente.
Lilian presto si vide ricevere decine di messaggi di persone e artisti che avevano sentito su Facebook o altri social network del furto che aveva subito e non solo le mostrarono la propria comprensione, ma le facevano anche i complimenti per i suoi lavori, incoraggiandola a non mollare.
Ogni volta che leggeva quei messaggi, Lilian si sentiva un po' più forte. In fondo importava se sarebbe riuscita o meno a realizzare il suo desiderio. Avrebbe fatto di tutto per riuscirci e in ogni caso non avrebbe avuto rimpianti. Amava disegnare più di ogni altra cosa e nessuno avrebbe potuto toglierle il suo dono.
In quel momento pensò che in fondo il sostegno di quelle persone le sarebbe bastato per trovare sempre e comunque la voglia di impegnarsi e migliorare. Nonostante la brutta batosta, era felice della strada intrapresa.
Ignorava che quello sarebbe stato solo l’inizio di un percorso più ampio, che la voce si sarebbe sparsa e che presto, proprio grazie alla donna che l’aveva aiutata, sarebbe arrivato per lei il primo, vero lavoro.


Pubblicato da Unknown alle 11:30 0 commenti  

Fata predatrice

mercoledì 26 settembre 2012

Buonsalve a tutti! 
Nel racconto di oggi ho deciso di dedicarmi alle fate. Ho tratto ispirazione da un puzzle che ho appeso in camera e che ritrae una bellissima fata gotica (la vedete alla fine del racconto) realizzata dall'artista Anne Stokes. Mi raccomando non aspettatevi fatine piccole e delicate alla Campanellino, potreste restare delusi. ;)


Fata predatrice
(racconto n.26)

Tutti pensano che le fate siano creature aggraziate e delicate, amanti dei fiori e della vita. Alcune se alcune di loro corrispondo a questo stereotipo, non tutte sono così buone e gentili come si pensa. Per questo si sono potute mescolare agli umani senza molti problemi.
Sheina apparteneva alla categoria delle fate predatrici. Viveva da circa un centinaio di anni tra i mortali e aveva già cambiato un paio di identità, migrando da una città all'altra per nascondere il fatto che il suo corpo non poteva invecchiare. Almeno finché continuava a nutrirsi.
All'inizio del XXIº secolo si era trasferita a New York, una città perfetta per una fata come lei. Una volta al mese, si vestiva con succinti abiti in pelle e attraversava le strade della città come se ne fosse la regina.
Quando una preda le si avvicinava, apparentemente di sua iniziativa, non c'era nessuno che potesse impedirle di nutrirsi della sua energia fino a prosciugarla del tutto. Cacciare le piaceva da impazzire, era il brivido che continuava a rendere eccitante la sua eternità. Non sempre però le capitava di uccidere le sue prede. Una sera ad esempio, le si avvicinò un ragazzo dall'aria timida e impacciata. Era un mingherlino che probabilmente non aveva mai avuto un rapporto con una donna.
Sheina provò subito tenerezza per il suo modo maldestro di rimorchiarla. Fu per quello che volle fargli un regalo. Senza che quasi se ne rendesse conto, il ragazzo si era ritrovato in una stanza di albergo con quella che hai suoi occhi era la donna più bella che avesse mai visto. La fata si spogliò mostrando il suo corpo nudo e perfetto, facendolo letteralmente sussultare per l'eccitazione. Un attimo e gli fu sopra, muovendosi con gesti lenti e sensuali, premendo spesso e con forza la bocca contro la sua.
Allo stesso tempo, così come aveva sempre fatto, iniziò a nutrirsi della sua energia. Lo lasciò solo quando il ragazzo, raggiunto l'orgasmo, non si accasciò semisvenuto sotto di lei. Sheina se ne andò poco dopo, non completamente sazia, ma soddisfatta. Certo il giovane non avrebbe rammentato il suo volto, ma di certo avrebbe sempre ricordato il piacere che lei gli aveva dato.
Del resto, lei era pur sempre una fata e a volte, si sa, le fate possono anche esaudire i desideri. 


Pubblicato da Unknown alle 12:40 0 commenti  

Captcha

martedì 25 settembre 2012

Buonsalve a tutti!
Questo racconto appartiene alla serie "se non è assurdo non succede a me" ed è nato a seguito di alcuni captcha piuttosto curiosi che mi è capitato di trovare su internet. Quello che più mi ha fatto ridere è stato quello immortalato nella foto a fine racconto e quando ti capitano frasi del genere come non scriverci un racconto sopra? XD

Captcha
(racconto n.25)


Captcha. Così si chiamano quei test nei quali devi scrivere la frase che ti viene proposta per garantire che sei un essere umano e non qualche computer pronto a fregare i gestori di un determinato sito. A Diana era capitato spesso di trovarne, ma in questo caso non si sarebbe trattato di un test come gli altri.
Aveva appena trovato un interessante sito che parlava di zombie cinematografici quando, durante la registrazione, le comparve un captcha che diceva: ready to go.
Con una scrollata di spalle digitò la frase, ma invece di andare avanti con la registrazione le apparve un altro di quegli inutili test.
"Benvenuta."
 Sbuffò, digitando di nuovo la frase, ma ecco che subito ne comparve un'altra: "Sappiamo chi sei, Diana,"
La ragazza sgranò gli occhi. Come facevano a sapere il suo nome?
Le ci volle un attimo per capire: registrandosi al sito aveva messo il suo nome. Quello doveva essere uno stupido programma automatico per spaventare i nuovi arrivati.
"Tutto questo è reale."
Diana cominciava a stufarsi di quel gioco così invece di riscrivere la frase digitò: "Chi siete?"
Con sua sorpresa il captcha le rispose: "Quelli che potrebbero salvarti la vita."
La giovane sgranò gli occhi lasciandosi sfuggire un’imprecazione. Non si aspettava di certo una risposta.
"É uno scherzo?"
Un nuovo captha apparve." No. Loro stanno arrivando. Siamo già circondati."
"Loro chi?"
" Gli esperimenti che il governo cerca di nascondere, ma sono fuggiti. Stanno entrando."
In quel momento, Diana sentì un grido, seguito da rumori di passi trascinati e cupi lamenti.
"Li sento alla mia porta. Che cosa sono?" digitò.
Un altro captcha arrivò, ma questa volta sembrava incompleto: "Loro sono qui. Quei mostri hanno...."
"Che succede? State bene?" scrisse la ragazza mentre sentiva crescere il panico.
L'agitazione divenne terrore quando capì ciò che stava per entrare dalla sua porta. Davanti ai suoi occhi, sullo schermo, un ultimo captcha con una sola, inquietante parola: "Braaains!"




Pubblicato da Unknown alle 11:54 0 commenti  

La speranza di una Dea

lunedì 24 settembre 2012

Buon inizio settimana a tutti!
Questo racconto mi frullava già da un po' in testa. In parte legato alla mia fede e al mio bisogno di abbattere il cinismo degli ultimi tempi, spero di cuore che possiate apprezzarlo.


La speranza di una Dea
(racconto n.24)

Essere una divinità non è certo una cosa facile.  Purtroppo, a differenza di quello che molti pensano, non si tratta solo di essere venerati e fare a gara con gli altri Dei per vedere chi ha più seguaci (anche perché ormai quel Gesù ha la vittoria in tasca da duemila anni).
Gestire questo mondo ormai sta diventando sempre più difficile e di solito sono gli umani a complicarci di continuo le cose. Non fanno altro che rendere tutto ancora più problematico di quanto già non sia.
Per una divinità femminile poi cercare di aiutarli sembra quasi impossibile.
Una volta le antiche popolazioni celtiche credevano molto in me. Le loro preghiere mi arrivavano come una marea di voci piene di speranza.
Adesso non mi arrivano che flebili sussurri carichi di tristezza e rimpianto. Sono così pochi quelli ancora capaci di credere in me che potrei andarmene in giro per le loro strade affollate senza che loro si accorgano minimamente della mia presenza tra loro.
Per questo ogni tanto lo faccio. Assumo forma umana e me ne vado in giro nelle loro città in cerca di una ragione, un motivo per cui potrebbe valere la pena di continuare a occuparsi di questo mondo.
Trovai quel motivo per puro caso.
Mi trovavo in una delle più grosse metropoli umane e stavo attraversando la strada senza badare molto a ciò che mi accadeva attorno. La mia mente infatti si trovava altrove, in un ospedale dove una giovane donna stava invocando il mio nome con tutta se stessa.
 Fu allora che scorsi un auto venirmi incontro a tutta velocità. Non me ne preoccupai. In fondo non poteva certo uccidermi anzi al massimo si sarebbe ribaltata su se stessa e accartocciata come una foglia secca.
Ma questo l’umano che mi aiutò non poteva certo saperlo.
Si lanciò verso di me, senza badare a cosa gli sarebbe potuto succedere, spingendomi via poco prima che l’auto mi falciasse.
La vettura non colpì me, ma travolse lui a una velocità spaventosa. Cadde in un coma che i medici umani definirono “irreversibile”.
Quel suo sacrificio mi toccò più di tutte le preghiere del mondo. Solo per quello valeva davvero la pena continuare a vegliare sul mondo anche senza seguaci o rituali in mio nome.
Perciò decisi di ricambiare il gesto di bontà che quell’umano aveva avuto per me. Per questo, quando riaprì gli occhi, egli mi vide negli sguardi felici di tutte le persone a lui care.
Perché a volte un miracolo non è un dono solo per chi lo riceve.
  

Pubblicato da Unknown alle 18:06 0 commenti  

Vita da gatta

domenica 23 settembre 2012

Buona domenica a tutti!
Il racconto di oggi é in parte ispirato a Piuma, la mia gatta. L'ho trovata quando non aveva nemmeno un mese a Padova e per un bel po' di tempo abbiamo condiviso casa e vita. Purtroppo a causa di alcuni problemi ho dovuto darla a mio padre, ma credo che adesso se la stia cavando più che bene.
Ora é in compagnia di altre splendide gatte e di certo sa come passare il  tempo. ^,.,^

Vita da gatta
(racconto n. 23)

Piuma aveva sempre trovato gli esseri umani davvero bizzarri. Erano grossi, goffi e si preoccupavano sempre troppo per qualsiasi cosa. Non sapevano proprio come godersi la vita. Non che la sua vita da gatta fosse facile. Insomma era snervante dover far sempre affidamento sui suoi umani per qualsiasi cosa. Per esempio se voleva da mangiare doveva aspettare che loro si decidessero a lasciarle il cibo nella sua ciotola o a regolare gli appositi distributori. Poi era costretta ad alzarsi per andare a sfamarsi alla suddetta ciotola.
Una vera insolenza considerato tutto quello che lei faceva per loro. Ogni volta che avevano voglia di elargire grattini, dava loro soddisfazione con un mare di fusa e con la sua sola presenza contribuiva a dare a tutto un aspetto più  aggraziato.
Doveva ammetterlo però, col tempo si era affezionata a quegli umani. Certo all'inizio era stato un trauma abituarsi alla loro presenza.  Era ancora cucciola e si era da poco separata dalla mamma quando la portarono in quella specie di tana. In un primo momento si era spaventata, ma pian piano aveva cominciato a capire a cosa servissero gli strani oggetti che la decoravano.
C’erano due cucce principali in quella dimora: una era larga e morbida, situata nella stanza dove erano soliti perpetrare in maniera vergognosa i loro riti di accoppiamento. Pensate che non l’avvertivano nemmeno prima di cominciare, tanto che a volte si era ritrovata ad assistere alle loro effusioni senza volerlo. La seconda era una cuccia un po’ più piccola che i suoi umani usavano per fissare una strana grossa scatola posta su uno dei tanti tiragraffi in legno della gatta.
Ovviamente tutte quelle cucce erano in comodato d'uso. Piuma permetteva loro di usarle in alcuni momenti, ma si riservava il diritto di usufruirne come e quando credeva. Il difficile veniva quando i 
loro orari di usufrutto coincidevamo con le sue pennichelle. Gli umani facevano un po' di storie per quello, ma alla fine era sempre lei a spuntarla e a ottenere i posti migliori. La gatta comunque non 
capiva cosa avessero da lamentarsi tanto. Spesso lei gli portava perfino dei regali. Offriva piccoli topi o lucertole morte solo per far capire loro che in fondo non erano poi così inutili. Anche se doveva 
ammettere che lo faceva più per piacere che per cortesia.
Il momento della caccia era davvero esaltante per lei. Si sentiva libera, forte e potente come non mai.
 Quando cacciava non aveva freni.
I suoi umani però non sembravano gradire molto i suoi regali e continuavano a sgridarla per ogni minima sciocchezza. Quegli ingrati! Non capivano quanto la sua presenza fosse preziosa per la loro
tana. Oltre ad abbellirla e a infonderle un senso di regalità, lei contribuiva a far sì che tutto fosse a posto, dai tiragraffi in legno alle cucce, dai dispensatori di cibo alla lettiera. Era lei che ne testava il 
corretto funzionamento, non loro.
Ma come poteva pretendere che capissero. In fondo erano solo umani domestici.

Pubblicato da Unknown alle 11:36 0 commenti  

Born to be Killer

sabato 22 settembre 2012

Buonsalve!
Questo è un racconto nato ieri sera, mentre guardavo i Vendicatori. Adoro quel film! credo di essermelo visto almeno cinque volte per ora! XD


Born to be Killer
(racconto n. 22)

Ricordo ancora la prima volta che ho ucciso un uomo.
Ero una bambina, vivevo con una zia il cui unico interesse sgorgava dal collo di una bottiglia. Non credo fosse una persona cattiva. Il fatto è che viveva attaccata al rimpianto di una vita che non avrebbe mai più potuto avere.
In poco tempo aveva perso marito e lavoro e si era ritrovata a carico una nipote che non aveva mai voluto.
Quando la situazione economica divenne disperata, la cara zia decise che era arrivato il momento anche per me di guadagnare qualcosa per la “famiglia”.
Ero in camera mia quando quell'uomo arrivò. Unto e maleodorante, mi si avvicinò con un sorriso marcio.
Dentro di me non provavo niente, né paura né agitazione. Ero fredda e distaccata. Non sapevo perché, ma nel momento in cui avevo avvertito il pericolo ogni emozione dentro di me si spense. Quando allungò una mano per toccarmi, la mia era già stretta sulla lampada poggiata accanto al letto.
Non ero molto forte, ma il mio istinto mi guidava bene. Sapevo dove e come colpire per impedirgli di farmi del male.
Entrata in stanza, mia zia vide solo il cadavere dell'uomo e me, riversa nel suo sangue. Vederla dare di matto mi strappò un sorriso.
Peccato che non potessi godermi la scena come si deve. Appena si mise a urlare scappai dalla finestra.
Mi ci volle un po' per capire davvero la situazione in cui mi ero cacciata. Avevo dieci anni, eroda sola, per la strada e avevo ucciso un uomo.
Stranamente però continuai a non avere paura. In qualche modo sapevo che ce l'avrei fatta.
Vissi tre anni in strada, sopravvivendo solo con le mie forze, nascondendomi per non essere trovata dalla polizia che di certo mi stava cercando.
Avevo tredici anni quando loro mi trovarono.
Non la polizia, ma qualcuno al di sopra di essa. Mi addestrarono, insegnandomi a gestire il mio talento, a incanalare quel piacevole gelo che mi aveva avvolta durante quel primo omicidio e a trasformarlo nella mia forza.
Da allora uccidere divenne il mio mestiere.
Oggi per il mio paese, domani per colui che mi darà la possibilità di continuare a farlo.
In fondo quando trovi quello per cui sei nata non importa come o per chi lo fai.
E quando lo fai dannatamente bene perché fermarsi?


Pubblicato da Unknown alle 12:49 0 commenti  

Real Zombie Walk

venerdì 21 settembre 2012

Buonsalve amici!
Questa domenica a Torino ci sarà la Zombie Walk, evento in cui tutti gli appassionati potranno divertirsi a creare i più raccapriccianti  per sfilare in giro per la città come morti viventi a caccia di cervelli (e speriamo che non muoiano di fame). Ma cosa accadrebbe se i partecipanti non fossero finti non-morti, ma dei veri zombie?


Real Zombie Walk
(racconto n.21)

Chiara non stava più nella pelle. Finalmente era arrivato il grande giorno!
Quel pomeriggio da Piazza Statuto sarebbe partita la Zombie Walk Torinese! Centinaia di appassionati, truccati a dovere, avrebbero sfilato per la città come un gruppo di zombie affamati. La ragazza aveva aspettato quell'evento da tanto.
Per un motivo o per l'altro gli anni precedenti non era mai riuscita a partecipare, ma questa volta non ci sarebbero stati intoppi.
Si sarebbe divertita davvero alla grande. Chissà magari avrebbe potuto anche trovare uno zombie carino con cui uscire.
Quel giorno passò l'intera mattinata a truccarsi, mettendosi addosso una marea di cerone e sangue finto.
Sua madre ovviamente le aveva detto peste e corna. Non riusciva a capire come a una ragazza di ventotto anni potessero piacere certe cose.
Per fortuna però non era una guastafeste e non aveva rotto le scatole più del necessario.
Con il cuore in gola, Chiara uscì di casa. Non badò alle occhiate che i passanti le lanciavano. Era una zombie perfetta e ne andava fiera.
Arrivata a Piazza Statuto i suoi occhi si illuminarono.
Centinaia di finti non-morti barcollavano nella piazza emettendo cupi lamento, tutti già perfettamente immedesimati nella loro parte.
Per un attimo si sentì inadeguata. Se la cavava col trucco, ma il suo costume sembrava quello di una dilettante in confronto agli altri.
Si fece coraggio e decise di gettarsi nella mischia. Barcollò tra la folla finché non venne circondata da un gruppetto di zombie.
Stette per salutarli, ma appena alzò la mano uno  le morse un braccio.
- Ehi, fa piano! - urlò guardandosi spaventata il braccio insanguinato. - Va bene immedesimarsi, ma questo è troppo!
Subito un altro cercò di agguantarla. Riuscì a evitarlo per un pelo, allontanandosi dal gruppo. Quando però si ritrovò addosso gli sguardi spenti d tutti, capì che qualcosa non andava.
Indietreggiò sperando di riuscire a scappare, finché non urtò qualcosa di molliccio e appiccicoso riverso sull'asfalto.
Abbassò lo sguardo, inorridita e vide a terra un ammasso informe di sangue e organi interni. Appena si mise a urlare, gli zombie le si avventarono addosso, mordendole e strappandole la carne in grossi bocconi.
Mentre veniva sommersa da una fiumana di cadaveri affamati, mentre questi la divoravano e l'ultima scintilla di vita si spegneva in lei, Chiara ripensò ai numerosi impegni che le avevano impedito di partecipare gli altri anni.
Con rammarico si rese conto solo in quell'ultimo istante di quanto avesse fatto male a lamentarsi per quelle che erano stati solo dei fortunati imprevisti.


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Libero di essere me stessa

giovedì 20 settembre 2012

Buonsalve amici, 
premetto che il titolo del racconto non è sbagliato. Ne capirete il senso leggendo il racconto nato da una serie di riflessioni su quanto sia difficile, a volte, sentirsi liberi di essere se stessi.


Libero di essere me stessa
(racconto n.20)

Non so chi tu sia né in quale strano e lontano mondo tu sia nato. Non conosco niente di te e della tua vita, ma se sceglierai di continuare a leggere, tu saprai ogni cosa della mia.
Sono nato in un luogo dove la natura viene manipolata e programmata. Tutto deve essere controllato per impedire il crollo di un pianeta ormai in bilico. Un mondo che la nostra stessa razza ha quasi distrutto.
Perfino le nascite vengono rigorosamente controllate.
Nel momento in cui una donna viene ingravidata, infatti, le viene somministrato un siero che altera la formazione del sesso del nascituro.
Per questo quando nasciamo siamo androgini. Passiamo i primi anni della nostra esistenza senza un’identità sessuale finché, dopo una serie di test accurati, la Commissione di Attribuzione non decide quale sarà il nostro ruolo nella società.
È in base a quel ruolo che ci viene somministrato l’ormone che ci permetterà di diventare maschi o femmine.
Con me però è stato diverso. Io sono quello che può essere classificato come “errore di primo livello”.  La mia nascita infatti non era programmata nei database governativi.
Quando scoprirono della mia esistenza ero già sviluppato sufficientemente da permettere a mia madre di far applicare le leggi antiaborto.
Nessuno sapeva però che la somministrazione ritardata del siero avrebbe avuto delle conseguenze.
La mia vita procedette in maniera piuttosto normale fino a quando non mi assegnarono alle miniere di estrazione. Ero stato scelto per essere un maschio e passare la mia vita a scavare la terra alla ricerca di minerali fossili.
Quando conobbi i miei nuovi compagni di lavoro, mi resi conto che qualcosa nel progetto di controllo non aveva funzionato. La mia diversità era evidente.
Certo ero un uomo in tutto e per tutto, eppure il mio aspetto androgino non era mutato molto. Fu allora che  incontrai  per la prima volta Marius.
Quello fu il momento più importante della mia vita. Il momento in cui capii che non avrei mai potuto esistere senza di lui. All’inizio non riuscivo a spiegarmi cosa mi stesse accadendo, perché provavo questi sentimenti che molti avrebbero definito “innaturali”. Poi, fu lo stesso Marius a farmi capire, quando rivelò di provare il mio stesso sentimento. Quel corpo maschile che mi avevano dato, quella forma che secondo loro sarebbe stata quella più congeniale per me, non mi apparteneva.
La mia natura non era quella di un uomo.
Furono anni felici, in cui ci amammo di nascosto senza dover rendere conto a nessuno se non a noi stessi. Vivevamo di momenti rubati che valevano più di una vita intera.
Alla fine però la nostra realtà ci travolse.
Nel momento in cui ci imposero una compagna per la riproduzione, la verità venne alla luce. Stanchi di nasconderci e di mentire, ci opponemmo a quelle unioni forzate.
Marius venne preso per primo. Io, non so come, riuscii a fuggire.
Quanta vergogna provai nel momento in cui assistetti alla sua esecuzione pubblica. Non riuscivo a perdonarmi di essere scappato abbandonandolo alla morte.
Ormai però non manca molto. Loro stanno venendo a prendermi e quando arriveranno di me non resterà che questa lettera.
Spero che tu possa capire perché non abbiamo voluto piegarci. Spero che in qualche modo la nostra vita possa dare a te il coraggio di essere ciò che sei e di amare chiunque il tuo cuore ti porti ad amare.
Per quel che mi riguarda mi avvicino alla fine con un sorriso perché per pochi anni, nonostante tutto, sono stato libero di essere me stessa.


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L'ultima lettera di Jack lo Squartatore

mercoledì 19 settembre 2012

Buonsalve amici!
Qualche tempo fa ho scritto un racconto su Jack lo squartatore. Ovviamente ho fatto una lunga serie di ricerche sui suoi delitti molto più raccapriccianti di qualsiasi romanzo o film splatter.
Questo ovviamente non é il racconto che ho scritto allora, ma un altra storia scritta pensando a quello che in un certo senso Jack lo Squartatore ha rappresentato. Sono molti in fatti i serial Killer inglesi i cui delitti emulano in qualche modo quelli dello squartatore.

L'ultima lettera di Jack lo Squartatore
(racconto n. 19)

Cosa si prova nel momento della morte?
Oh, io lo so. Io lo bene. Conosco quella sensazione di terrore che ti scivola sulla pelle, che ti paralizza dandoti la consapevolezza di essere una vittima inerme.
Ho condiviso quella sensazione con le mie vittime, in momenti così intensi da far fermare il tempo. Mentre aprivo loro le gole e scavavo nei loro ventri, ho compreso l'essenza della vita sessa.
Molti di voi si chiederanno come mai ho fatto tutto questo. Si domanderanno cosa mi ha spinto a massacrare quelle donne a Whitechapel.
Semplice, perché era quello ciò che il mondo richiedeva. Ho visto il marcio e la corruzione di

questo secolo e gli orrori di quello verso cui ci stiamo inoltrando.
Pretende che l'equilibrio venga rispettato, che anche la nostra razza degradata abbia i suoi predatori.

Il mondo vuole dei carnefici.
Siamo così orribilmente abituati a reprimere i nostri istinti e a soffocare la nostra natura da aver dimenticato cosa sia il vero terrore.
Per questo mi sono assunto il compito di ricordare la verità e cioè che siamo solo delle vittime. Vittime dei nostri moralismi, vittime di una realtà plasmata da false sicurezze.
Tutto é iniziato vagando per i sudici vicoli di Whitechapel. Allora non conoscevo il vero volto della nostra società.
Io che ero cresciuto nell'agio, mi sono ritrovato a scoprire la realtà negli occhi dei ladri e  delle puttane di quell'angolo d'inferno.
Nel mio vagare ho capito cos'é che mi aveva sempre tormentato.
Io ero destinato a quello. Avevo trovato il compito per cui ero nato.
Per questo ho ucciso e straziato, dilaniando i corpi di quelle donne per far emergere la loro vera essenza.
Quello che invece io mi domando é perché voi non agiate.
Voi siete come me, predatori che non attendono altro che braccarsi l'un l'altro.
Presto la vostra natura si manifesterà, risvegliata dalle mie azioni.
Ora però il mondo reclama un'ultima vittima.
Scrivo quest'ultima lettera consapevole che nessuno la leggerà, che presto si perderà smarrita nel mio stesso sangue.
Adesso, mentre sento la lama del coltello sfiorarmi la gola, non posso fare a meno di sorridere. Nessuno saprà mai il mio nome.
Io sono solo la mano che ha agito per conto di un simbolo. E quel simbolo sarà colui che darà inizio a una nuova era, che risveglierà la vera natura umana. Da questo momento nessuno dimenticherà più il nome dell'essenza della società stessa.
Il nome di Jack lo squartatore.

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Un fantasma in cerca d'amore

martedì 18 settembre 2012

Buonsalve a tutti! 
Il racconto di oggi parla di un fantasma di Torino (sapete da queste parti ce ne sono tanti.) e del suo desiderio di trovare finalmente l'amore. Un racconto per tutti quelli che non sono mai stati innamorati, ma che stanno cercando la persona del proprio cuore. Non disperate nella ricerca perché quando lo troverete, vedrete che ne sarà valsa la pena (basta però che non facciate come il fantasma di Vanessa XD ).  

Un fantasma in cerca d'amore
(racconto n.18)


Si dice che alcuni anni fa una ragazza di nome Vanessa, morì per un incidente ai piedi della Mole Antoneliana. Il suo spirito però non riuscì a passare oltre a causa di un grosso rimpianto: la giovane infatti, morta a ventotto anni, non era mai stata innamorata.
Disperato, il fantasma vagò a lungo per Torino, piangendo e sperando di trovare l’amore della sua vita.
Ogni tanto un ragazzo carino attirava la sua attenzione e allora lei cominciava a seguirlo e a ossessionarlo.
All’inizio le persone di cui s’invaghiva non sospettavano della sua presenza. Avvertivano solo uno strano disagio e brividi di freddo che non sapevano spiegarsi. Quando si manifestava però, questi finivano sempre col scappare terrorizzati, alcuni arrivando perfino a cambiare città.
Gli anni passarono e lo spirito rimase da solo, non trovando nessuno che avesse il coraggio anche solo di parlare con lei. Un giorno però, incontrò un giovane che non ebbe paura anzi sembrava incuriosito dalla sua presenza.
I due parlarono a lungo e di molte cose. Lui le raccontò della sua vita mentre Vanessa cercò in qualche modo di spiegargli come ci si sentisse ad essere morti.
Era stano per lei non avere un corpo, poter attraversare gli oggetti o semplicemente trovarsi di tanto in tanto a svanire nel nulla. Strano sì, ma allo stesso tempo anche naturale.
Affascinato dalla reazione del giovane mentre gli raccontava della sua condizione, il fantasma di Vanessa decise di non volersi mai più separare dal giovane. Fu per questo che decise di provocare un incidente, causandone la morte.
Ciò che avvenne però non rispecchiò le sue aspettative.
Furioso per ciò che lei gli aveva fatto, lo spirito del ragazzo l’allontanò in malo modo, rifiutando ogni sua attenzione.
Da allora i due fantasmi infestano Torino e vagano per la città in una fuga eterna, uno per cercare di sfuggire alle grinfie della sua assassina, l’altra sperando di riuscire a conquistarlo. 



Pubblicato da Unknown alle 15:14 0 commenti  

Pensieri di una mamma appena nata

lunedì 17 settembre 2012


 Buon inizio settimana a tutti!
Come vedrete questo racconto si discosta molto dalle mie solite storie. Non so effettivamente da dove sia nata quest'idea, ma spero comunque che qualche mamma possa rispecchiarvisi. 


Pensieri di una mamma appena nata.
(racconto n.17)

Una volta, quando ero giovane, ho pensato a come mi sarei comportata semmai un giorno fossi diventata madre. Non ricordo cosa stessi facendo, né cosa avesse dato il via ai miei pensieri. So solo che la mia mente cominciò a vagare e a riempirsi di domande.
Cominciai a riflettere su quali scelte avrei fatto semmai tu un giorno fossi nato.
Sapevo che il mondo avrebbe sempre cercato di importi le sue scelte.
Il luogo in cui saresti nato avrebbe influenzato la tua fede, la gente con cui saresti stato in contatto avrebbe cercato di cambiare i tuoi principi e io non avrei potuto fare altro che sostenerti e guidarti fino a quando me lo avresti permesso.
E mentre quei pensieri mi attraversavano la mente, mi chiesi come avrei potuto lasciarti libero sapendo quanto dolore la libertà avrebbe comportato? Come potevo permetterti di camminare da solo conoscendo quanto crudele potesse essere il mondo in cui ti saresti affacciato? E come avrei potuto impedirti di commettere determinati errori quando io stessa in passato ne ero rimasta vittima?
Domande su domande e incertezze che si accavallavano mi fecero vedere il futuro come una sfida che non ero sicura di poter affrontare.
Poi gli anni sono passati e i pensieri si sono rintanati nel profondo del mio essere, lasciando spazio a quelli legati alla vita stessa.
Adesso però le cose sono cambiate.
Non importa più se sceglierai di credere in un Dio o in una Dea, se la tua natura ti porterà ad amare un uomo o una donna o se sceglierai di seguire aspirazioni impossibili.
Stringendoti tra le braccia, guardando i tuoi occhi che mi fissano pieni di curiosità, ho capito che non importa quante domande o dubbi potessero assillarmi.
Qualsiasi scelta farai io sarò sempre qui per te. Forse sbaglierò e non sempre saremo d’accordo, ma questo non cambierà mai il nostro legame.
Perché adesso, guardandoti così piccolo e indifeso, so che qualunque sarà la tua strada ne sarò per sempre orgogliosa, così come sarò sempre fiera del dono che mi è stato fatto, quello preziose e insostituibile di essere tua madre.

Pubblicato da Unknown alle 17:34 0 commenti  

L'involuzione dell'editor

domenica 16 settembre 2012

Buonsalve!!
Il racconto di oggi mi é venuto in mente mentre guardava la mia amica Daze lavorare alla correzione di untesto. Secondo me un giorno di questi rischierà seriamente di fare questa fine XD

L'involuzione dell'editor
(racconto n.16)

Valery lavorava ormai da molto come Editor in quella piccola casa editrice e ormai ne aveva lette di cotte e di crude. Un giorno però le capitò un romanzo davvero sconcertante.
La prima cosa che le fece arricciare il naso fu la trama: una ragazzina timida e impacciata che s'innamora di un vampiro strafigo il quale a sua volta farà di tutto per salvarla da un vampiro rivale. Un romanzo dall'originalità di Paris Hilton e lo spessore della carta igienica ( a un solo velo ovviamente).
Non sapeva se fosse peggio quello o il porno fantasy sugli zombie al quale stava lavorando la collega Mary.
Inorridendo al pensiero dei porno zombie, decise di concentrarsi solo sul suo lavoro.
Ciò che lesse in quel romanzo però le fece seriamente rimpiangere l'altro libro.
Tra gente che guardava "con la punta dell'occhio" , personaggi trovati ancora "mezzi vivi" (alla faccia dell'ottimismo) nonché interi capitoli totalmente privi di congiuntivo, la donna sentì la sua mente farsi più leggera man mano che andava avanti.
La grammatica cominciò a scivolare via dai suoi ricordi finché non si ritrovò a balbettare frasi senza senso.
Si alzò dalla scrivania per recarsi da Mary, disperata.
Cercò di parlare, ma si ritrovò a blaterare parole sconnesse impossibili da interpretare.
La collega, la guardò con occhi sgranati. Anche lei sembrava disperata, ma per fortuna non altrettanto traumatizzata. - Che ti succede? 
Valery mugugnò qualcosa, ma dopo un po' si fermò e aggrottò la fronte. Fece un respiro profondo e indicò il computer con gli occhi gonfi di lacrime.
- Oddio! Ho capito. - disse la donna, alzandosi e poggiandole una mano sul braccio per rassicurarla. - Sta tranquilla sono cose che succedono.
Valery era l'ultima arrivata mentre Mary faceva quel lavoro da molti più anni. Sicuramente non era la prima volta che vedeva una cosa del genere.
Rapida, Mary si affrettò a scriverle su un foglio una lunga lista. - Ok, domani mettiti in malattia e prenditi questi.
Quando Valery lesse la lista vide che si trattava di un lungo elenco di libri che andavano da Tolkien a King, da Grisham a Crichton. 
- Un'altra collega ha avuto il tuo stesso problema e solo questo l'ha aiutata a guarire.
Così, Valery passò la settimana successiva in riabilitazione, leggendo libri su libri finché non ritrovò la capacità di parlare e pensare correttamente.
In quanto al libro da editare...  Beh, furono due le editor che, oltre a Valery, finirono in malattia, ma quando lei tornò riuscì a completarlo con discreto successo.





Pubblicato da Unknown alle 14:07 1 commenti  

Una medium opportunista

sabato 15 settembre 2012

Buonsalve amici!
Questo racconto è nato pensando alle favole Disney e alle loro protagoniste sempre buone, dolci e (quasi) perfette. A un certo punto mi sono chiesta: ma perché la protagonista di una storia non può essere sboccata, bastarda, opportunista e perché no un po' narcisista?
vi avverto che il linguaggio della protagonista è un po' colorito quindi se vi danno fastidio le parolacce è meglio che evitate di leggerlo. ^,.,^


Una medium opportunista
(racconto n. 15)

Clarisse era nata e vissuta a New York. Dal carattere dolce e gentile, aveva…
“Ehi! Ferma! Razza di voce narrante di quart’ordine non ti azzardare ad andare avanti! Chi cazzo è che sarebbe dolce e gentile? Ok, ho capito: se vuoi che qualcuno racconti bene la tua storia devi essere tu a farlo.  Allora prima di tutto vi dirò tre cose di me: la prima è che sono un’opportunista nata. Se posso guadagnare da una situazione state pure certi che non mi farò scrupoli a farlo.
La seconda è che sono una medium e non una di quelle pseudo fattucchiere che giocano a far muovere tavoli e a fingersi possedute. I miei poteri sono reali, concreti e, modestamente, anche parecchio sviluppati. L’ultima cosa che dovete sapere di me è che sono nata e cresciuta nel Bronx quindi non sperate di sentirmi esprimere con un gergo da studente di Oxford del cazzo.
Molti mi definiscono una sorta di consulente. Quando qualcuno ha un problema legato al sovrannaturale è a me che si rivolge.
L’ultimo caso a cui ho lavorato era legato allo spirito di una ragazza. Il mio cliente era James Lang, un avvocato che, a quanto sembrava dal suo completo Armani, doveva spassarsela alla grande a Manhattan. Una testa di cazzo, ma visto che pagava bene potevo anche sorvolare sulla cosa.
A quanto sembrava quando si era trasferito nel suo super attico, l’agente immobiliare si era casualmente dimenticato di dirgli che al suo interno era morta una ragazza in maniera violente. Non solo il suo spirito abitava ancora lì, ma si era anche invaghito del mio cliente.
La ragazza in effetti aveva l’abitudine di apparirgli soprattutto di notte, impedendogli di dormire e mettendogli sottosopra la stanza.  Ultimamente era arrivata anche ad aggredirlo con violenza ogni volta che portava a casa una donna. Per questo James aveva deciso di rivolgersi a me, dandomi perfino un corposo anticipo e promettendomi che se lo avessi liberato di lei mi avrebbe pagata tre volte tanto.
Come rifiutare visto che solo l’anticipo corrispondeva al mio normale onorario?
Quando entrai per la prima volta in contatto con lo spirito però capii che c’era qualcosa che non andava. La ragazza non era innamorata. Sembrava solo molto, molto arrabbiata. Appena si manifestò completamente capii cos’avrei dovuto fare.
Un paio di giorni dopo raggiunsi la stanza di albergo in cui il signor testa di cazzo si era trasferito per farmi fare il mio lavoro.
- Allora l’ha mandata via? – mi chiese. Era bravo a nascondere il proprio nervosismo, ma quando scopri certe cose alcuni dettagli ti saltano notevolmente all’occhio. Come ad esempio il modo in cui si aggiustava il colletto della camicia ogni volta che mi vedeva.
- Ormai è tutto finito. Non la disturberà più. – lo rassicurai.
L’uomo sorrise. – Se è così credo si sia meritata il suo compenso. – disse tirando fuori il libretto degli assegni. Lo vidi firmare con una certa soddisfazione. Proprio mentre stava riponendo la penna qualcuno bussò alla porta.

 James Lang fu arrestato quella sera stessa per l’omicidio della sedicenne Sarah Patrick. Avevano passato una notte insieme in seguito a una festa a casa di amici comuni. Quel coglione neanche si era premunito di chiederle quanti anni avesse prima di farsela. Ovviamente una volta capito che era minorenne aveva perso la testa. Sarah però non si era arresa. Aveva perseguitato il sui assassino fino al momento del nostro incontro. Fu lei a mostrarmi dove l’uomo aveva nascosto il suo corpo e a fornirmi tutte le prove necessarie che poi io avevo prontamente consegnato alla polizia. Prima che gli agenti lo portassero via, gli sventolai il suo assegno sotto il naso.
- La prossima volta che ti capita di incontrarne uno, ricordati che i fantasmi hanno sempre qualcosa da dire, coglione! – lo sfottei. – Comunque grazie per l’assegno. Farò buon uso dei tuoi soldi.
 Fu uno dei lavori più soddisfacenti che avessi mai avuto.
Lo so, forse non era stato molto corretto far arrestare il mio cliente ma sapete, ci sono cose che vanno fatte per una pura e semplice questione di morale. Sarò anche sboccata, opportunista e un po’ stronza, ma se dovessi diventare un fantasma a causa di un rimpianto o di un senso di colpa dove cazzo la trovavo un’altra medium brava come me in grado di salvare il mio bellissimo culo ectoplasmatico?”




Pubblicato da Unknown alle 14:09 0 commenti  

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