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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

L'Albero Sacro

lunedì 31 dicembre 2012

Buonsalve! questo racconto mi é venuto in mente rileggendo per la seconda volta il Silmarilllon di Tolkien. Forse qualcuno mi prenderà per matta, ma adoro davvero quel libro, lo trovo davvero poetico. Buona lettura!


L'Albero Sacro
(racconto n.122)

Si dice che in un era lontana, all'inizio del cosmo e del tempo, le divinità consorti plasmarono il mondo nella luce della loro essenza. Nella loro mente  però essi videro la storia della loro creazione e scorsero l'ombra del dolore velare il cuore dei loro figli.
La Dea allora generò dalle proprie lacrime un seme che il Dio piantò sulla terra ancora priva di vita. Mentre le ere passavano, il seme germogliò e da nacque  un albero. Con le foglie di luminoso argento, l'albero si nutrì dell'essenza stessa dei sacri Consorti e le sue radici si espansero fin nel cuore del mondo infondendogli l'essenza vitale. Conosciuto come Laithion, l'Albero Sacro, esso crebbe in maestosità e splendore nutrendo la creazione dei Consorti Divini da un giardino nascosto al di là del tempo.Si dice che a volte l'albero generi dei frutti da cui nascono delle anime luminose, spiriti che, una volta incarnati, sono destinati a fare grandi cose per il nostro mondo. Il destino di quelle persone però si manifesta solo quando esse si trovano per la prima volta di fronte all'albero stesso. Quando Nadine vide per la prima volta le sue fronde argentate, non aveva idea che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Trovarsi per la prima volta sotto la sua ombra fu come un rassicurante ritorno a casa. Lei che aveva vissuto divisa tra due genitori divorziati ed egoisti, che era cresciuta da sola, spaventata da qualsiasi tipo di legame, per la prima volta in vita sua sentì di essere al suo posto. Quando poi allungò la mani per sfiorarne le fronde, la sua mente si aprì. Una lacrima le scese lungo la guancia e l'albero chinò a sua volta i propri rami verso di lei.
Quando aprì gli occhi, la giovane non ebbe più incertezze. La sua anima adesso era in contatto con l'albero e la sua luce l'avrebbe guidata per sempre.

Pubblicato da Unknown alle 11:00 0 commenti  

L'armaiolo

domenica 30 dicembre 2012

Buonsalve! Il racconto di oggi nasce dalla mia passione per le armi bianche. Ho una piccola collezione che pian piano sto cercando di ingrandire e che ornano le pareti della mia casa. Per questo lo dedico a tutti quelli che creavano e creano ancora oggi questi splendidi oggetti.

L'armaiolo
(racconto n.121)

Robert aveva un solo scopo nella vita: creare armi. Aveva imparato a forgiare lame fin dalla più tenera età, quando osservava suo padre lavorare nella sua fucina e plasmare il metallo come se fosse burro. Aveva forgiato la sua prima arma a quattordici anni, un pugnale che portava sempre al fianco come un'estensione di se stesso.
Da allora aveva creato spade, pugnali, asce, lance... Qualsiasi tipo di arma che gli veniva richiesta, ognuna a suo modo unica e perfetta.
Col tempo  aveva affinato così tanto la propria arte che in giro cominciò a diffondersi la voce che le sue creazioni non  perdessero mai il filo e restassero sempre perfette e affilate come appena forgiate. Per questo erano in molti a richiedere i suoi servigi. Roberto però aveva delle condizioni per i suoi clienti. Essi infatti dovevano convincerlo di essere adatti alle sue armi. Una  mattina ad esempio si presentò nella sua fucina un uomo possente, dallo sguardo fiero e deciso. 
- Il mio nome Valdin. Ho bisogno di una spada per la mia investitura a cavaliere, mastro Robert. - gli disse. 
L'armaiolo interruppe il suo lavoro e gli lanciò una rapida occhiata. - Non posso forgiare un'arma per te. - rispose.
- Perché? - chiese l'uomo - Posso pagare e bene.
- Non m'interessa il tuo denaro. - tagliò corto lui ritornando al suo lavoro.
Con uno scatto d'ira, Valdin rovesciò a terra alcune lame. - Non ti azzardare a ignorarmi! Sei solo un armaiolo, poco più di un servo agli ordini di chi ti paga e...
Robert però non lo lasciò finire. In un attimo aveva estratto il suo coltello e rapido come una saetta gli aveva puntato la lama alla gola. - Sta attento cavaliere. La lama di questo servo taglia più di quelle di qualsiasi tuo pari.
L'uomo deglutì e se ne andò minacciando vendetta. Robert però non ci badò. Il metallo lo stava chiamando. Aveva una nuova arma da forgiare.

Pubblicato da Unknown alle 11:56 1 commenti  

Il frutto della storia

sabato 29 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto è nato ieri sera, mentre guardavo One Piece. Chi lo conosce capirà di certo che l'ispirazione è nata dal personaggio di Nico Robin che personalmente ho sempre davvero affascinante.
Bona lettura!


Il frutto della storia
(racconto n.120)


Nicole ricordava di aver sempre amato la storia. Fin da quando era bambina suo padre gli aveva trasmesso l'amore per il passato e per l’antichità. Le sue storie della buona notte raccontavano di paesi lontani e antichi tesori ancora da scoprire, avventure talmente straordinarie da sembrare sogni meravigliosi.
Per questo aveva sempre desiderato diventare archeologa un giorno, contagiata dall'entusiasmo di suo padre, insegnante di storia antica. Aveva iniziato a studiare per raggiungere il proprio obbiettivo fin da piccola. Quando sua madre la portava in libreria, finiva sempre col comprare libri complicati riguardanti le civiltà più antiche del mondo..
Era facile per lei assimilare tutte quelle nozioni, le bastava una sola lettura per ricordarsi date, nomi e luoghi, un dono che sperava di poter sfruttare al meglio per riuscire a raggiungere il suo scopo.
Il suo primo viaggio fu in Grecia. Aveva sedici anni. Ci andò con suo padre che le mostrò della bellezza di quella civiltà così antica e ricca di cultura, insegnandole come solo lui riusciva a fare. Poco dopo quel viaggio però suo padre morì. All'inizio per lei il dolore fu tale che per diverso tempo abbandonò il suo sogno. Non lesse più i suoi libri, né s'interessò più di storia o archeologia. Dopo due anni ormai sembrava che avesse rinunciato del tutto a diventare archeologa quando, il giorno del suo compleanno, non le venne consegnata una lettera di suo padre.
Era un messaggio che lui le aveva lasciato per i suoi diciotto anni. L'aveva scritta prima di partire per la Grecia e l'aveva lasciata a un caro amico con le dovute disposizioni, come se sentisse che presto gli sarebbe successo qualcosa di brutto.
Una frase in particolare fu la scosse nel profondo: "ricorda Nicole, noi siamo il frutto della storia e il seme del nostro futuro. Sta a noi decidere se germogliare o lasciare che il mondo ci appassisca."
Fu quella la frase che l'accompagnò anni dopo quando, dopo aver conseguito la laurea a pieni voti, partì per la sua prima spedizione. Un nuova vita l'aspettava. La sua avventura era solo all'inizio.


Pubblicato da Unknown alle 13:25 0 commenti  

Body Change

venerdì 28 dicembre 2012

Buooooonsalve! Questo racconto è nato ieri mattina in treno. Non so bene da dove è nata l’ispirazione a dire il vero, ma spero sia comunque di vostro gradimento. ^,.,^

Body Change
(racconto n.119)


Non ho idea di come io mi sia ritrovato in questa situazione, circondato da uomini armati e con una pistola puntata in fronte. Ricordo di essermi svegliato molto tardi, con la testa confusa e un sapore amaro in bocca.
Mi sono alzato e ho vagato per quella che per me era una casa sconosciuta. Mi sentivo come vittima di un doposbronza colossale eppure ero certo di esserci andato piano la sera prima. Quando però incrociai il mio sguardo allo specchio quasi mi venne un infarto: il volto che vedevo riflesso non era il mio, non era quello Robert Nail di ventidue anni, ma quello di un uomo sui quarantacinque anni con un fisico massiccio e una grossa cicatrice sulla guancia. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola e iniziai a vagare per l'appartamento confuso se spaventato. Pian piano, grazie anche a una vicina un po' troppo arcigna, capii chi fosse l'uomo a cui a quanto sembrava avevo rubato le sembianze: si chiamava Michael Riff, di professione spacciatore e ricettatore. Ero davvero in un gran bel casino.
Dopo una mezza giornata davvero infernale mi chiesi cosa stesse accadendo in casa dei miei ora che era scomparso. Raggiunsi il mio quartiere con il cuore in gola e rimasi di sasso nel vedere un ragazzo identico a me, al vero me, aprire la porta d’ingresso e salutare i miei genitori con entusiasmo.
Lo chiamai a gran voce, ma in un attimo eccomi circondato da una decina di poliziotti pronti con le armi spianate.
- Hai finito di spacciare ai ragazzi del quartiere, stronzo. - disse uno sbirro.
Mi guardai attorno in preda al panico quando all'improvviso sentii una voce nella mia mente. "Goditi il soggiorno in prigione, ragazzino. Io penserò a godermi quello nel tuo corpo invece."
Il mio sguardo venne catturato dal ragazzo con il mio volto che ghignava facendo oscillare uno strano medaglione. "Tranquillo te lo restituirò quando sarà troppo vecchio per me.."
Lo vidi entrare soddisfatto in casa mia mentre le uniche cose che riuscii a sentire furono la mia voce carica di angoscia e il freddo  delle manette che si chiudevano attorno ai miei polsi.


Pubblicato da Unknown alle 13:06 0 commenti  

Il Corvo

giovedì 27 dicembre 2012

Buonsalve amici! Scusate per il ritardo con cui posto questo racconto, ma sono rientrata da poco da Milano. La storia di oggi è ovviamente ispirata a una celebre poesia di Edgar Allan Poe. Spero vi piaccia ^,.,^

Il Corvo
(racconto n.118)

Erano passati molti anni da quando un corvo disse per la prima volta “mai più”, ma da allora niente era cambiato per quelle creature. Agli occhi del mondo essi continuano ad essere  portatori di morte e sventura, di angoscia e malanimo. Rack però non voleva essere così. Lui non era un corvo che accettava passivamente una simile fama. Fin da quando aveva imparato a volare si era opposto con tutte le sue forze a chi voleva fare di lui solo un simbolo della morte.
Per prima cosa si era sempre rifiutato di sfamarsi con un qualsiasi tipo di carne. Preferiva patire la fame e accontentarsi dei pochi semi che trovava in giro piuttosto che farsi vedere a nutrirsi in quel modo che lui trovava troppo barbaro per dei volatili fieri e saggi come i corvi.
A volte cercava di farsi vedere durante liete occasioni come matrimoni o feste di paese, ma ogni volta tutti i presenti sembravano adombrarsi alla sua presenza e finivano con lo scacciarlo in malo modo.
Un giorno decise di chiedere consiglio al corvo anziano del  suo stormo.
Si diceva infatti che il Vecchio Corvo avesse superato addirittura i settant’anni e che fosse uno degli esseri più saggi di tutto il cielo.
Si presentò da lui con il capo chino e tutta l’umiltà di cui era capace.
- Mi scusi, Vecchio Corvo. – disse. – Ho un dubbio che mi tormenta ormai da tempo e volevo chiederle un consiglio a riguardo.
Il Vecchio Corvo lo accolse nel suo nido e gli chiese cosa lo turbasse tanto, ma quando Rack gli raccontò dei suoi pensieri questi lo buttò giù dall’albero. Dopo un primo momento di smarrimento il giovane corvo spiccò il volo e ritornò sul ramo del vecchio. Questi però lo buttò giù ancora e ancora.
Quando Rack risalì sul ramo per la quarta volta, gracchiò con forza e fissò il vecchio arrabbiato. – SI può sapere perché continui a buttarmi giù?
- Non sono io. – disse il vecchio. – Sei tu che ti lasci buttar giù da quello che il mondo pensa di te. 
- Ma io…
Il vecchio lo zittì con un verso acuto. - Ricorda sempre, giovane corvo: gli umani potranno anche dire che siamo portatori di sventura, ma loro non saranno mai in grado di volare in altro quanto noi. Il loro mondo sarà sempre e solo quello che i loro piedi e le loro mani possono toccare.
Rack rimase con il becco aperto rendendosi conto di quanto fosse sciocco il suo disappunto.  Gli umani potevano scacciarlo e dire di lui ciò che volevano, ma questo non lo avrebbe resto diverso da ciò che era: un fiero corvo, capace di raggiungere gli angoli più estremi del cielo.



Pubblicato da Unknown alle 17:09 0 commenti  

Emozioni impreviste

mercoledì 26 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto é nato durante la mia tradizionale maratona Natalizia di Ritorno al Futuro! Spero vi piaccia ^,.,^


Emozioni impreviste
(racconto n.117)

Jess si guardò attorno e vide solo una cosa attorno a sé: dolore. Non riusciva a credere che il suo mondo potesse essere stato così un tempo. Gli uomini attorno a lui sembravano così tristi e affannati. Davano l'impressione di non riuscire a capire cosa fare delle loro stesse vite. Nel futuro invece, nel mondo da cui lui proveniva, tutto era perfettamente organizzato e programmato. A ogni individuo veniva assegnato un ruolo fin dalla nascita e condotto fino ad esso passo dopo passo. Questo ovviamente rendeva tutto molto più semplice e impediva di provare qualsiasi forma di dolore o emozione inutile.
Se lui era tornato indietro infatti era solo per una ricerca scolastica. Lui era destinato a diventare un grande storico e quello sarebbe stato un passo importante per lui. Inoltre se si dedicava così tanto alla ricerca storica non era solo per il compito per cui era stato scelto. Lui amava davvero la storia e in modo particolare quella del XXI secolo.
In quel momento però provava solo una profonda tristezza. Non si sarebbe mai immaginato che degli esseri umani potessero vivere in quel modo. Vagò a lungo per le strade caotiche di New York cercando di capire come fosse la vita a quel tempo quando, all'improvviso, una ragazza lo urtò. Era una ragazza strana che se ne andava in giro con la testa fra le nuvole e dei grossi pacchi regalo troppo pesanti e ingombranti per lei..
- Scusi! - disse mortificata. - Mi scusi non l'avevo vista. 
- Dove stava andando così di corsa? - chiese Jess.
Lei gli sorrise entusiasta, lasciandolo per un attimo senza parole. - Ha da fare?
Quando lui fece cenno di no col capo il sorriso della ragazza si fece ancora più ampio. - Bene allora! Venga con me. Ah! Il mio nome é Alissa.
Alissa lo guidò fino a un orfanotrofio dove bambini di età diverse l'accolsero con calore ed entusiasmo. Lì, la ragazza lasciò i doni che aveva con sé e, assieme a Jess, giocò a lungo con tutti loro. All'ora di cena i due se ne andarono per recarsi in una mensa dove servirono il pasto a decine di senza tetto.
Jess fu sorpreso di vedere come quei bambini e quegli uomini e quelle donne così disperati sorridevano e ringraziavano con sincero affetto per quei gesti così semplici. Allo stesso modo rimase affascinato da Alissa e dal modo in cui aiutava quelle persone. Quando poi la riaccompagnò a casa e lei gli raccontò del suo passato, per la prima volta provò emozioni così intense da sentire le lacrime salirgli agli occhi. Alissa era infatti cresciuta in quello stesso orfanotrofio e aveva passato lunghe sere in quella mensa, senza cibo né una casa dove andare. Dopo lunghi anni di sofferenze però era riuscita a trovare un lavoro e a crearsi una vita serena in un piccolo appartamento in periferia. Jess in quel momento capì la bellezza di una vita fatta di incertezza, una vita in cui era possibile tanto cadere in basso quanto riscattarsi dal dolore e dalla miseria. Capì che infondo era la possibilità di scegliere a rendere quel loro modo di vivere meraviglioso. Non tornò più nel suo tempo, ma al fianco di Alissa, divenne ciò che avrebbe sempre voluto essere: uno dei maggiori esperti di storia contemporanea.
  

Pubblicato da Unknown alle 15:24 0 commenti  

La lettera di Babbo Natale

martedì 25 dicembre 2012

Buonsalve amici! Un racconto per augurarvi uno splendido Natale senza però dimenticare le cose davvero importanti.

La lettera di Babbo Natale
(racconto n.116)


Erano secoli ormai che Babbo Natale portava doni in giro per tutto il mondo. All'inizio aveva svolto il suo lavoro con entusiasmo, ma col tempo le cose erano cambiate. Non solo   le richieste dei bambini si erano fatte sempre più pretenziose, ma questi avevano anche smesso di credere in lui e ciò voleva dire che il merito della sua fatica finiva col venire attribuita qualcun altro.
Beh si era davvero stufato. Era arrivato il momento per lui di prendersi una piccola rivincita. Aveva deciso infatti che la prossima consegna dei regali si sarebbe svolta in maniera molto diversa. I doni infatti sarebbero andati solo ai bambini che credevano davvero in lui e che avevano desideri semplici come il loro animo. Ovviamente furono in pochi a riceverli.
Gli altri si ritrovare sotto l'albero solo un sacchetto di biglie e una lettera che diceva: 

Mio caro bambino,
so che tu non credi in me e che pensi di meritare tutti i giocattoli  moderni, i videogiochi e le tecnologie che avevi chiesto per questo Natale, ma ricordati una cosa: io esisto veramente. Sono colui che ogni hanno fa di tutto per realizzare i tuoi desideri e che tu consideri solo come un personaggio fantastico creato per rendere il Natale un giorno un po' più speciale degli altri. Il problema però é che non sono così paziente come tutti mi dipingono. Sono stanco dei tuoi capricci per questo voglio metterti alla prova: quest'anno avrai infatti solo questo sacchetto di biglie in regalo. Finché non capirai come divertirti con queste, finché non imparerai a capire l'importanza di una cosa così semplice, non riceverai altro da me. Spero che tu possa capire e imparare.

Un sincero augurio
Babbo Natale.

Questa particolare iniziativa fece impazzire molti genitori i cui figli piansero e strillarono diversi giorni per non aver avuto ciò che volevano. Altri però furono felici di vedere i propri bambini uscire all'aperto per giocare con il loro regalo speciale.
Un dono che fece tornare in loro l'entusiasmo per le cose semplici. Una punizione più utile e importante di qualsiasi regalo.  

Pubblicato da Unknown alle 11:22 0 commenti  

Yule

lunedì 24 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto è dedicato a chi non ama molto il Natale e a chi il Natale lo celebra con un altro nome. ^,.,^

Yule 
(racconto n.115)

Natalie non aveva mai amato il Natale. L'aveva sempre trovata una festa priva di significato, bella solo per le grosse catene di negozi che vedevano i loro affari triplicarsi in quel periodo. Per questo la vigilia di Natale era solita andarsene da sola per locali, a prendere in giro tutti quelli che sembravano così entusiasti di quello che alla fine non era che un giorno come un altro.
Quel Natale però accadde qualcosa che non avrebbe mai potuto prevedere. Mentre stava osservando una tavolata fin troppo allegra per i suoi gusti, un ragazzo le si avvicinò. Aveva capelli lisci e neri che gli ricadevano sul volto e due occhi che sembravano cristalli di ghiaccio incastonati su un volto terribilmente affascinante.
- Non lo trovi assurdo? - le disse.
Natalie si mise sulla difensiva. - Cosa?
- Che tutta questa gente si affanni tanto per un qualcosa del quale non capisce nemmeno il significato.
Bastarono quelle poche parole a risvegliare il suo interesse. Tre ore dopo si ritrovò nel suo letto, nuda e stretta a quello sconosciuto. Ogni suo bacio, ogni più piccolo gesto, sembravano studiati per darle piacere, un piacere intenso e travolgente in grado di annullare ogni pensiero e ogni dubbio.
Quando si addormentò la sua mente vagò in sogni confusi. Vide popoli del passato celebrare riti pagani antichi quanto il mondo stesso e scorse la magia diffondersi nell'aria di una notte senza stelle illuminata poi da un'esplosione di astri ardenti come fiamme.
Nei suoi sogni viaggiò nel tempo e nello spazio, scoprendo l'intensità  di una notte che lei aveva sempre dato per scontata, considerandola vuota e banale.
In ogni visione lui era sempre presente, quel ragazzo con cui era finita a letto senza nemmeno conoscere il suo nome.
Quando si svegliò lui non era più nel letto. Un pallido sole filtrava appena dalle serrande abbassate. Si alzò piena di una nuova consapevolezza, di una sicurezza che non avrebbe mai pensato di possedere. Non aveva più bisogno di conoscere l’identità del suo amante. Ormai sapeva il suo nome e la sua natura di spirito di una notte magica e potente.
Sapeva che non lo avrebbe rivisto fino al prossimo anno, ma che comunque, alla fine, Yule sarebbe tornato da lei.


Pubblicato da Unknown alle 11:27 0 commenti  

Gara di merendine

domenica 23 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto nasce da questo post pubblicato su Uncanny Nerdz di Toni Aironmenn Starke: http://uncannynerdz.blogspot.it/2012/12/sono-gig-robo-e-cho-le-pale-rotanti.html?m=1 Sappiate solo che questo post ha avuto ripercussioni sulle diete di molti U,.,U

Gara di merendine
(racconto n.114)


Toni era un ragazzo sveglio e allegro, che lavorava sodo e che sapeva come godersi la vita. La sua esistenza si sarebbe potuta definire felice se non fosse stato un problema che lo tormentava fin da quando era bambino. C'era infatti una merendina al cioccolato che lui adorava e che, normalmente, poteva essere aperta tramite un'apposita linguetta posta a un lato della confezione. Peccato che lui trovasse sempre confezioni difettose e che non riuscisse mai ad aprirle bene.
Col passare del tempo si era sempre più convinto che ci fossero dei seri difetti di fabbricazione in quelle confezioni.
Un giorno aveva trovato il coraggio di esprimere la sua rabbia pubblicamente e quello che ne seguì fu il finimondo: essendo quelle merendine molto famose, erano in tanti ad averle mangiate e ad averle quindi aperte con le famigerate linguette messe sotto accusa da Toni. Nessuno però sembrava aver mai avuto problemi. Si necessitò quindi di una prova della veridicità delle parole del ragazzo visto che nessun altro sembrava aver mai avuto 
problemi. A richiederla fu Danielle, una ragazza amante delle merendine tanto quanto lui. Un po' per spirito di competizione, un po' perché non amava che i suoi adorati dolcetti venissero diffamati, Danielle sfidò Toni a una gara di scartamento: avrebbero aperto dolcetti per cinque ore di fila e a lui sarebbe bastato trovare anche una sola confezione difettosa per vincere.
La voce della gara si diffuse in fretta. Venne dato il via e Toni e Danielle, circondati da un vasto pubblico, si dettero subito da fare. I bambini di tutto il vicinato furono molto contenti di poter aiutare mangiando i dolcetti aperti.
In cinque ore però Toni non riuscì a trovare la sua merendina difettosa. Tornò a casa sconfitto, chiedendosi se in effetti non avesse esagerato con tutta quella storia. Rattristato, si rese conto che, pur avendone aperte tante, non aveva ancora mangiato una sola merendina quel giorno. Ne prese una dalla sua scorta personale, ma quando fece per aprirla la linguetta gli rimase in mano.
Dopo un attimo di incertezza, la sua bocca si distese lentamente in un ghigno di soddisfazione. Aveva ragione su quelle merendine e, presto, anche altri avrebbero avuto modo di scoprire quella verità inaccettabile.

Pubblicato da Unknown alle 10:28 0 commenti  

Aiuto

sabato 22 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto é nato pensando a quanto a volte gli altri possano farci del male con la loro sola influenza e come, a volte, sono proprio le persone più inaspettate ad aiutarci e a salvarci dal baratro.

Aiuto
(racconto n.113)

Anne era una ragazza bellissima una volta. Solare, allegra, con un corpo formoso sebbene non grasso, non aveva mai avuto problemi con se stessa. Si piaceva e piaceva agli altri soprattutto per il suo carattere vivace.
Le cose però cambiarono con il suo trasferimento in una scuola di una grande città. Lì era quella nuova e per quanto cercasse di mantenersi sempre allegra c'era chi non la vedeva di buon occhio.
Venne infatti presa di mira da un gruppo di ragazze che fecero subito terra bruciata attorno a lei. Presto si ritrovò da sola, maltrattata da tutti quelli che non volevano venire esclusi a loro volta. Per quanto si sforzasse, la situazione divenne insostenibile e il suo carattere solare ne venne distrutto. Cominciò a sentirsi inadeguata e a dare la colpa al proprio aspetto per quel suo isolamento. Pian piano iniziò a perdere peso.
Divenne una ragazza sempre più cupa, che si nascondeva sotto abiti abbondanti per non mostrare un corpo ormai diventato esile e fragile.
Nessuno se ne accorse, né i genitori troppo impegnati né gli insegnanti troppo sicuri dei propri metodi per vedere al di là del loro naso.
Solo una persona se ne rese conto: Nick, un metallaro della sua stessa classe che preferiva starsene per conto suo piuttosto che socializzare con quelli che considerava solo degli snob arroganti.
- Non dovresti arrivare a tanto per loro. - le disse un giorno, durante l'intervallo.
- Di che parli? - rispose lei scontrosa.
Lui la guardò con occhi penetranti e arrabbiati. - Lo sai.
- Fatti gli affari tuoi. - ribatté Anne.
Il ragazzo però non si arrese. Continuò a seguirla e a parlare finché lei, esasperata non lo colpì con un pugno troppo debole per potergli fare davvero male.
Ma quel pugno fu solo l'inizio di qualcosa di più importante perché oggi, ad anni distanza, Anne ripensa a quel momento come il più importante della sua vita e a Nick come colui che l'aveva salvata da se stessa. 

Pubblicato da Unknown alle 11:00 0 commenti  

Il pugile

venerdì 21 dicembre 2012

Buonsalve!!! Questo racconto mi é stato ispirato da una bellissima poesia dedicata a Rocky Joe scritta da un caro amico, l'artista e Astrofilosofo Fabrizo Melodia. Spero vi piaccia ^,.,^

Il pugile
(racconto n.112)

Quando il dolore arriva si diffonde per tutto il corpo, lasciandoti stordito e confuso per un istante che potrebbe valere un'eternità di attesa.
Ogni pugno inferto, ogni pugno preso... Sono attimi che potrebbero decidere tutto. Questo vuol dire combattere. Ho iniziato quando ero solo un ragazzo, per le strade di una New York che aveva ben poco della bellezza e del lusso che si vedono nei film. 
É stato soprattutto per rabbia. Ero un ragazzo dal fisico possente che non aveva ricevuto nulla dalla vita se non una forza che non sapeva come usare.
Dopo tante risse e altrettanti arresti erano arrivati i combattimenti clandestini. In vecchi e fetidi magazzini, combattevo per guadagnarmi da vivere e sfogare tutta la rabbia che avevo dentro. Ogni combattimento mi dava un brivido d'eccitazione senza pari, ogni vittoria la certezza che era quello il motivo per cui mi trovavo al mondo.
Tutto ciò che avevo erano quei momenti in cui tutto il mio essere era immerso nella lotta. Ogni muscolo del mio corpo era in tensione, pronto a scattare e a colpire, la mia mente era concentrata, in grado di percepire ogni movimento dell'avversario e a reagire ad esso.
Quegli scontri, violenti e aggressivi, proseguirono per anni. Finché non avvenne il miracolo e venni contattato da un agente che mi permise di battermi in combattimenti ufficiali. All'inizio, pensai fosse solo uno scherzo di pessimo, ma poi capii che era tutto vero : finalmente avevo l'occasione di trasformare ciò che mi faceva sentire vivo in qualcosa di grande. Non sarei stato più solo un cane che si azzannava con altri suoi simili. Sarei stato un campione e avrei usato la mia forza per dimostrare il mio valore.
Da quel momento la mia ascesa fu costante. Jack il Gigante Imbattibile, così mi chiamavano. Non c'era niente che potesse fermarmi e adesso, a poche ore dal mio incontro più importante, ho una sola certezza: io sono nato con un destino, un destino più grande della forza che mi é stata data. E quando qualcuno nasce segnato da un dono, niente potrà mai impedirgli di percorrere la sua strada. 

Pubblicato da Unknown alle 10:30 0 commenti  

La bambina e lo scheletro

giovedì 20 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto é nato ieri pomeriggio, ripensando a un vecchio gioco chiamato "Medievil". Lo conoscete?

La bambina e lo scheletro 
(racconto n.101)

La piccola Marta e Jim erano amici da tre anni e passavano la maggior parte del loro tempo insieme. Il fatto che Jim fosse uno scheletro morto da circa duecento anni non aveva importanza. Si volevano bene e si erano sempre sostenuti a vicenda fin dal loro primo incontro avvenuto in un cupo giorno di fine novembre.
Marta stava tornando a casa da scuola. Era sola e molto triste. Veniva sempre presa in giro dai compagni, non aveva amici e spesso i bulli arrivavano a seguirla lungo la via del ritorno per maltrattarla e malmenarla.
Quel giorno, per evitare i soliti teppisti, aveva preso la strada più lunga ed era finita col passare accanto all'antico cimitero ai margini del suo quartiere.
Tremante e infreddolita, si guardava attorno sperando di non incontrare nessuno, quando all'improvviso due ragazzi che frequentavano la sua stessa scuola emersero da alcuni cespugli.
- Ma guarda chi c'é! - sghignazzò uno di loro. - La quattr'occhi fifona! Dimmi mocciosa, hai ancora paura della tua ombra?
 Iniziarono a spintonarla, ridendo ogni volta che lei li supplicava di smetterla quando all'improvviso qualcosa li colpì in testa.
Si guardarono attorno finché non videro Jim. Stringeva nella mano ossuta il suo stesso braccio che brandiva come un lungo bastone.
I due sgranarono gli occhi e in un attimo se la diedero a gambe, correndo.  Appena se ne furono andati, lo scheletro si rintanò nell'ombra del cimitero. Marta lo seguì chiedendogli di aspettare.
Jim si bloccò, ma rimase per un alcuni secondi nascosto nell’ombra.
- Volevo solo ringraziarti. - disse la bambina.
Jim alzò timidamente la testa. - Non hai paura di me?
La piccola fece spallucce. - Mi hai aiutata. Perché dovrei averne?
- Perché sono uno scheletro. - continuò lui.
- Ma sei uno scheletro buono.
Quelle parole sorpresero davvero molto Jim che si fece avanti. - Io... Io sono Jim.
- Marta. - si presentò lei. - Grazie per avermi aiutata.
Da allora i due si videro tutti i giorni, aiutandosi a vicenda e sostenendosi come veri amici.


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Il Vetusto Dani

mercoledì 19 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto é nato durante una chiacchierata al Lupo Rosso con la mia mica Daze e il grande Toni AironMenn Starke (no, non ho sbagliato a scrivere) ed è ispirato a un pub realmente esistente qui a Torino. Buona lettura! ^,.,^

Il Vetusto Dani
(racconto n.110)

Si racconta a Torino che in un angolo di via Nizza, viveva un anziano signore che tutti conoscevano come il "Vetusto Dani". Saggio e raggrinzito, il Vetusto Dani se ne stava spesso seduto in un angolo, osservando i passanti e rivolgendo loro un sorriso sdentato. Nessuno sapeva molto di lui, né di cosa facesse o dove vivesse quando non era seduto sulla sua scomoda sedia. Appariva all'improvviso, come se non si fosse mai allontanato da quel posto e restava lì per ore a parlare con chiunque avesse voglia di ascoltarlo.
I negozianti vicini lo vedevano stare lì tutto il giorno, con l’aria serena di chi aveva visto tutto del mondo per poi trovare la serenità in quell’angolo di strada.
A volte i passanti ricambiavano il suo sorriso altre addirittura si fermavano a parlare con lui, intenerito da quel vecchietto seduto di fronte a un palazzo fatiscente con porte e finestre bloccate da grossi pannelli in legno.
Quando ciò accadeva lui tirava fuori da una piccola borsa-frigo due birre e si metteva a raccontare dei tempi d'oro di quel posto.
Per quanto diffidente potesse essere una persona, questa accettava sempre con piacere la birra e ascoltava con vivo interesse i suoi ricordi legati al vecchio palazzo. C'era qualcosa di magico e rassicurante in lui che metteva la gente a suo agio.
SI dice che alcuni fossero rimasti ore ad ascoltarlo raccontare di quando quella zona era ancora un luogo pieno di gente e di vita. Un temo, diceva, lì si trovava il Danish, un pub conosciuto in tutta Torino per la sua buona birra e per l'ottimo servizio. Luogo di ritrovo per molti giovani nel corso degli anni, Il Danish era sopravvissuto a lungo nella gloria del suo nome ma il tempo purtroppo a volte sa essere davvero crudele. Alla fine, anche quel bellissimo pub era stato abbandonato a se stesso e, dopo poco, chiuso.
Fu proprio dal giorno della chiusura che il Vetusto Dani cominciò a passare le sue giornate seduto sulla sua sedia. Nessuno conosceva la vera storia di quel fantasma, quello spirito errante in passato conosciuto come Danish, pub di successo oggi incarnazione dei ricordi di tutti quelli che lo avevano amato.


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L'arazzo

martedì 18 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto mi é venuto in mente leggendo il titolo di un romanzo ovvero "l'arazzo delle anime perdute". Spero vi piaccia ^,.,^

L'arazzo
(racconto n.109)

Nadine osservava l'arazzo appeso alla parete con curioso interesse. Era molto antico, con colori cangianti che sembravano animati da un fuoco liquido. Sulla targhetta del museo c'era scritta la strana leggenda legata ad esso: si dice infatti che fosse stato intessuto da un vecchio stregone dagli occhi ambrati che lo usava per rinchiudere le anime delle sue prede in modo a potersi nutrire ciclicamente di esse e mantenersi così eternamente giovane. Un giorno però lo stregone venne esiliato dal proprio regno dal popolo ormai stanco della sua perfidia e l'arazzo passò di mano in mano, privo del suo potere in attesa che del ritorno del suo padrone che lo avrebbe nuovamente animato con anime fresche. Nadine  era affascinata dalla storia di quell'oggetto così antico, imprigionato in un museo come una bestia selvaggia in attesa di una preda ignara.
Lo stava fissando incantata quando un uomo si mise a osservarlo accanto a lei. - É meraviglioso vero?
Lei lo guardò. Era un bel tipo sulla quarantina con un fisico asciutto e uno sguardo acuto e penetrante. Molto, molto affascinante. - É davvero bellissimo. Sembra quasi animato.
L'uomo accennò un sorriso. - Beh, se crede alla sua storia é probabile che qualche anima sia ancora imprigionata al suo interno.
Lei scoppiò a ridere a quelle parole, ma si accorse che lui aveva fatto sparire anche quel flebile sorriso che aveva in volto. La guardò con i suoi occhi penetranti che per un attimo brillarono di un colore ambrato. Nadine si sentì come paralizzata. All'improvviso ebbe un capogiro. La mente si annebbiò e vide il pavimento venirle incontro. Poi ci fu il buio, un buio che sembrò infinito.
Quando rinvenne vide una marea di persone ammassate di fronte a lei, intente a fissare qualcosa sul pavimento. All'improvviso dei medici fecero allontanare la gente. Fu allora che vide il suo corpo riverso a terra e il ghignò sul volto dell'uomo che l'aveva avvicinata.
Fu allora che capì. Urlò, provò a gridare con tutto il fiato che aveva in gola, ma dall'arazzo maledetto nessuno avrebbe mai più potuto udire la voce della sua anima.


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Aiuto reciproco

lunedì 17 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto é dedicato a tutti quelli che hanno un sogno da realizzare e una passione da coltivare. Con la speranza che, anche se in ambienti lavorativi difficili, aiutandosi l'un l'altro ogni sogno possa trovare il modo di prendere vita.

Aiuto reciproco
(racconto n. 108)

Chiara viveva ormai al centro dell'attenzione di tutti. Il suo sogno era sempre stato quello di diventare una modella. Amava la moda, la considerava una forma d'arte che permetteva di esprimere all'esterno la bellezza interiore di un individuo. La sua arte però si rivelò essere molto diversa da come l'aveva immaginata.
Dopo i suoi primi successi in diverse sfilate, cominciò a capire quanto davvero aspro potesse essere quel mondo fatto di luci e tessuti preziosi. Ovunque andasse incontrava stilisti e viscidi addetti del settore pronti ad approfittarsi della sua ingenuità o a metterle le mani addosso in ogni occasione.
Le sue colleghe poi erano così false da darle la nausea. Un nido di vipere pronte a pugnalarsi alle spalle o a parlar male le une delle altre in qualsiasi momento.
Chiara all'inizio ne era rimasta davvero delusa. Si chiedeva se lei non fosse troppo buona e ingenua per una realtà come quella.
Ogni tanto però incontrava qualcuno capace di darle speranza. Un giorno ad esempio, conobbe una ragazza, una giovane assistente che si occupava di far sì che le modelle avessero tutto ciò di cui avevano bisogno.
Chiacchierando con lei, Chiara scoprì che anche la giovane aveva un sogno: avrebbe tanto voluto poter realizzare una collezione con i propri modelli.
Rimase meravigliata di come gli occhi le brillassero ogni volta che parlava dei suoi vestiti e allo stesso modo rimase affascinata dai modelli che le aveva mostrato quando lei gli aveva chiesto di farle vedere qualcosa di suo. 
C'era così tanta passione in ciò che faceva che poteva essere percepita anche attraverso i  suoi bozzetti. E quando la stagione successiva quella timida ragazza fece il suo debutto come stilista, incantando fotografi e critici, Chiara fu orgogliosa essere la sua prima modella. Era felice di essere riuscita ad aiutarla, trovandole gli agganci giusti per dare vita alla sua collezione. Infondo si era solo limitata ad aiutarla a dar vita al sogno di quella ragazza così come lei aveva dato una nuova speranza al suo. 

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Una parte importante

domenica 16 dicembre 2012

Buonsalve!  Come di certo tutti voi saprete ultimamente è uscito lo Hobbit al cinema e,ovviamente mi son fiondata subito a vederlo. Sapee, le opere di Tolkien per me hanno un significato importante. Fanno riemergere in me quella piccola vena di follia che mi faceva stare sveglia fino alle 4 del mattino a scrivere, che mi ha portato a disegnare mappe del mio primissimo romanzo e a creare tre lingue solo per vedere se ero in grado di farlo.  Insomma quella parte di me che mi ha portato a scrivere questo blog e che mi spinge a fare ciò che faccio non per guadagno o per successo, ma per pura e semplice passione che purtroppo a volte le difficoltà di ogni giorno mi portano a reprimere, ma alla quale so di dovermi aggrappare per non mollare mai. Questo racconto é scritto con la speranza che tutti voi possiate trovare qualcosa che possa far riemergere quella pare speciale di voi stetti.

Una parte importante
(racconto n.107)

Diana si sentiva molto sola. Anche se era sempre circondata da molti amici aveva l’impressione che in qualche modo loro non fossero in grado di raggiungerla. Aveva ottenuto molte cose nella vita: un lavoro soddisfacente, un ragazzo che l’amava, una bella casa eppure aveva l’impressione che tutto stesse andando a rotoli. Il lavoro si stava facendo sempre più difficile e la crisi stava rischiando di mandare tutto a rotoli.
C’erano volte in cui l’ansia diventava così insostenibile che avrebbe solo voluto piangere e sparire per un po’. Neanche al suo ragazzo riusciva a confidare questa sua tristezza, l’orribile sensazione di essere solo un fallimento e un peso per quelli che le stavano vicino. Continuava a sentirsi triste e inadeguata. Era una persona che aveva sempre sognato di volare lontano, certa di poter affrontare qualsiasi cosa con determinazione eppure in quel momento il mondo sembrava aver avuto la meglio sulla sua passione.
Per giorni continuò a cercare disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che la facesse tornare a sperare.  Poi un giorno trovò un libro.
Tra le pile di romanzo che aveva sparsi per casa, ritrovò un piccolo volume, una favola che leggeva spesso quando era piccola. Quella sera stessa si mise a letto, con solo una piccola luce a illuminare la stanza e iniziò a leggere.
Non smise fino a quando non arrivò all’ultima pagina. Quando chiuse il libro si sentì stranamente più leggera. Immergersi di nuovo in quella storia aveva risvegliato qualcosa in lei, una parte della sua anima che era stata soffocata dal cinismo e dalle difficoltà della vita.
In quel momento sentì riemerge quella follia che l’aveva portata a fare grandi sogni il, che l’aveva spinta a rischiare tutto e a partire alla conquista del mondo. Quella sera si addormentò con il sorriso sulle labbra.
Finalmente aveva ritrovato una parte di sé che credeva perduta. La parte più importante del suo cuore che non avrebbe mai più dimenticato.

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Caduta

sabato 15 dicembre 2012

 Buonsalve amici! Questo racconto é ispirato a una particolare sera in cui mi é quasi venuto un infarto per via della caduta di un cornicione davanti alla finestra della mia stanza. Era l'una di notte e nel silenzio generale l'impatto é stato molto forte. XD

Caduta
(racconto n.106)

Katie non era una ragazza come le altre. Non amava molto andare a fare shopping, odiava cucinare e mangiava e beveva birra come un camionista cinquantenne mantenendo comunque una forma fisica invidiabile.
Molti la definivano una ragazza strana, altri semplicemente l'adoravano per il suo essere un po' maschiaccio. Non avevano idea che lei fosse molto più di quello che appariva. Katie infatti aveva un segreto, un segreto che custodiva gelosamente e che nessuno sospettava minimamente.
C'era solo una persona che non la vedeva di buon occhio. Il suo nome era Cris, un giovane giornalista suo  ex compagno di liceo.
Cris non si era mai fiato di lei. Aveva la sensazione che fosse molto pericolosa. Una volta l'aveva vista aggredire e picchiare degli uomini che avevano avuto la brutta idea di provare ad abbordarla per strada. Li aveva massacrati di botte senza battere ciglio.  Il ragazzo aveva provato a seguirla diverse volte per capire cosa nascondesse, ma lei era sempre riuscita a depistarlo.
Solo dopo anni era finalmente riuscito a togliersela di testa e a rinunciare a quella che era diventata una vera e propria ossessione. Un giorno però la vide venirgli incontro dalla parte opposta del marciapiede.
Si bloccò, deglutendo per il nervosismo. Quando lei alzò lo sguardo nella sua direzione qualcuno gli urlò di stare attento. Alzò lo sguardo e vide dei grossi pezzi di cemento staccarsi da un cornicione sopra la sua testa. Fu tutta una questione di istanti. Sentì all'improvviso qualcuno afferrarlo e trascinarlo via e per un attimo ebbe l'impressione che i detriti si bloccassero, rimanendo sospesi a mezz'aria.
Quando si scosse da quel momento di shock si accorse della presenza di Katie accanto a lui.
- Sta più attento la prossima volta. - disse.
Cris rimase a guardarla come un babbeo poi osservò i detriti a terra. Era come se qualcosa li avesse proiettati lontano da loro.
Tornò a fissarla e lei allora gli diede un buffetto sulla guancia. - Prego. - disse per poi rivolgergli un sorrisetto. - E guarda che verrò pure da lontano, ma non sono pericolosa. Lo divento solo quando devo difendermi.
Se ne andò lasciandolo con la mente piena di domande e un nuovo desiderio di rivederla.

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Sincera amicizia

venerdì 14 dicembre 2012

Buoooonsalve! Questo racconto mi è venuto in mente ieri sera in negozio mentre chiacchieravo con un’amica del più e del meno. Spero vi piaccia ^,.,^

Sincera amicizia
(racconto n.105)

Elena era felice di aver conosciuto Nathan. Si erano incontrati per caso, durante una mostra fotografica e avevano stretto subito una splendida amicizia. Lei non sapeva molto di lui o meglio della sua vita. Avevano molti gusti in comune e si divertivano molto insieme, ma Nathan non amava molto parlare del suo passato o della sua famiglia. Gli piaceva godersi il momento e questo a Elena non dispiaceva affatto.
Era bello avere una persona con cui poter parlare e staccare un po’ dalla routine. Avevano preso  la bella abitudine di vedersi quasi ogni pomeriggio per prendere un caffè e parlare di arte, cinema, libri e di tutti i loro interessi. Col tempo però il fatto che Nathan non si aprisse cominciò a farle male. Lei ormai gli diceva tutto, si confidava e si offriva sempre di ascoltarlo quando lo vedeva un po’ stanco o triste. Lui però era un muro impenetrabile. Un giorno ebbero una brutta discussione su questo. Quando lei insistette un po' troppo perché lui gli raccontasse qualcosa della sua famiglia e Nathan la prese male. Si arrabbiò così tanto da piantarla in asso nel loro bar preferito.
Elena però era troppo orgogliosa per lasciar correre. Pagò di corsa il caffè e si lanciò al suo inseguimento. Percorse tutta la strada finché non lo vide. Si bloccò osservando la grossa e lussuosa macchina su cui stava salendo e l’uomo vestito di nero che lo stava facendo salire.
In quel momento Nathan si accorse di lei e la guardò spaventato. Sospirò e fece andare via la vettura. I due passarono ore a parlare e lui finalmente trovò il coraggio di raccontarle della sua ricca famiglia, conosciuta per via di suo padre, sospettato di essere invischiato in traffici poco leciti.
Elena si limitò a sorridergli e a dargli dello stupido.
A Lei  non importava niente di cosa facesse la sua famiglia. Ai suoi occhi lui restava sempre e solo Nathan il suo più caro e prezioso amico.

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Gitana

giovedì 13 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto é stato ispirato da una pagina di giornale letta di sfuggita in metro (la stava leggendo una signora di fronte a me). Lo dedico a tutti quegli amici che, anche se vivo lontana dalla mia famiglia, mi fanno sempre e comunque sentire a casa.

 Gitana
(racconto n.104)

Tiana non aveva idea di che cose volesse dire avere una casa. Era nata nomade, come i suoi genitori, e aveva passato tutta la sua infanzia nella roulotte con la quale viveva assieme ai propri cari. Non passavano mai più di un anno nello stesso posto. Si spostavano spesso e lei, fin da quando aveva memoria, si era sempre chiesta come ci si sentissi a vivere per sempre nello stesso posto,con una casa fata di mattoni e degli amici che non doveva lasciare ogni anno.
Adesso però, a diciassette anni, cominciava a odiare quel suo modo di vivere. Aveva sempre cambiato città, senza mai affezionarsi più di troppo a qualcuno, ma questa volta le cose erano diverse. Nella sua ultima scuola aveva trovato due amiche, due vere amiche. Si erano avvicinate loro a lei, sebbene nessuno avesse provato a fare la sua conoscenza per  il solo fatto che era una nomade, e l'avevano trattata subito come se fosse una di loro. In loro compagnia si era sentita davvero a casa per la prima volta.
Quando i suoi le avevano detto che presto sarebbe arrivato il momento di partire aveva fatto di tutto per opporsi, ma loro erano stati irremovibili, Finché fosse stata minorenne avrebbe fatto quello che loro le avrebbero detto.
Gli ultimi giorni a scuola furono terribili. Aveva fatto di tutto per allontanarsi dalle sue amiche, ma loro non avevano voluto darle tregua. Avevano continuato a starle vicino, capendo che qualcosa non andava, senza insistere per farla parlare.
Solo l'ultimo giorno trovò il coraggio di dire loro della sua partenza imminente. All'inizio sembrava che loro se la fossero presa, ma quando arrivò la mattina della partenza trovò entrambe ad aspettarla con una busta piena di regali e un biglietto con scritto solo: un anno e libera. Ti aspettiamo.
Tiana sorrise pensando che infondo era vero. Tra un anno sarebbe stata maggiorenne e avrebbe finito la scuola. Finalmente sarebbe stata libera dai suoi genitori e sarebbe tornata nella sua prima, vera casa. 



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Reazione

mercoledì 12 dicembre 2012

Buoooonsalve! Questo racconto é dedicato a tutti quelli che non hanno il coraggio di provare a cambiare le cose, a coloro che invece di reagire alle situazioni come dovrebbero preferiscono aspettare che qualcosa cambi.

Reazione
(racconto n.103)

Ci sono momenti in cui le nostre esistenze si fermano, in attesa di qualcosa che forse non accadrà mai. Un cambiamento, una svolta... Spesso si passala vita ad aspettare che qualcosa riesca a scuoterci dal nostro torpore.
Danielle lo sapeva bene. Lei non era una che reagiva agli eventi. Si limitava ad aspettare che qualcosa arrivasse a cambiare le cose. Timida e impacciata, si faceva sempre mettere i piedi in testa sia nella vita privata che nel lavoro. Era già un anno che lavorava come assistente in un prestigioso studio legale eppure non aveva fatto alcun progresso né era riuscita a distinguersi in alcun modo.
Lei non era come Katie, bellissima e sicura di sé, che in pochissimo tempo si era fatta strada nello studio, travolgendo tutti con la sua grinta. Lei era la stella, quella a cui Jeff, il grande capo, affidava i casi più importanti. A Danielle invece spettava solo il compito di fare fotocopie, mettere in ordine l'archivio e, di tanto intanto, fissare qualche appuntamento. La trattavano solo come una stupida segretaria e lei non faceva niente per dimostrare che poteva fare e dare molto di più.
Poi però accadde qualcosa. Una cosa banale, stupida come ascoltare una conversazione alla macchinetta del caffè. Katie e Jeff stavano ridendo di lei, chiamandola “la serva volontaria”. Quelle parole e le loro risate maligne fecero scattare qualcosa. Si avvicinò pian piano ai due poi preparò un caffè e attese che fosse pronto. La sua mente era vuota, isolata dal resto del mondo.
Quando il caffè fu pronto lo prese e lo rovesciò in testa a quella stronza di Katie. Mentre quell'arpia  rimaneva a bocca aperta, Danielle fulminò il suo capo con uno sguardo di fuoco. - Voglio un caso. Posso gestirlo e lo voglio.
Jeff deglutì e si limitò a fare un cenno del capo, impaurito. Quando si allontanò, Danielle provò una grandissima soddisfazione. Sorrise, sentendosi per la prima volta contenta di sé. Finalmente era riuscita a reagire. Per una volta aveva trovato il coraggio di cambiare le cose.


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Consigli da chef

martedì 11 dicembre 2012

Buooonsalve! Questo racconto é dedicato a colui che col tempo è diventato po' un mito per me: Gordon Ramsay. Adoro quello chef e i suoi programmi! Hell's kitchen, Master Chef, cucine da incubo... Ma come cazzo si fa non adorarlo? XD

Consigli da chef
(racconto n.102)

Cucinare é un arte che non tutti sono in grado di comprendere. Riuscire a creare piatti e sapori unici, combinare gli ingredienti in modo che si armonizzino tra loro non è solo una questione di fortuna o di dosi. Per creare un piatto davvero ottimo ci voglio capacità, una certa dose di talento e una grande passione.
Sono anni ormai che faccio lo chef. Durante la mia lunga carriera ho ottenuto molti successi e riconoscimenti e fidatevi se vi dico che ne so qualcosa su come si gestisce un ristorante e che non è certo facile come cucinare un piatto di pasta nella cucina di casa propria.
La preparazione dei piatti infatti non é che la conclusione di un lavoro molto più lungo e faticoso. La cosa più importante per il successo di un buon ristorante sta prima di tutto nella scelta dello staff. Dal direttore di sala agli aiuto-cuochi, il personale deve essere selezionato con attenzione. Una volta ad esempio mi è capitato di fare un colloquio a un cuoco un po' troppo arrogante e decisamente molto poco competente. Aveva ottime referenze e sembrava davvero determinato, cosa che in questo lavoro non guasta mai.
Quando però mi ha servito una pizza bruciacchia grondante ketchup l'ho sbattuto fuori dal mio ristorante a calci in culo.
Un'altra volta ho fatto un colloquio a un direttore di sala davvero pietoso. Sudava come un maiale e a un certo punto ha anche dimostrato una scarsa capacità nel trattenere le proprie flatulenze. Davvero disgustoso. Oltre allo staff  però ad essere fondamentale é anche la pulizia. La cucina deve essere pulita da cima a fondo tutte le sere. Niente deve essere tralasciato quando si tratta di igiene e qualità dei prodotti.  È ovvio non si tratta di un lavoro semplice, ma se c'è la passione e la voglia di impegnarsi di certo i risultati si vedranno. E se vi venisse mai in mente di mettervi a cucinare dei fottutissimi cibi precotti datemi retta: lasciate perdere i ristoranti e andatevene a lavorare in un fast food. Vi beccherete meno insulti ed eviterete una bella figura di merda.


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Istinto di sopravvivenza

lunedì 10 dicembre 2012

Buonsalve! Questo racconto é ispirato al film Cloverfield di J.J. Abrams. Devo ammettere che all'inizio ho sottovalutato molto questo film, ma rivedendolo due giorni fa e leggendo alcune cose su di esso su internet... Beh devo ammettere che un po' di punti li ha guadagnati.

Istinto di sopravvivenza
(racconto n.101)

I palazzi attorno a me crollavano su se stessi riempiendo l'aria di polvere e detriti. Dovevo scappare, correre più forte che potevo e allontanarmi al centro della città.
Ma c'era davvero un posto in cui nascondermi? Potevo davvero sfuggire a quell'orrore?
Pensare che fino a poco tempo prima la mia vita stava procedendo nella sua patetica normalità.
Stavo facendo come al solito colazione con mia moglie e mia figlia, con la prima sempre intenta a ricordarmi che razza di fallito fossi e la seconda che si dedicava alla raffinata arte di ignorarmi. All'improvviso però c'é stato un boato e la terra ha cominciato a tremare.
La casa ci é collassata addosso in pochi secondi.
Ricordo di aver scorto mia moglie mentre cercavo di uscire dalle macerie. Aveva il viso sfigurato e il corpo maciullato dal cemento che l'aveva sepolta viva.
Non ebbi nemmeno il tempo per soffrire della sua perdita. Dovevo trovare mia figlia, sempre che fosse ancora viva, e fuggire da quell'inferno.
Di lei però non c'erano tracce.
Pregai Dio che fosse riuscita a uscire e che stesse bene, sperai di riuscire a ritrovarla all'esterno, ma quando raggiunsi la strada capii che sarebbe stato quasi impossibile.
Una fiumana di gente si stava spintonando nel disperato tentativo di fuggire da ciò che aveva devastato l'intera città. Uomini, donne e bambini correvano disperati, calpestandosi l'un l'altro, travolgendosi e spintonandosi senza pensare a coloro che correvano loro vicino. Alcuni, approfittando del caos, si davano allo sciacallaggio, esultando come bestie affamate ogni volta che mettevano le mani su un nuovo bottino. Sembrava che l'inferno fosse emerso sulla terra e avesse liberato la sua progenie di disperati e dannati.
All'inizio mi mossi in preda alla confusione in quella marea umana, ma un urlo disumano mi scosse dal torpore.
Alzai la testa in cerca della fonte di quel verso mostruoso e lo vidi: una creatura enorme, un mostro che sembrava nato dagli incubi di una mente deviata. Mi vergogno a dire che per un attimo il pensiero di  trovare mia figlia svanì dalla mia mente.
Dovevo correre, dovevo mettermi in salvo. Perché in quel momento c'era una sola cosa che controllava e dominava ogni fibra del mio essere: l'istinto di sopravvivenza.

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Telefilm

domenica 9 dicembre 2012

Buoooonsalve! Numero cento!!!! Questo é il racconto numero cento!!!! Cavoli non avrei mai pensato di avere tanta costanza lo ammetto XD É stato divertente comunque arrivare fin qui e credo proprio che non mi fermerò tanto presto ;)

Telefilm
(racconto n.100)

Ciao sono il personaggio di una serie televisiva e voglio approfittare di questo spazio per parlare di alcune cose che nelle serie tv non mi vanno proprio a genio. Sì, insomma la mia è una protesta in piena regola. Da quando ho iniziato la mia esistenza nel telefilm che mi ha dato i natali, ho sviluppato un odio atavico nei confronti di alcune figure professionali che mi hanno sinceramente fatto incazzare di brutto.
I primi a ricevere il mil ramcore sono senza ombra di dubbio gli sceneggiatori. Ma dico vi rendete conto di quello che ci fanno fare a volte? Forse pensano che noi poveri personaggi non abbiamo un cervello, che dovremmo limitarci a fare cose folli e totalmente insensate solo perché, a loro parere, mantengono vivo l'interesse del telespettatore. Pensate che un mio amico che vive in un telefilm di zombie mi ha raccontato che una volta con i suoi amici era rimasto bloccato su una statale. Lui si era subito messo di guardia sul loro camper per controllare che non ci fossero zombie nelle vicinanze. La strada era in piano e non c'erano ostacoli a ostruire la visuale quindi avrebbe potuto controllare la zona per chilometri. Sapete che scherzetto gli hanno fatto quei bastardi degli sceneggiatori? Gli hanno fatto apparire una fiumana di cadaveri viventi a pochi metri di distanza senza fargli vedere mentre si avvicinavano. Lo hanno fatto passare per un coglione miope.
Vogliamo parlare poi dei produttori? Quei bastardi che fanno continuare le serie televisive allungando il brodo di storie che avrebbero dovuto finire da un pezzo o che le troncano senza dare loro il minimo senso?
Con me hanno fatto una cosa del genere. Mi hanno cancellato alla prima stagione senza darmi il tempo di mostrare il mio vero potenziale. Adesso vivo nell'attesa, sospeso e senza alcuno scopo preciso, chiedendomi se qualcuno vorrà mai vedere ciò che sono. L'unica cosa che vorrei sarebbe un degno finale alla mia storia perché infondo anche io una volta, nei miei ventuno episodi di esistenza, sono stato un eroe.


Pubblicato da Unknown alle 10:31 0 commenti  

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