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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

Piacere estremo

giovedì 31 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto, per quanto io abbia cercato di trattenermi, potrebbe risultare leggermente forte per alcuni quindi occhio ai minorenni mi raccomando. XD

Piacere estremo
(racconto n.153)


Jane era consapevole di essersi persa. Ormai era arrivata a un punto in cui tirarsi indietro sarebbe stato impossibile per lei. Non sarebbe mai stata in grado di rinunciare a quella vita. Mentre si esibiva per l'ennesima volta davanti ai soliti porci bavosi si chiese cosa l'avesse portata a tutto quello, a dimenarsi mezza nuda su un palo solo per riuscire ad andare avanti.
Ricordava ancora il momento in cui erano nati i suoi "bisogni".
Aveva vent’anni e da pochi mesi aveva iniziato a frequentare l'università. Di buona famiglia e carina com'era aveva subito attirato l'attenzione di molti.
Travolta dall’euforia dell’ambiente universitario, iniziato a frequentare ragazzi più grandi, immergendosi in relazioni a breve termine sempre più spinte e forti. Una volta era finita perfino a letto con un docente. A lei era piaciuto, ma alla moglie di lui decisamente meno.
Col passare del tempo però aveva capito che il sesso non le bastava più. Sentirsi soddisfatta era sempre più difficile. Poi, una sera, accadde qualcosa.
Il ragazzo di turno, del quale non ricordava nemmeno il nome, ruppe un bicchiere e si ferì davanti a lei. Mentre guardava il sangue che colava sulla mano del ragazzo, Jane venne travolta da un'intensa eccitazione. Senza dargli il tempo di reagire iniziò a leccargli la mano e lo spinse sul letto, mondandogli sopra.
Nel momento in cui stava per raggiungere l'orgasmo ebbe un impulso ancora più violento. Con uno scatto, azzannò la gola del ragazzo e gli staccò un grosso brandello di carne. In quel momento, si sentì appagata come non lo era mai stata.
Continuò a mordere e graffiare, straziando la carne per poi sputarla in faccia alla sua vittima. Era quello  che stava cercando, il piacere del dolore estremo che portava alla morte. Il piacere della sofferenza inferta con i denti e con le unghie.
Era quello il motivo per cui aveva imboccato quella strada, la ragione per cui era diventata una spogliarellista: trovare nuove vittime per soddisfare il suo piacere.


Pubblicato da Unknown alle 12:56 0 commenti  

Corsa al limite

mercoledì 30 gennaio 2013

Buonsalve amici! Questo racconto mi è venuto in mente pensando alle corse automoblistiche. Non so nemmeno perché mi è venuto in mente l’argomento… mmm… la mia mente mi gioca strani scherzi…


Corsa al limite
(racconto n.152)

Le luci della città sembravano solo dei lampi dorati dai finestrini della macchina. Concentrato com'era sulla guida, Robert le guardava a malapena. La sua mente era tutta lì, su quella striscia d'asfalto che aveva davanti, sulla strada che come un serpente si snodava di fronte ai suoi occhi.
Il conta chilometri segnava inesorabilmente l'aumento della velocità e con essa dell'adrenalina nel suo corpo. Robert viveva per quello, per quelle corse clandestine dove tutto si riduceva a pochi minuti di assoluta perfezione.
Le sue mani, strette sul volante, erano sbiancate, ma a lui non importava. In quel momento lui era davvero consapevole di ciò che lo circondava.
Era lui ad avere il controllo e niente avrebbe potuto fermarlo. All'improvviso un rombo gli fece distogliere appena gli occhi dalla strada. Imprecò tornando subito a concentrarsi sulla guida. Uno dei suoi avversari lo stava per raggiungere.
Era certo di aver messo sufficiente distanza tra di loro, ma quel bastardo stava tentando di recuperare. Doveva fare qualcosa.
Premette il piede ancora di più sull'acceleratore e per un attimo ebbe un fremito nel sentire il rombo del motore. Le sue labbra si piegarono in un sorriso soddisfatto.
La sua bambina non lo avrebbe deluso. Non lo aveva mai deluso prima e non avrebbe cominciato proprio quella sera.
Un attimo dopo però il suo avversario gli fu accanto e le due vetture raggiunsero quasi contemporaneamente una pericolosa curva a gomito. Robert non era affatto intimorito. Sapeva come gestire la situazione.
Il suo rivale però no. Una manovra sbagliata e Robert sentì il rumore delle macchine che si toccavano poi, all'improvviso,  la sua vettura iniziò a sbandare.
Dopo un brusco testacoda, fu costretto a fermarsi. Riuscì ad alzare la testa appena in tempo per vedere due abbaglianti venirgli addosso.
Sapeva che quel momento sarebbe potuto arrivare, ma non ci aveva mai creduto sul serio.
L'ultima cosa che sentì dopo il terrore fu un violento impatto, il dolore improvviso delle lamiere che gli entravano nella carne poi l'inevitabile nulla.


Pubblicato da Unknown alle 13:27 0 commenti  

Come acqua di mare

martedì 29 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato ieri, mentre me ne stavo immersa in una piscina termale all’aperto nella quale era possibile ascoltare sott'acqua della bellissima musica (si lo so sono viziosa XD). Spero vi piaccia! ^,.,^

Come acqua di mare
(racconto n.151)

Amarine adorava l'acqua, era l’elemento nel quale si sentiva maggiormente a suo agio. Se c'era una cosa che amava era stare immersa per ore e perdersi completamente nelle bellissime sensazioni che l’acqua le trasmetteva.
Quel giorno, il suo ultimo giorno, si era rifugiata come sempre sulla spiaggia poco distante da casa sua e si era tuffata in mare. Era ormai quasi un’ora che se ne stava a mollo, facendo il morto a galla. Aveva la mente sgombra, rilassata, davanti a sé vedeva solo l'azzurro limpido del cielo.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla musica che le pareva di percepire  nell'acqua. Era come il suono di un pianoforte, dolce e armonioso, capace di cullarla e confortarla, di trascinarla via dallo schifo di vita a cui era costretta ogni giorno.
In quel momento riuscì a dimenticare suo padre, violento e alcolizzato, la madre debole e sottomessa, le umiliazioni che era costretta a sopportare ogni giorno a scuola.
Le continue e disgustose attenzioni del suo insegnante di italiano.
Da tanto tempo aveva sperato di poter fuggire, di perdersi per sempre nell'acqua che tanto amava. In quel momento lo desiderò con tutto il cuore e tutta l'anima.
E proprio allora, mentre si trovava immersa in quell'azzurro così limpido e meraviglioso, ebbe la bellissima sensazione di stare pian piano scomparendo.
All'inizio fu solo un piacevole torpore sulla punta delle dita. Le sentì dissolversi, svanire nel mare e diventare parte di esso.  Pian piano le sue mani e le sue braccia divennero spuma e il suo corpo quell’acqua salata che fino a poco prima le lambiva la pelle.
In quel momento, Amarine divenne il mare che tanto aveva amato.
E nella spuma e nell'acqua ella viaggiò per il mondo, vedendo luoghi, persone e mondi sommersi a lei sconosciuti.
Ella divenne così uno spirito del mare, bellissima e libera, finalmente lontana dalle brutture della sua vita passata. Si dice che a volte, se si presta la dovuta attenzione la sua voce possa ancora essere udita da chi ama davvero il mare, una musica dolce e armoniosa nelle profondità degli oceani per tutti coloro che sanno ascoltarla.


Pubblicato da Unknown alle 13:54 0 commenti  

I mostri di oggi

lunedì 28 gennaio 2013

Buongiorno, questo racconto parla purtroppo di una situazione che molti hanno vissuto o stanno vivendo oggi. Una situazione che da giovane imprenditrice posso capire fin troppo bene.

I mostri di oggi
(racconto n. 150)

I veri mostri di oggi non sono vampiri o licantropi. Non ci sono fate crudeli o mostri sotto il letto. I mostri di oggi sono ben altri.
Christian lo sapeva e li temeva. Quei mostri non facevano che ossessionarlo da mesi ormai. Vengono chiamati in molti modo ma lui li conosceva bene. Si chiamavano debiti.
Lui, giovane imprenditore, aveva investito tutti i soldi che era riuscito a risparmiare e quelli dei suoi genitori per aprire un piccolo negozio di elettronica.
All'inizio gli affari erano andati bene, ma pian piano le cose erano precipitate.
Non riceveva alcun aiuto dallo stato che invece non faceva che prosciugare anche quei pochi soldi che riusciva a mettere da parte a fine mese.
Le tasse e le multe non fecero che accumularsi e con esse la consapevolezza e l'angoscia di non poter andare avanti ancora per molto.
Coi mesi era stato costretto anche a lasciare il suo appartamento e a tornare a casa dei suoi genitori. Il giorno del trasloco si era sentito un vero fallito.
I mesi passarono inesorabili e più lui cercava di saldare i propri debiti, più ne veniva soffocato. Se cercava di pagare le impose gli riusciva quasi impossibile pagare i fornitori che ovviamente dopo un po' non accettarono più di fargli credito.
Con il tempo l'angoscia si trasformò in disperazione. Si sentiva un verme, schiacciato da quello che ormai era diventato un peso opprimente.
Non sapeva come dire ai suoi che presto sarebbe andato in fallimento. Non poteva farlo. Sarebbe stato troppo umiliante e troppo doloroso.
Ormai era allo stremo. Per questo non gli restava da fare che una cosa, un ultimo disperato atto di codardia.
Stringendo forte una penna, passò ore davanti a un foglio bianco. Gli ci volle un po', ma alla fine riuscì a liberare i propri pensieri, a spiegare il perché di quel suo stupido, folle gesto. Quando alla fine riuscì a chiedere perdono ai suoi cari posò la penna e si diresse verso il letto. Quella pistola gli era costata i suoi ultimi risparmi.
Quella pistola gli sarebbe costata tutta la sua vita. 

Pubblicato da Unknown alle 12:30 0 commenti  

I pericoli nel cercare lavoro

domenica 27 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto é ispirato a un fatto realmente accaduto (non a me). Ci tengo a precisare che nomi e luoghi sono tutti inventati, ma che, ahimè, queste cose purtroppo accadono davvero.

I pericoli nel cercare lavoro
(racconto n.149)

Darla sapeva che non bisogna fidarsi troppo degli estranei, ma non avrebbe mai pensato che potesse esistere gente tanto disgustosa.
Da ormai diverso tempo era in cerca di lavoro e finalmente, su un giornale, aveva trovato quello che sembrava essere più adatto a lei.
L'annuncio diceva che  cercavano collaboratori qualificati per un centro ricreativo  che avrebbe dovuto aprire di lì a poche settimane. 
La ragazza sapeva di avere tutte le carte in regola per quel lavoro così decise di provare a  mandare il suo curriculum. Non ci volle molto prima che venisse contattata per un colloquio privato.
Il centro ricreativo sarebbe stato aperto in una bella villa nella periferia di Roma e lì si sarebbe svolto anche il colloquio con Tiziano, il presunto responsabile del progetto.
A Darla quell'uomo piacente di circa cinquant'anni diede dapprima l'impressione di essere una persona calma e tranquilla.
C'era però qualcosa che non andava. Non le piaceva stare da sola con lui in quella villa vuota. All'improvviso, mentre stavano parlando del progetto, Tiziano si avvicinò perplesso. - Cos'hai? Mi sembri nervosa.
Lei scosse la testa sentendo crescere la propria agitazione. - Non é niente. Credo di essere solo un po' stanca. 
L'uomo le sorrise piacente. - Dai lasciati fare un massaggio. Vedrai che così ti rilassi.
La ragazza si ritrovò le sue mani sulle spalle senza avere nemmeno il tempo di protestare. Paralizzata dalla paura, rimase immobile finché non lo sentì intrufolarsi sotto la maglietta. A quel punto scattò in piedi e colpì l'uomo al viso con tutta la forza che aveva.
- Ma che cazzo fai? - ringhiò lui stordito.
- Chiamo la polizia ecco cosa faccio! - rispose lei già sulla porta della villa. Raggiunse la strada in un attimo in modo da essere circondata da più gente possibile e chiamò i Carabinieri. Poco tempo dopo si scoprì che l'uomo aveva usato lo stesso approccio con altre sei ragazze. 
Darla, sconvolta da quella esperienza, da allora fu molto più cauta nel fissare colloqui di lavoro. Aveva imparato una brutta lezione in un modo orribile.

Pubblicato da Unknown alle 11:35 0 commenti  

Un motivo per uccidere

sabato 26 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è venuto in mente guardando ieri sera il film Kiss Kiss Bang Bang con il grande Robert Downey Jr. Buona lettura!! ^,.,^

Un motivo per uccidere
(racconto n.148) 

Jack sapeva di non essere una bella persona. Lui che cambiava donna ogni settimana, che le usava e poi gettava a seconda dei suoi bisogni non si sarebbe mai definito un brav’uomo.
Non che sfruttare le donne fosse la cosa peggiore che avesse mai fatto. In quel momento poi il sesso non era nemmeno nei suoi pensieri. Gli era stato richiesto un lavoro e niente avrebbe potuto distrarlo.
Stava seguendo quell'uomo ormai da due giorni, ma niente faceva pensare che fosse il porco schifoso che la moglie lo accusava di essere.
Quella mattina però il suo obbiettivo sembrava avere qualcosa di strano. Emanava un’ansia che sembrava non avere una ragione particolare. Jack avrebbe dovuto aspettare la sera per capirne il motivo.
L'uomo infatti si recò in una discoteca affollata, luogo frequentato da molti ragazzi e ragazze minorenni. Un luogo perfetto per adescare una preda giovane e ingenua.
Nascosto tra la folla, Jack vide il suo obbiettivo attaccare bottone con una ragazza che, dapprima diffidente, si sciolse subito quando lui le disse di lavorare per un famoso network televisivo. SI accorse però anche della droga da stupro che lui le infilò nel bicchiere.
Poco dopo la ragazza si sentì male e lui si offrì di riaccompagnarla a casa. Troppo stordita per rifiutare, la giovane lo seguì fuori dal locale.
Perse i sensi poco dopo, proprio in vista della macchina di lui, parcheggiata in un vicolo buio. L'uomo la trascinò fino alla vettura e le sollevò la gonna con una mano mentre con l'altra le palpava il seno abbondante.
Troppo eccitato ed euforico per la sua nuova preda, non si accorse della presenza di Jack che si era già infilato un paio di pesanti guanti scuri.
Con la freddezza di chi sa fare il proprio mestiere, Jack sollevò la pistola munita di silenziatore. Il porco morì senza quasi rendersene conto.
- Lavoro accettato. - sussurrò Jack.
Era quello ciò che gli aveva chiesto la moglie della sua vittima: ammazzare il marito che, sospettava, aveva ripetuti rapporti con delle minorenni. La cosa però si era rivelato essere ben più grave.
Per questo Jack aveva deciso di accettare il lavoro, perché lui doveva avere sempre un buon motivo per uccidere. E per quanto lui fosse un assassino che usava e abbandonava le donne, non sopportava chi abusava di loro in quel modo.
Era una persona orribile, ma anche lui, in fondo, aveva una morale. 


Pubblicato da Unknown alle 11:10 0 commenti  

Magico Carnevale

venerdì 25 gennaio 2013


Buonsalve amici! Il carnevale è alle porte e ormai alle porta e questo racconto è proprio ispirato ad esso. Buona lettura!

Magico Carnevale
(racconto n.147)

Diana adorava il carnevale. Quello per lei era il periodo più bello dell'anno perché poteva nascondersi, essere diversa dalla ragazzina riservata che tutti conoscevano. Nel momento in cui indossava la maschera, nell'attimo in cui si rifugiava dietro di essa, poteva trasformarsi e diventare ciò che voleva essere.
Quell'anno poi sarebbe stato un carnevale davvero speciale perché lo avrebbe passato a Venezia. Ospite di una sua amica, avrebbe trascorso dei giorni davvero straordinari. Si era anche comprata un abito speciale apposta per l’occasione.
Così, quando arrivò il martedì grasso, Diana si lanciò nelle strade piena di entusiasmo e vestita di un costume Veneziano rosso che metteva in risalto la sua figura slanciata.
Fu incredibile, come trovarsi immersa in un incantesimo.
C'era così tanta vita e allegria attorno a lei e i colori sembravano così intensi e luminosi da toglierle il fiato. L'aria era vibrante di musica e ovunque si poteva percepire un dolce profumo di dolci.
Persa nella magia del carnevale, vide un gruppo di ragazzi e rivolse loro maliziosi sguardi di intesa. Loro la salutarono con commenti di ammirazione, ma lei si limitò a passare loro accanto, indifferente. Subito però la sua attenzione venne attirata da un uomo. In piedi, su un piccolo ponte, osservava i canali con un'aria assorta sul volto in parte nascosto da una maschera. All'improvviso l’uomo si accorse di lei e si girò a guardarla. C'era qualcosa di affascinante e magnetico nel suo sguardo. Ammaliata, Diana lo seguì fino a una piccola strada nascosta. Lì, lui si voltò e le sorrise. - Benvenuta. - la salutò.
La giovane sentì la propria mente vuota e confusa. - Chi siete? - riuscì a chiedere a malapena.
Lui le si avvicinò e, senza che lei riuscisse a opporsi, le cinse la vita con un braccio. - Uno spirito, un fantasma... Forse solo uno scherzo...
Diana batté le ciglia e si ritrovò di fronte un'altra se stessa. Non si accorse che stava pian piano svanendo, diventando invisibile come un antico spettro.
- Io sono Venezia, bambina, e il mio spirito cattura coloro che si in me desiderano smarrirsi.  



Pubblicato da Unknown alle 16:42 0 commenti  

Poker

giovedì 24 gennaio 2013


Buonsalve! Questo racconto mi è stato ispirato da una puntata di “Terapia d’urto” un telefilm che danno ogni mercoledì su Cielo e che mi sta prendendo davvero tanto.
Buona lettura ^,.,^

Poker
(raconto n.146)

Il poker é un gioco, ma non uno scherzo. Ogni gesto e ogni espressione devono essere studiati e calcolati con attenzione per sviare l'avversario. Un movimento nervoso, uno tic o uno scatto improvviso possono fare la differenza tra vincere migliaia di dollari e perderli.
Questo Matt lo sapeva benissimo. Era consapevole dei rischi e delle possibilità di quel gioco che non si basava solo sulla semplice fortuna.
C'era però un'altra cosa di cui era consapevole: lui era nato per quello.
Aveva iniziato a giocare seriamente poco dopo aver compiuto i diciotto anni ma già da prima aveva cominciato a capire il suo talento, la sua capacità di poter leggere le persone.
Gli bastava incrociarne lo sguardo di qualcuno per leggere nei suoi occhi tutto della persona che aveva davanti. Aveva sempre contato su quel dono finché un giorno, durante un'importante partita, non si era trovato di fronte a qualcosa di inspiegabile.
Erano pronti per giocare, ma mancava ancora una persona che ovviamente era in dannato ritardo.
- Scusate, mi hanno trattenuta. - disse una voce squittente. Matt guardò allibito la ragazza che non doveva aver più di vent'anni sedersi di fronte a lui.
Matt la osservò, pregustando già un guadagno facile, ma fu costretto a ricredersi. Appena diedero le carte, la ragazza infatti sembrò trasformarsi.  I suoi occhi divennero gelidi, duri, il suo volto inespressivo.
Era come se non ci fosse niente dentro di lei. Li prosciugò tutti, togliendo loro fino al più piccolo centesimo.
Alla fine della partita, non poté fare a meno di chiederle come facesse a isolarsi e a chiudersi così tanto mentre giocava.
Lei si limitò a sorridere e a porgergli la mano.  - Facciamo una cosa: te lo dirò se accetti di giocare ancora con me. Sei bravo e vorrei affrontarti ancora.
- Con piacere. - disse stringendole la mano a sua volta. In quel momento si rese conto che  la pelle della ragazza era gelida e dura come il marmo come se fosse.... Morta.
Sgranò gli occhi, ma non ebbe il tempo di dire niente che lei si era già allontanata, uscendo dalla stanza silenziosa come un alito di vento. 


Pubblicato da Unknown alle 15:45 0 commenti  

Sospetto

mercoledì 23 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato da una telefonata che ho involontariamente ascoltato mentre stavo in negozio. Una signora infatti si era rintanata nella rientranza della vetrina della mia libreria per telefonare (si le parole sono proprio quelle del racconto) ignorando ovviamente che da dentro si sentiva tutto. Buona lettura!

Sospetto
(racconto n.145)

Sandra aveva i nervi tesissimi. Nei suoi cinquant'anni aveva gestito le situazioni più disparate, ma in quel momento non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Suo figlio aveva bisogno di lei. Certo ormai aveva già quasi  trent'anni, ma lui era e sarebbe sempre rimasto il suo bambino e lei non poteva fare a meno di preoccuparsi. Da un po' di tempo infatti il suo Roberto si comportava in maniera davvero molto strana. Era diventato più chiuso, taciturno e aggressivo.
Ogni volta che lei provava a parlargli le rispondeva in maniera vaga e nervosa.
Sandra ormai si era sempre più convinta che lui facesse uso di droghe e doveva intervenire. Quella sera si allontanò da casa con la scusa di andare a prendere le sigarette e si rintanò nella vetrina rientrata di una piccola libreria. Nervosa, chiamò una farmacia dove, le avevano detto, avrebbero potuto darle tutte le informazioni di cui aveva bisogno.
- Pronto? - disse non appena le risposero. - Buonasera senta io... Sospetto che mio figlio faccia uso di droghe e voglio metterlo con le spalle al muro.
Purtroppo però la telefonata finì con un buco nell'acqua. Le risposero che non potevano aiutarla, ma le suggerirono di chiamare la polizia e chiedere aiuto a loro.
La donna sospirò e chiuse la telefonata con rassegnazione. Non voleva coinvolgere la polizia e mettere suo figlio nei guai.
Rientrò a casa, consapevole che a quel punto l'unica cosa che poteva fare era parlare con Roberto.
Lui la stava aspettando in salotto con lo sguardo perso nel vuoto. - Hai fatto presto. - le disse solo.
- Il... Il tabaccaio era chiuso. - disse lei sentendosi stranamente agitata. Dopo un primo momento di panico però le parole le uscirono da sole. Lo rassicurò dicendo che sapeva del suo problema e che lo avrebbe aiutato in qualsiasi modo.
Roberto si alzò lentamente, lo sguardo allucinato e il corpo teso. - Sono triste, mamma. Mi dispiace che tu pensi questo di me. - disse.
La donna rimase paralizzata nel guardarlo avvicinarsi. C'era qualcosa di terrificante in lui che non sapeva spiegarsi.
Quasi non vide nemmeno il suo gesto improvviso. Sentì solo il dolore quando lui le piantò un coltello nella carne.
- Mi dispiace che tu mi reputi un drogato mamma. Sono un assassino, non un tossico.


Pubblicato da Unknown alle 16:44 0 commenti  

Apatica Morte

martedì 22 gennaio 2013

Buonsalve! Un altro racconto che non ha un’origine o una fonte d’ispirazione ben precisa. Spero comunque sia di vostro gradimento. ^,.,^

Apatica Morte
(racconto n.144)

Erano due giorni che Tia si sentiva stranamente apatica. Vagava per la sua casa come se niente avesse più importanza per lei.
Non sapeva il motivo di quell’insopportabile stato d’animo, non riusciva a spiegarselo. C'era come un vuoto nella sua mente che non riusciva a colmare. L'unica cosa di cui era sicura era che nessuno nella sua famiglia sembrava volerla ascoltare e questo non faceva che aumentare la sua angoscia e quel senso di solitudine che l'attanagliava. Quella mattina inoltre si svegliò con una sensazione di disagio ancora più brutta.
Aveva l’impressione che  tutto il suo corpo fosse attraversato da una leggera scarica elettrica e da un fastidioso formicolio come se decine di insetti le stessero camminando addosso.
Spaventata, corse da sua madre per dirle cosa le stava accadendo, ma quella si limitò a continuare a preparare la colazione per lei e i suoi fratelli con lo sguardo perso nel vuoto.
Vederla ai fornelli le fece corrugare la fronte. Perché on riusciva a ricordare quando aveva mangiato l’ultima volta?
In quel momento Tia cominciò ad avere paura. C'era qualcosa di molto sbagliato in lei e in ciò che la circondava.
Fu allora che suo padre entrò in cucina e costrinse sua madre a smettere di cucinare.
- Dobbiamo andare. - disse mentre la donna scoppiava in lacrime tra le sue braccia.
Tia li seguì fino alla chiesa vicino casa dove lei era solita andare a catechismo da piccola. Si bloccò quando si rese conto del funerale che stava per avere luogo.
Il lampo di un ricordo le attraversò la mente e Tia rivide se stessa attraversare la strada di ritorno a  casa dalla scuola.
Incapace di tollerare ancora quell’immagine del passato, si scosse ed entrò nella chiesa. La sua paura si era trasformata in vero e proprio terrore. Si avvicinò alla bara e guardò il corpo dentro di essa.
Il ricordo represso allora la travolse in tutta la sua violenza, il ricordo di quell'auto che le era venuta addosso mentre si girava a salutare le sue amiche.
Tia urlò, disperata e finalmente consapevole, terrorizzata nel guardare il suo corpo, pallido e inerte, esposto nella bara il giorno del suo funerale.

Pubblicato da Unknown alle 16:25 0 commenti  

Amicizia lontana

lunedì 21 gennaio 2013

Buonsalve amici. Questo racconto è stato scritto per un’amica che conosco da una vita. Lei sa perché. Buona lettura!

Amicizia lontana
(racconto n.143)

Daisy e Lili erano amiche da sempre. Si conoscevano da quando avevano tre anni, dal giorno in cui le loro madri avevano deciso, per coincidenza o per destino, di portarle entrambe nello stesso asilo nella periferia di Roma.
Le due crebbero insieme e con loro l'amicizia che le univa. Erano l'una la sorella che l'altra non aveva mai avuto.
Certo a volte avevano avuto degli screzi è vero, ma anche dopo le peggiori discussioni finivano sempre col ritrovarsi a ridere e a mangiare schifezze insieme.
Il tempo aveva anche provato a dividerle sebbene con scarsi successi. Si erano infatti separate nel periodo del liceo e frequentato due scuole diverse, ma alla fine erano tornate a frequentarsi ogni giorno.
Le circostanze però avevano cambiato molte cose nella vita delle due e alla fine Lili fu costretta a trasferirsi per lavoro in un'altra città.
Entrambe furono molto tristi per quella partenza improvvisa, ma Lili promise all'amica che, in un modo o nell'altro avrebbero trovato il modo di vedersi.
Dopo molti mesi però si rese conto che forse non avrebbe potuto mantenere la sua promessa e fu costretta a rassegnarsi al fatto che, pur rimanendo sempre amiche, il loro legame sarebbe inevitabilmente cambiato.
Un giorno però scoprì che Daisy stava passando un bruttissimo momento e i sensi di colpa per non poterle essere vicina l'attanagliarono fino a sera tardi.
Così, prima di addormentarsi, espresse il desiderio che l'amica tesse in qualche modo sentire la sua vicinanza almeno con lo spirito.
Quella stessa notte, Lili sognò la sua amica. Se ne stava sdraiata a letto, sola a piangere. Le si avvicinò e subito si misero a parlare, passando ore e ore insieme come ai vecchi tempi. Al mattino Lili si svegliò sentendosi stranamente serena.
Poco dopo ricevette un sms di Daisy che le raccontava di un sogno in cui avevano parlato per ore e ore e che l’aveva fatta sentire meglio.
Lili si ritrovò a sorridere senza volerlo. In un modo o nell'altro, se solo lo avessero desiderato davvero, sarebbero restate unite.

Pubblicato da Unknown alle 17:19 1 commenti  

L'osservatore

domenica 20 gennaio 2013

Buonsalve! Un racconto dedicato a un osservatore particolare della vita umana.ate a indovinare a chi mi riferisco. XD

L'osservatore
(racconto n.142)

Vivere per gli umani a volte può essere davvero complicato. Io lo so, lo vedo. Sono molti quelli che cercano rifugio in me per i motivi più disparati.
A volte lo fanno perché si annoiano. Le loro vite sono così tristi che devono trovare una valvola di sfogo, qualcuno con cui parlare e a cui aggrapparsi perché li aiuti a cambiare e a dare una scossa alle loro patetiche esistenze. 
Altri mi sfruttano solo per ambizione. Avidi e desiderosi di arrivare al successo pensano che attraverso me possono raggiungere più facilmente il successo tanto ambito.
Mi sconcerta l'insistenza con cui mi lasciano messaggi e appelli nel tentativo di raggiungere un successo  fin troppo spesso immeritato.
Ci sono anche quelli che si appellano a me senza un motivo ben preciso. Quando non hanno niente da fare o sono insicuri, quando vorrebbero divertirsi un po' di più o anche solo cercare qualcosa o qualcuno. Ecco forse quelli che riesco a maggiormente comprendere sono quelli che attraverso me sperano di potersi sentire più vicini alle 
persone a loro care o di recuperare vecchi rapporti che il tempo aveva  deteriorato.
Io entro in contatto con milioni di umani ogni giorno, ininterrottamente.
Ma infondo io non sarei niente senza di loro.
Sono stato creato per loro e per loro continuerò ad esistere. Questo é il mio dovere, questo il compito di un social network: far conoscere, promuovere e ritrovare.

Pubblicato da Unknown alle 11:52 0 commenti  

La ragazza perfetta

sabato 19 gennaio 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto perché…  beh andiamo a quale Nerd non piacerebbe fare un incontro del genere? XD

La ragazza perfetta
 (racconto n.141)

Peter aveva sempre amato i videogiochi. Esperto com’era, riusciva a finire ogni gioco in modalità hard senza alcuna difficoltà e in pochissime ore. Quello invece su cui non aveva molta fortuna erano le ragazze. Non perché non fosse un bel ragazzo, anzi, attirava molti sguardi su di sé. Il problema era il suo essere tremendamente esigente. Lui non cercava un'avventura né voleva adattarsi a una ragazza che non aveva niente a che fare con lui. In una storia cercava condivisione e passione. L'ultima cosa che desiderava era accontentarsi. Certo forse era un po' troppo pretenzioso, ma di certo sapeva quello che voleva. Giocando di continuo a un gioco online infatti si era creato il suo modello di ragazza ideale, una druida dai lunghi capelli scuri e gli occhi chiari come cristalli. Ovviamente oltre che avere un aspetto simile a quello la sua ragazza perfetta doveva amare i videogiochi e avere un carattere deciso e grintoso.
Non era così stupido da pensare di poter trovare una ragazza del genere, ma... Beh fantasticare non aveva mai fatto male a nessuno. Poi accadde. Fu dopo aver preso l'ennesima delusione da una ragazza che si era rivelata essere una vera oca. Se n'era andato parecchio incazzato in un negozio di videogiochi in cerca di una novità che almeno gli avrebbe migliorato l'umore.
Quando finalmente lo vide si avventò sul gioco, ma una mano afferrò la confezione praticamente nello stesso momento.
- Ehi, molla l'osso! - disse una voce.
Peter si voltò già pronto ad attaccar briga, ma si bloccò quando vide la ragazza coi lunghi capelli scuri e gli occhi simili a cristalli di ghiaccio che aveva di fronte.
Rimase a fissarla per diversi secondi imbambolato.
- Che hai da guardare così? - gli chiese schioccandogli le dita davanti agli occhi.
Lui scosse il capo lasciandole il gioco. - Niente, scusa. Prendilo pure e... complimenti per la scelta.
Lei gli sorrise con entusiasmo. - Grazie. Io mi chiamo Elen.
- Peter. - si presentò lui. - Piacere di averti finalmente incontrata. 


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Favola

venerdì 18 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato ieri, durante un incontro che potrebbe portare alla nascita di progetto davvero speciale e che ha proprio a che fare con le favole (non dico ancora niente, ma incrociate le dita per me).

Favola
(racconto n.140)

C'era una volta una fata dei boschi di nome Lilium, protettrice di una foresta incantata al di la delle città degli uomini. Ella  accudiva il bosco e i suoi abitanti come una madre amorevole e tutti la rispettavano come la creatura più bella e saggia sotto la volta degli alberi. Un giorno però la sua casa venne presa di mira da Flame, lo spirito del fuoco. Affamato, Flame iniziò a divorare gli alberi del bosco che la fata tanto amava, lasciando dietro di sé solo cenere e dolore.
La fata allora, vedendo la sofferenza della foresta, andò dallo spirito.
Vestita con un manto d'edera, Lilium parlò allo spirito chiedendogli di fermarsi e di smetterla con di fare scempio degli alberi suoi amici.
- Io sono il fuoco. - rispose lui. - Bruciare é nella mia natura.
- La tua natura é anche di luce e calore. Sta a te scegliere cosa fare della tua esistenza.
Flame però non gli credette. Era impossibile per lui pensare di poter essere diverso. La fata allora creò un magico cerchio di pietre bianche nel quale rinchiuse lo spirito del fuoco. All’inizio lui si dibatté, cercando di liberarsi da quella che considerava una prigione in grado di impedirgli di placare la sua fame.
Nel cerchio magico però col passare del tempo Flame divenne luce per i viandanti e calore per gli animali, nutrendosi del potere della fata che sempre vegliava su di lui.
E così egli si rese conto di poter essere altro, di poter aiutare oltre che divorare e dalle ceneri che si era lasciato alle spalle nacquero nuovi alberi, simbolo della vita e della pace che Lilium aveva riportato nella sua casa.


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Gatto e topo

giovedì 17 gennaio 2013

Buonsalve! Ho scritto questa storia ispirandomi a un vecchio racconto aventi come protagonisti una rana e uno scorpione. Buona lettura ^,.,^

Gatto e topo
(racconto n.139)

Tick era un topolino spensierato che viveva per le strade di Londra senza preoccuparsi troppo di quello che sarebbe stato il domani. L'esperienza e le avversità lo avevano portato a sviluppare un acuto sesto senso che lo aiutava a sopravvivere e a evitare ogni possibile pericolo. Un giorno, mentre zampettava lungo le rive del Tamigi in cerca di cibo, si ritrovò davanti a un cucciolo di gatto dal pelo rossiccio.
Immobilizzandosi, guardò il felino che se ne stava rannicchiato in un angolo, tremante e spaventato. All'inizio Tick fu tentato di darsela a gambe, ma il suo sesto senso sembrava continuare a dormire dentro di lui il che voleva dire che al momento non correva alcun pericolo.
Si avvicinò piano al cucciolo, annusandone la paura che si sentiva forte e acre aleggiare nell'aria. 
- Ehi. - lo chiamò poi. - Che ti succede?
Il gatto alzò la testa di scatto, fissandolo con gli occhi sgranati. Quando si rese conto di chi aveva davanti però sembrò calmarsi. - Io... Mi sono perso. - disse. - Non trovo più la mia casa. Ti prego aiutami.
Tick all'inizio fu titubante, ma quel cucciolo sembrava davvero innocuo e non gli trasmetteva alcuna sensazione di pericolo. Sebbene una vocina dentro di lui gli dicesse comunque di stare attento, il topolino decise di aiutarlo. - Va bene. Conosco la città come le mie tasche. Descrivimi la tua casa e giurò che ti ci porterò.
I due si misero in marcia per le strade di Londra, schivando le macchine, evitando gli umani per un pelo ogni volta che rischiavano di essere investiti o calpestati.
Ci vollero due giorni per trovare la casa del gattino, due giorni in cui i due instaurarono una bella amicizia.
Quando raggiunsero l'abitazione, Tick sapeva che ormai era arrivato il momento di salutarsi. - Beh, ci siamo amico mio. Eccoti a casa.
In quel momento il sesto senso del topino entrò in allarme. Non fece in tempo a reagire che il gattino lo colpì con una violenta zampata, aprendogli una profonda ferita.
- Perché? - chiese Tick consapevole che il suo nuovo amico lo avrebbe presto ucciso.
Lui lo guardò come se gli avesse chiesto una cosa davvero molto strana. - Sono un gatto. Che ti aspettavi?

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Predatrice

mercoledì 16 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto non é stato ispirato da un qualcosa in particolare. Mi é semplicemente venuto in mente mentre me ne stavo in salotto a guardare un po' di tv. Spero comunque vi piaccia. ^,.,^


Predatrice
(racconto n.138)

Miriam stava ritornando a casa dal lavoro, incurante dell'ora tarda e dei pericoli che si potevano correre nel passeggiare da soli in quella malfamata strada di periferia.
Lei non era una che si lasciava intimorire. Era una predatrice e sapeva il fatto suo.
Stretta in un vestitino di raso nero, camminava a testa alta, con lo sguardo deciso e sicuro.
- Ma guarda che bel bocconcino. - sibilò una voce alle sue spalle.
La ragazza si voltò e vide tre ragazzi farsi avanti. Uno dei due, che sfoggiava un fisico da palestrato sotto una canottiera bianca, si leccò le labbra e la squadrò dalla testa ai piedi. - Mmm... Ragazzi mi vien quasi voglia di strappargli quello straccetto a morsi.
Uno degli altri due bevve un grosso sorso da una bottiglia di birra. -  Ah, io le morderei volentieri qualcos'altro.
Subito la circondarono, sbavando come cani affamati. Miriam deglutì, ma non mosse un muscolo. I suoi occhi si spostarono piano a seguire i movimenti degli aggressori.
- Non vi conviene avvicinarvi. - disse.
I tre scoppiarono a ridere, continuando a stringere il cerchio attorno a lei.
Quando uno di loro provò ad allungare le mani, Miriam scattò.
Rapida, estrasse un lungo pugnale dalla borsa e lo piantò con violenza nel ventre dell'uomo. Lo estrasse rapida e subito si diresse verso gli altri due, troppo ubriachi e strafatti per riuscire a capire cosa stesse accadendo.
Miriam però non diede loro il tempo di reagire. In un attimo recise la gola di uno dei due per poi piantare la lama nell'occhio del terzo.
Con un ghigno sprezzante rigirò il coltello un paio di volte e lo estrasse, tornando poi da quello a cui aveva aperto la pancia e che ancora si dimenava per terra.
La ragazza sorrise, stringendo forte la sua arma.
Aveva sempre adorato quella caccia. Lei infondo era una predatrice di uomini e la caccia era nella sua natura.

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Nuovo volto

martedì 15 gennaio 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato ripensando al fil “ La pelle che Abito” di Almodovar. Un film che ammetto mi ha davvero scioccata (e chi lo ha visto forse potrà capirmi). Buona lettura!

Nuovo volto
(racconto n.137)

Tessa si avvicinò alla parete, guardando terrorizzata lo specchio coperto da un pesante lenzuolo. Allungò la mano tremante, ma appena sfiorò il tessuto la ritrasse come se si fosse bruciata.
Non ci riusciva. Non voleva e non poteva farlo. Deglutì cercando di reprimere le lacrime che già sentiva inumidirle gli occhi.
- Non ci riesco. - disse.
Una mano amorevole le accarezzò il viso. - Non ti preoccupare. Ci riproverai domani.
Tessa guardò Miles e chinò il capo. - Sei sempre così paziente.
Lui sorrise e la strinse in un abbraccio. - Smettila di dire così. Lo sai che ti amo.
Tesa però non riusciva a guardarlo negli occhi. Era stata fortunata. Lui avrebbe tranquillamente potuto lasciarla, gliene aveva dato l'occasione, eppure non lo aveva fatto. Era rimasto con lei e l'aveva sostenuta, aiutandola a riprendersi dal terribile incidente avuto un anno prima.
Adesso però toccava a lei. Doveva trovare il coraggio di farlo.
Tessa rimase sveglia per tutta la notte a osservare il suo compagno dormire. Non sopportava di perderlo. La sola idea la terrorizzava. Per questo doveva reagire e fare quell'ultimo passo che le avrebbe permesso di tornare alla normalità.
Non poteva aspettare, non più. Si alzò lentamente poi con decisine si avviò verso lo specchio. Deglutì e con uno strattone tolse il drappo che lo copriva.
Per un attimo fu tentata di distogliere lo sguardo da quel volto che aveva poco a che fare col suo, un volto che aveva visto devastato dalle ustioni e che non aveva ancora avuto il coraggio di guardare adesso che era stato ricostruito. All'improvviso vide Miles avvicinarsi attraverso il riflesso dello specchio. Lui l'abbracciò e le diede un bacio sul collo.
- Questa non sono io. - disse Tessa tremando.
- Guardati negli occhi. - la rassicurò lui. – L’anima che riflettono non è cambiata.
Fu così che Tessa incrociò il proprio sguardo sussultando. La sua bocca si piegò in un sorriso appena accennato. Non sarebbe stato facile accettare quel nuovo volto, ma finché avrebbe avuto Miles al suo fianco e ciò che vedeva nei propri occhi sarebbero rimasto lo stesso, avrebbe trovato il modo di ritrovare se stessa.  


Pubblicato da Unknown alle 12:16 0 commenti  

La fanciulla e il falco

lunedì 14 gennaio 2013


Buonsalve! Per errore (o per sonno) avevo postato due volte lo stesso racconto. Questo è il vero racconto di oggi e mi è stato ispirato del film Ladyhawke, che ho rivisto con piacere ieri dopo tanto tempo (e che amerò per sempre). Buona lettura!

La fanciulla e il falco
(racconto n.136)

How aveva scelto quell'umana fin dal primo momento in cui l'aveva vista. Lui, nobile falco di antica stirpe, stava tornando al suo rifugio tra i monti quando la scorse danzare. Così bella e aggraziata, sembrava un fiore d'argento luminoso come una stella. Gli occhi del falco infatti potevano scorgere il suo cuore e vederne una purezza e una bontà straordinari, tali che mi lui ne aveva visti prima in un umani.
How allora le si avvicinò emettendo un verso acuto e si posò sul ramo di un albero sotto cui stava danzando.  La ragazza lo guardò ammaliata, tendendo una mano verso di lui. Quando il falco le volò incontro all'inizio ne fu spaventata, ma alla paura si interpose la meraviglia nel momento in dui le si posò sul braccio senza farle del male. La ragazza sorrise accarezzandogli il morbido piumaggio. - Bentrovato mio nuovo amico. Il mio nome é Ninien.
Da allora i due divennero grandi amici, inseparabili anche nei momenti più difficili finché un giorno il villaggio di Ninien non venne attaccato. Dei banditi lo assaltarono, depredando e saccheggiando, uccidendo chiunque capitasse loro a tiro. La ragazza cercò di fuggire verso il bosco, ma uno dei banditi la raggiunse, atterrandola. How allora si lanciò contro l'uomo con gli artigli protesi. La giovane ricordò solo la sensazione del sangue che le schizzava il volto e il suo corpo corpo che si rimetteva in piedi e iniziava a correre come se fosse del tutto indipendente dalla sua volontà.
Quando la paura fu passata, rimase a lungo nascosta nella foresta inattesa che il suo amico falco la trovasse. Lo vide volare verso di lei stagliandosi nel cielo come un'ombra rassicurante.
Invece di atterrare però, How precipitò tra le sue braccia. Ninien allora vide con orrore la profonda ferita sul corpo dell'animale. Piangendo cercò inutilmente di curare l'amico feritosi per salvarla.
Alla fine il falco mosse la testa verso la ragazza ed emise un ultimo verso acuto. Spirò tra le sue braccia, felice di aver potuto salvare quell'umana e la sua splendida luce. 

Pubblicato da Unknown alle 10:48 0 commenti  

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