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365 racconti per 365 giorni

Una sfida con me stessa, un racconto da scrivere ogni giorno per divertire e divertirmi.

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365 Stories from my Head

Ti va di vivere un'avventura?

sabato 31 agosto 2013

Buonsalve! Siamo arrivati alla fine amici, questo è l’ultimo dei 365 racconti di questo blog. Questo anno per me è stato ricco di emozioni e avvenimenti. Ho chiuso il mio negozio, ho deciso di tagliare i ponti con il mio editore, scritto un nuovo romanzo e ricevuto tante delusioni quante soddisfazioni. Ho rivalutato persone e amici, trovandone di nuovi e rinunciando ad altri, ho commesso errori e ho cercato di porvi rimedio e ho mi sono scoperta pronta a ricominciare la mia vita da zero.  Mi sono riscoperta più decisa e più forte e questo blog è stato testimone di tutto questo. Quest’ultimo racconto è per tutte le avventure che, come questa, hanno avuto fine e per quelle che ancora devono iniziare.
È stato scritto pensando anche a voi, amici, che mi avete seguita e sostenuta durante tutto l’anno.
Con la speranza che vogliate seguirmi anche nella mia prossima avventura.

Ti va di vivere un'avventura?
(racconto n.365!!!!)

“Ehi, Mina! Ti va di vivere un’avventura?”
È stato con queste parole che mi hai rapita, tu così incosciente da voler sfidare il mondo, così folle da avere una possibilità di riuscire a conquistarlo. Il tuo sorriso, entusiasta e pieno di vita, ha dissipato da me ogni dubbio. Sapevo che ti avrei seguito, sempre e ovunque. Insieme siamo partiti verso la nostra grande avventura, abbiamo visto posti meravigliosi, conosciuto persone straordinarie e mostri che di umano avevano solo l’aspetto. Siamo stati felici assieme, amanti bramosi di sguardi, liberi come solo insieme potevamo essere.
Poi la tua storia ha avuto fine. Quando ti ho visto morire un vuoto oscuro ha cercato di impadronirsi di me eppure, nonostante tutto, quel tuo sorriso è riuscito in qualche modo a dissiparlo. Avevamo raggiunto una terra lontana, dalla parte opposta del mondo. Lì, tra gli alberi di una foresta selvaggia, siamo caduti in un’imboscata. Siamo scappati, fuggendo da quegli uomini che ci avrebbero ridotti in schiavitù, bestie che vendevano le persone come se fossero animali. Tu mi hai stretto la mano per tutto il tempo, infondendomi coraggio e forza. Poi, all’improvviso, ti sei voltato e li hai affrontati.
Hai combattuto come un leone, uccidendone molti , resistendo fino all’arrivo dei nostri compagni di viaggio. Sei crollato solo quando mi hai saputa al sicuro.
Non ricordo quante lacrime ho versato mentre pian piano morivi tra le mie braccia eppure, proprio  nel momento della fine, mi hai sorriso e mi hai sussurrato le tue ultime parole.
Quando ti abbiamo seppellito sono rimasta a lungo in ginocchio davanti alla tua tomba, cercando di scacciare il dolore e la sofferenza per non essere riuscita ad aiutarti, per non essere stata la degna compagna che meritavi e non aver potuto fare niente per te. Poi risentii nella mente le tue ultime parole come se il vento le avesse custodite nel tempo: “Ehi…. Vivi per me... una nuova avventura.”
 Per un attimo ebbi la sensazione che la tua mano stringesse ancora una volta la mia per infondermi nuovamente coraggio e forza. Mi sono alzata e, asciugandomi le lacrime, ho sorriso così come tu facevi sempre. Il tempo di un addio silenzioso poi mi sono voltata e sono tornata a sorridere a una nuova avventura.




Pubblicato da Unknown alle 08:55 1 commenti  

Paura dei numeri

venerdì 30 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato dal fatto che il mio ragazzo ogni tanto mi prende in giro dicendomi che sono talmente spaventata dai numeri che li sogno inseguirmi di notte. XD  Buona lettura!

Paura dei numeri
(racconto n.364)

Marta odiava i numeri con tutta se stessa. Non che non sapesse contare, semplicemente non le piaceva fare operazioni troppo complicate. Ogni volta che le mettevano davanti un calcolo troppo complesso in un primo momento si sentiva spaesata, poi cominciava a sentire una certa agitazione seguita da un vero e proprio attacco di panico se non riusciva a risolverlo.
Un giorno la sua insegnante di matematica le mise davanti un foglio pieno di numeri e formule strane. Per una volta Marta si sentiva sicura sull’esito del compito:  aveva passato settimane a studiare e prepararsi aiutata dalla sua migliore amica. Conosceva ogni passaggio alla perfezione ed era perfino riuscita a vincere la sua ansia per i numeri.
Quando lesse cosa c’era sul foglio però inorridì: non aveva mai studiato niente di simile in vita sua. Rimase per un attimo a fissare i numeri sotto al suo naso con gli occhi gonfi di lacrime.
All’improvviso iniziò a tremare, spaventata. Per un attimo gli sembrò addirittura che i numeri  che stava guardando avessero iniziato a muoversi. Si stropicciò gli occhi, cercando di calmarsi, ma quando tornò a guardare si rese conto con orrore che i numeri si stavano davvero muovendo.
Ondeggiavano e sbattevano gli uni sugli altri sempre più velocemente finché non divennero scie indistinte sotto lo sguardo allucinato di Marta.
D’un tratto i numeri schizzarono fuori dal foglio, strappando un grido alla ragazza che si alzò dalla sedia e corse via.  I numeri però non vollero darle tregua. Uniti in un vortice indistinto, le volarono dietro finché non la raggiunsero, travolgendola e trascinandola in un turbinio confuso.
Marta, ormai in preda al terrore, non poté fare altro che gridare e gridare, sperando che qualcuno la salvasse da quell’orrore di numeri.

Un attimo dopo, Marta si alzò a sedere di scatto, tremando. Le ci volle un po’ per rendersi conto di trovarsi nel suo letto e di aver avuto solo un bruttissimo incubo. I tempi della scuola erano finiti e quello era stato solo un brutto sogno.  Era sollevata dal fatto che i numeri non si sarebbero mai più messi a inseguirla. 


Pubblicato da Unknown alle 10:33 1 commenti  

Le campane

giovedì 29 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è stato ispirato da delle campane che ho visto tornando in treno dalle vacanze. Scrivendo questo post mi sto rendendo conto che ormai mancano solo due racconti… le ultime due storie di un’avventura durata tutta un anno. Quasi non mi sembra vero.

Le campane
(racconto n.363)

Carl aveva sempre odiato il suono delle campane. Gli ricordavano i momenti più brutti e angoscianti della sua vita, tutto quello che non era mai riuscito a fare per le persone a cui voleva bene.
La prima volta che ricordava di aver sentito le campane fu quando suonarono cupe per il funerale di sua madre. Aveva da poco compiuto quattro anni.
Sua madre si era ammalata all'improvviso e si era spenta così velocemente da non dargli quasi il tempo di capire cosa stesse accadendo. Anni dopo aveva sentito suonare le campane alle nozze della ragazza che amava e che lo aveva lasciato per un'idiota che la trattava da schifo, ma che poteva darle un tenore di vita decisamente migliore.
Per questo Carl tremava ogni volta che sentiva una campana. Quel suono gli dava sempre l'orribile sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto.
Poi, una mattina, venne svegliato da un cupo scampanio.
Si alzò di scatto, gridando terrorizzato e tremante per quello che gli era sembrato un orribile lamento. Si scosse, cercando di dimenticare quel suono orribile e iniziò la sua giornata. Dopo sei ore esatte, però, il rintocco si ripeté. Carl era al lavoro e si mise a urlare davanti ai colleghi che tentarono di rassicurarlo dicendogli di non aver sentito niente.
Lo scampanio però si ripeté, facendosi sempre più intenso e frequente.
Tre giorni dopo era diventato un suono incessante e continuo nella mente dell'uomo che, ormai al limite, non riusciva quasi più a uscire di casa.
All'improvviso Carl sembrò perdere la testa. Cominciò con l'alzare il volume di radio e televisione al massimo per non sentire più la campana che gli risuonava in testa, ma quando vide che le cose non miglioravano iniziò a picchiare la testa contro la parete, a  urlare e a farsi del male per farla smettere.
I suoi vicini chiamarono subito la polizia, ma quando gli agenti provarono a calmarlo, sul volto di Carl si dipinse un ghigno orribile.
- Ho capito! Finalmente so come farla smettere!
Così dicendo, si lanciò dalla finestra del suo appartamento. Precipitò per sette piani e in quel breve lasso di tempo la campana suonò più forte che mai.

Poi ci fu il nulla e la morte che avvolse ogni cosa, ponendo definitivamente fine all’ultimo scampanio della sua vita.


Pubblicato da Unknown alle 10:01 1 commenti  

Il complotto

mercoledì 28 agosto 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato a personaggi realmente esistenti de quale non posso parlare, ma le cui storie sono davvero molto, molto più assurde di questa.

Il complotto
(racconto n.362)

Vincenzo era un uomo semplice, un amante della campagna che aveva un grosso, bruttissimo vizio: il bere.
Spesso la sera, dopo il lavoro, usciva di casa e andava al bar del paese dove con gli amici si scolava birra fino a che non era così ciucco da riuscire a stento a tenersi in piedi.
A volte riusciva a rimediare un passaggio a casa, altre era costretto a tornarsene a casa a piedi, barcollando e attirandosi addosso gli insulti di tutti quelli che disturbava con i suoi schiamazzi. Una sera gli capitò qualcosa di alquanto singolare: stava per arrivare a casa quando vide un cane guardarsi per le vie deserte con aria circospetta. Incuriosito, Vincenzo decise di seguirlo, tenendosi a una distanza di sicurezza per non farsi notare. L'animale si avviò verso una cascina abbandonata e lì Vincenzo vide qualcosa di sbalorditivo: decine di cani e di gatti erano riuniti in una specie di assemblea e... parlavano! Discutevano sui loro tentativi di disfarsi dei propri esseri umani e di come estendere il loro dominio sul paese.
Sconvolto, l'uomo fuggì via e, arrivato a casa, raccontò tutto alla moglie che ovviamente si limitò ad arrabbiarsi e a rimproverarlo per essersi di nuovo ubriacato tanto da avere le visioni.
Lui però era sicuro che non si era trattata solo di un'allucinazione. Il giorno dopo provò a mettere in guardia tutti su quello che aveva visto e sul terribile piano degli animali domestici di disfarsi di tutti gli umani del paese.
Ovviamente nessuno gli credette anzi risero di lui e iniziarono a dargli del pazzo ubriacone. Vincenzo allora decise di tornare alla cascina, disperato e bisognoso di trovare delle prove.
Fu un colpo per lui trovarla deserta. Non c'era nemmeno un segno che in quel posto ci fossero stati degli animali.
All'improvviso però il cane che aveva seguito la sera prima entrò nella cascina e iniziò a ringhiargli contro. Vincenzo, ancora con i postumi della sbornia, indietreggiò.
Non si accorse del gatto che aveva fatto scivolare una bottiglia tra i suoi piedi né di quello che aveva spostato una grossa pietra dietro di lui.

In un attimo, l'uomo inciampò sulla bottiglia e picchiò la testa contro la pietra, morendo sul colpo. Quando lo ritrovarono tutti diedero la colpa alla sua grande passione per il bere ignorando il terribile complotto organizzato astutamente dai loro animali domestici.  


Pubblicato da Unknown alle 10:36 1 commenti  

Allegoria dell'acqua

martedì 27 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto è ispirato dal dipinto inserito come immagina dal titolo “Allegoria dell’acqua”. Ovviamente il racconto ha preso anche il titolo del dipinto. Buona lettura!

Allegoria dell'acqua
(racconto n.361)

Loro ormai sono ovunque. Si sono diffusi nel mondo in maniera esponenziale ignorando ciò che ha permesso loro di diventare forti e ciò che permette al mondo stesso di esistere. Hanno spesso sottovalutato la mia presenza, dandomi per scontata come se fossi eterna e insignificante. In realtà é a me che devono la loro vita. I periodi più prosperi della loro storia sono iniziati grazie a me, grazie alla mia presenza che ha permesso alle loro terre di  fiorire e alle loro civiltà di prosperare.
Spesso però hanno esagerato. Hanno sfruttato così tanto i miei doni che sono stata costretta ad annullare me stessa, a nascondere la mia presenza per poter ripristinare un equilibrio ormai precario.
In quei periodi loro hanno fatto di tutto per richiamarmi, per farmi rientrare nelle loro esistenze. Li ho visti soffrire e patire, consumarsi e azzuffarsi nel disperato tentativo di conquistarsi ciò che restava delle poche risorse rimaste. Ho visto la sofferenza dei loro pochi innocenti, ma non mi sono lasciata commuovere. Sono rimasta nascosta finché la loro avidità non si é inaridita del tutto e l'equilibrio di un tempo non è stato ripristinato.
A volte però l'indifferenza non era sufficiente con loro.
In quelle terre in cui gli uomini hanno cominciato a spadroneggiare fregandosene del mondo e delle altre entità che vi dimorano, ogni volta che hanno iniziato a montarsi la testa credendosi i padroni del mondo, io ho scatenato la mia ira. Li ho travolti con la mia forza, rendendoli consapevoli della loro impotenza e piccolezza nei miei confronti.
Ho ricordato loro che il mondo non gli appartiene e che io sono l'essenza in grado di dare loro la vita, ma anche di togliergliela con una facilità disarmante.
Io, l'elemento creatore da cui ogni individuo viene dissetato, colei che combatte contro il fuoco ribelle e ne esce vincitrice, l'entità che offre cibo ed emozione, ristoro e bellezza, ma anche pericolo e giustizia, smarrimento e paura.

Io sono colei che vive in ogni vivente, senza la quale la terra non sarebbe che polvere morta. Sono colei alla quale appartiene gran parte del mondo, sono l'acqua forte e pura da cui tutto nasce e senza la quale niente vive. 


Pubblicato da Unknown alle 10:11 1 commenti  

Il naufrago

lunedì 26 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto mi è stato ispirato da un dipinto visto nella Pinacoteca del Castello Sforzesco. Purtroppo non ho una foto del dipinto, quindi ho dovuto sceglierne un altro. Spero vi piaccia!

Il naufrago
 (racconto n.360)

Avevo sempre amato la mia casa anche se agli occhi di molti essa non era che un ammasso di colonne bianche e pietre ammassate le une sulle altre, ricordo di un'epoca ormai dimenticata. Il mio unico compagno era il mare, a volte calmo e gentile altre possente e irruente. Nessuno approdava mai sulla sua spiaggia e questo mi permetteva di godermi appieno la pace di quel luogo immacolato.
Un giorno, però, una zattera raggiunse la riva. Un uomo era riverso su di essa, stremato dopo quello che doveva essere stato un viaggio per la sopravvivenza. All'inizio pensai di spingere nuovamente l’imbarcazione in mare e rimandarlo al suo destino, ma ebbi pietà per quel povero disperato. Mi presi cura di lui e quando rinvenne, la sua gioia e la sua gratitudine mi commossero.
 La sua espressione era così gentile e il suo sorriso così vivo da togliermi ogni dubbio. Avevo fatto la cosa giusta ad aiutarlo. In attesa di riprendersi, si stabilì sulla spiaggia dove andai a trovarlo spesso. Apprezzai il fatto che rispettasse il fatto che non volessi estranei nella mia casa. Col tempo imparai a conoscerlo e scoprii la storia del suo naufragio, di come inutilmente aveva tentato di salvare i suoi compagni dalla furia del mare. Passammo ore insieme finché una notte lui mi disse che era ormai pronto a ripartire. Era una notte splendida, illuminata da una bellissima luna piena che irradiava ovunque la sua luce argentata.
Mi disse che aveva sistemato la zattera e raccolto abbastanza provviste da riprendere il mare poi, inaspettatamente, mi chiese di partire con lui. Io rimasi immobile, sconvolta e addolorata: amavo la sua compagnia, ma non avrei mai potuto abbandonare la mia casa. Nell’inutile tentativo di convincermi, lui si avvicinò per toccarmi, ma io mi ritrassi. Forse in quel momento capì perché si limitò a sorridere e a fare un piccolo cenno di assenso col capo.

Il giorno dopo, quando raggiunsi la spiaggia, il mio naufrago era già partito. Su uno scoglio, però,  una bellissima conchiglia brillava accanto a un mazzo di fiori bianchi. Sentii gli occhi umidi, divisa dalla tristezza per la sua partenza e la gioia per la consapevolezza che aveva capito e accettato la verità. Presi la conchiglia e i fiori e ritornai nella mia casa. Ne raggiunsi il cuore e li poggiai lì, su quella lastra di pietra sulla quale avevo passato tanto tempo e che custodiva gelosamente ciò che restava del mio cadavere.


Pubblicato da Unknown alle 13:54 1 commenti  

Il Sindacato delle Marmotte

domenica 25 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto é dedicato a tutte le marmotte del mondo alle quali va la mia solidarietà e il mio sostegno.

Il Sindacato delle Marmotte

(racconto n.359)

Ogni anno migliaia di marmotte vengono sfruttate e maltrattate da datori di lavoro privi di scrupoli. Rinchiusi in fabbriche grigie e prive di sicurezza, questi poveri animali sono costretti a confezionare ogni giorno centinaia e centinaia di barrette di cioccolato.
Io lo so perché ero uno di loro. Crebbi con i miei fratelli in una di queste fabbriche, guardando mia madre e mio padre che si ferivano le zampe con le macchine per la produzione del cioccolato. Ogni tanto i nostri padroni ci chiudevano in ampie stanze al centro delle quali mettevano del cioccolato. Noi potevamo toccarlo, annusarlo, studiarne con curiosa attenzione la carta che lo avvolgeva, ma se qualcuno provava ad assaggiarlo... Beh non era piacevole. Per niente.
Iniziai a lavorare appena divenni autosufficiente e da allora la mia vita é stata segnata dal lavoro e dalla fame. Poi però arrivò la mia occasione: per permettere a me e ai miei fratelli di scappare e di raccontare la verità, i miei genitori organizzarono una finta rivolta. Le guardie, troppo impegnate a occuparsi delle altre marmotte, non si accorsero nemmeno  della nostra assenza.
Da allora ci siamo battuti in tutti i modi per far conoscere le nostre condizioni. Purtroppo però le cose non sono affatto semplici perché voi umani preferite credere alle cose belle, dare ragione a chi vi illude che va sempre tutto bene anche quando é evidente che non é così. E i nostri padroni sono stati molto bravi in questo.
Vi hanno raccontato una marea di bugie sulle nostre condizioni, mostrandoci al lavoro tutti concentrati in un ambiente allegro e confortevole.
Menzogne, grandi, orribili menzogne che noi ci stiamo impegnando a rivelare. Per tutte quelle marmotte che ogni giorno vengono sfruttate per il confezionamento di dolci che non hanno nemmeno il diritto di assaggiare, per combattere la loro miseria e far valere i loro diritti. Noi siamo i primi membri del Sindacato delle Marmotte, pronti a tutto pur di difendere i nostri simili.
Ricordatevi di questo quando mangerete del cioccolato perché ogni confezione é nata dal sacrificio e dal lavoro di noi povere marmotte.



Pubblicato da Unknown alle 15:10 0 commenti  

ANGIE

sabato 24 agosto 2013


Buonsalve! Nuovo incubo, nuovo racconto! Ho sognato davvero questi ragazzi e ragazze dai capelli bianchi i cui corpi venivano usati per la produzione di una nuova droga. Diciamo che non è stato un bel risveglio...

ANGIE
(racconto n.358)

Gli ANGIE erano creature create in laboratorio per svolgere tutte quelle mansioni che per gli umani ormai erano diventate troppo “umili” per essere svolte. Lavori di casa, nei campi, nelle fabbriche... alcuni di loro si occupavano perfino di badare ai bambini. Erano creati in serie, tutti con l'aspetto di ragazzi o ragazze di circa vent'anni con occhi viola e capelli bianchi come la neve. Questi organismi artificiali potevano svolgere qualsiasi compito, ma dovevano essere resi alla ditta di costruzione entro e non oltre i dieci anni di utilizzo. Non si sapeva cosa ne facessero degli ANGIE mandati in resa, ma nessuno aveva mai trasgredito a questa regola. Pareva infatti che il materiale organico di cui erano fatti in qualche modo degenerasse col tempo, diventando nocivo soprattutto per i più piccoli. Nicolas era cresciuto con una di queste creature, un modello femminile che aveva lavorato nella sua casa fin da quando lui aveva sette anni. Doverlo mandare in resa fu davvero triste. Si era affezionato molto a lei, tanto da arrivare a considerarla quasi una di famiglia. Il tempo però passò e a vent'anni Nicolas si era ormai quasi dimenticato della sua ANGIE. Un giorno un suo compagno di studi gli propose una serata di sballo fuori dal comune. Pare avesse scoperto, infatti, l'ubicazione di una “Fabbrica dei Sogni”, un posto dove potersi sballare in sicurezza con una sostanza che dava effetti sicuri senza il rischio di dipendenza. Incuriosito, Nicolas accettò di seguirlo in quella folle esperienza. Si recarono in un enorme palazzo all'interno del quale vennero fatti accomodare in stanze separate. All'interno vi era quello che sembrava essere un lettino chirurgico su cui svettava un macchinario con aghi di diverse dimensioni. La macchina era collegata a tubi e cavi che sbucavano da un foro nella parete.
A Nicolas tutto quello non piaceva. Aveva la brutta sensazione che quello non fosse solo un posto in cui sballarsi. Usando la scusa del bagno per allontanarsi dalla stanza, sgattaiolò via per dare un'occhiata in giro. Fu allora che trovò “l'area produzione”, un vasto magazzino in cui i corpi di centinaia di ANGIE venivano liquefatti in appositi cilindri di acido e incanalati nei tubi che portavano poi alle camere di somministrazione.
- Che ci fai qui? - gridò un uomo che stava sccompagnando una ANGIE a uno dei tubi.
Nicolas non sapevo cosa dire. Era sconvolto. Non si rese nemmeno conto che l'uomo stava già allertando la sicurezza.
- Io... Loro... voi utilizzate i corpi degli ANGIE per realizzare la vostra droga?
In quel momento l'ANGIE che stava per essere liquefatta si avvicinò a lui sorridendo. - Sta tranquillo. Non ci fanno del male. Così ci permettono di diventare umani... ci rendono liberi.
Nicolas indietreggiò, gli occhi sgranati davanti all'ingenua emozione di quella creatura. Loro non erano solo strumenti, ma esseri viventi che nel corso degli anni potevano provare emozioni vere. Per questo dovevano essere smaltiti e sfruttati per... per...
Il dolore acuto a un braccio lo scosse da quell'orrore. Abbassò lo sguardo e vide una siringa venire estratta rapidamente dalla sua carne. Mentre perdeva i sensi, riuscì solo a scorgere i contorni indistinti degli uomini che lo avevano circondato.
- Cosa ne facciamo di lui, signore? - disse qualcuno.
- Riempiamolo di droga ANGIE. - rispose semplicemente una voce dal tono autoritario. - Se gli distruggiamo il cervello non avrà più modo di spifferare ciò che ha visto.

Nicolas cercò di urlare, ma non riuscì a emettere un suono. L'ultima cosa a cui penso fu la ANGIE che anni prima aveva mandato in resa condannandola a una fine orribile.


Pubblicato da Unknown alle 10:15 0 commenti  

La farfalla cremisi

venerdì 23 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto è nato... boh volevo scrivere qualcosa sulle farfalle... una delle solite cose allegre che scrivo io...

La farfalla cremisi
(racconto n.357)



Jack era un grande collezionista di farfalle. Nel suo appartamento aveva una stanza dove teneva esposti centinaia di esemplari alcuni dei quali estremamente rari per i quali aveva viaggiato tanto, arrivando a spendere tutto ciò che aveva. C'era però un solo esemplare che Jack desiderava più di ogni altro, una farfalla che i più consideravano una leggenda nata dalla superstizione e dalla paura: la farfalla cremisi. Difficilissima da individuare, si diceva che i pochi che in passato riuscirono a vederla e a documentarne l'esistenza fossero morti in circostanze violente e improvvise.
Queste storie però a jack non interessavano. Lui avrebbe corso qualsiasi rischio pur di avere quella farfalla. Per questo si mise a guidare a folle velocità quando lo chiamò da un suo contatto che gli aveva detto di essere entrato in possesso per caso di un esemplare grazie a un piccolo negoziante che importava oggetti esotici di contrabbando.
In pochi minuti raggiunse il suo contatto e con timore reverenziale acquistò la farfalla. Non gli importò di averla pagata uno sproposito. La sua collezione finalmente si poteva dire degna di valore. Risalì in macchina con gli occhi umidi dalla gioia.
Il piede che premeva sull'acceleratore, le mani tremanti dall'emozione e la farfalla che giaceva imbalsamata in una teca di vetro sul sedile del passeggero.
Fu un attimo. Una sbandata e Jack venne accecato dai fari di un camion che proveniva dalla direzione opposta. Lo schianto fu di una violenza spaventosa.

Mentre giaceva intrappolato nella sua auto in fiamme, Jack vide la farfalla agitarsi e uscire dal vetro rotto della teca. Non poteva essere possibile. Quella farfalla era morta. Era già morta. In quel momento si rese conto però che era lui l'unico che stava per morire e il terrore che la leggenda potesse essere vera lo travolse in tutta la sua verità.


Pubblicato da Unknown alle 10:00 0 commenti  

Un osservatore da lontano

giovedì 22 agosto 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto pensando a tutti i film sugli alieni che tentano di conquistare la terra che si vedono al cinema. E se un giorno ci sbagliassimo e per paura perdessimo una grande opportunità? L'ho scritto però pensando anche come “alieno” spesso non è solo chi viene dallo spazio, ma semplicemente chi temiamo perché troppo diverso da noi.

Un osservatore da lontano
(racconto n.356)

Quando sono arrivato qui per la prima volta, quello che speravo era di riuscire a imparare il più possibile, di poter capire e scoprire qualcosa di meraviglioso e diverso rispetto al mondo in cui avevo sempre vissuto. Pensavo di poter condividere ciò che sapevo e di creare un ponte di collegamento tra universi così distanti da sembrare quasi irraggiungibili.
Ho sperato, ma mi sbagliavo.
Quando sono arrivato qui non ho trovato che paura e diffidenza, esseri così arroganti e presuntuosi da credersi così importanti nelle loro minuscole esistenze da meritare di essere conquistati. Dal momento in cui ho toccato la loro terra, loro hanno iniziato a guardarmi con aperta ostilità. Troppo spaventati dalla mia diversità, mi hanno dato la caccia e catturato per poi portarmi nel buio delle loro prigioni. Mi hanno torturato cercando un modo per difendersi da una minaccia inesistente, un pericolo generato solo dalle loro infantili e ingenue paure.
Mi hanno odiato senza alcuna ragione se non per il mio essere straniero, mi hanno ferito tanto che per un po' anche io ho pensato di odiarli sul serio.
Poi però ho pensato che forse loro erano come bambini, ingenui e spaventati da una realtà molto più grande. Come si può biasimare un bambino che ha paura?
Come lo si può condannare?
Mosso da questa certezza ho cercato di spiegarmi, di far capire loro che non ero un pericolo e che non volevo fare altro che osservare e tornare a casa. Qualcuno mi ha capito, pochissime voci rimaste inascoltate. Io ero diverso, io ero un pericolo e dovevo essere controllato.
Era questa l'inamovibile volontà dei capi. In quel momento ho capito che non avrei mai potuto dialogare con loro. Erano una razza ottusa, troppo presa da se stessa per capire.
Non c'era niente che potesse davvero insegnarmi salvo il diffidare di loro. Un giorno però quelle voci fuori dal coro mi diedero una speranza. Mi liberarono e mi aiutarono a fuggire fino a raggiungere la mia astronave.
Mi fecero pensare che forse non erano tutti uguali e che forse c'era una possibilità per loro. Non adesso certo, magari tra secoli di evoluzione.

Non lo so e forse non mi importa. Per ora lascio questo pianeta consapevole solo di aver trovato un'ottusa ignoranza, di essere stato chiamato “mostro alieno” quando altro non ero che un osservatore venuto da lontano.


Pubblicato da Unknown alle 10:30 1 commenti  

L'incubo

mercoledì 21 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto è ispirato a un incubo che ho avuto la notte scorsa. Praticamente tutto quello che racconta la ragazza è ciò che ricordo di aver sognato... e pensare che sono appena tornata dalle vacanze -,.,-

L'incubo
(racconto n.355)



“Cosa ricordo di quella notte? Solo l’incubo che mi ha costretta a urlare e urlare, l'orrore che ancora oggi mi ossessiona con le sue terribili visioni. Non ricordo molto, solo di essermi ritrovata all’improvviso davanti allo specchio, grondante di sangue. Non so nemmeno dire se fosse il mio o quello di qualcun altro. Era tutto così confuso e sbiadito…
Il mio corpo tremava, scosso da fremiti incontrollati. Era come se non riuscissi a identificare la persona che vedevo riflessa nello specchio.
Gli occhi sgranati, la pelle bianca messa ancora più in risalto dal rosso del sangue… non avevo idea di cosa mi stesse succedendo, di come quel volto potesse essere così orribilmente diverso dall’immagine che avevo di me stessa. La mia mente era vuota, paralizzata. Avevo l’impressione che qualcuno mi avesse trapassato il cranio con decine di aghi roventi. Poi arrivò lui.
Si portò dietro di me, mettendomi le mani sulle spalle e scrutandomi con volto imperscrutabile. Mi ha sussurrato qualcosa, cercando di scuotermi da quella specie di torpore in cui ero piombata.
Guardai il suo riflesso nello specchio, ma quello che vidi nei suoi occhi cerchiati di nero non mi piacque affatto: in qualche modo mi resi conto che stavo perdendo me stessa, che non sarei più potuta tornare quella di prima. Fu allora che capii di dovermi svegliare.”
Nella saletta, l'unico rumore udibile era quello del registratore che girava a vuoto. La voce di Angie aveva smesso di risuonare nella stanza semibuia. Il dottor Straus aveva passato ore a riascoltare la sua paziente, cercando di captare qualche indizio su ciò che era accaduto quella notte, su come quella ragazza così apparentemente fragile e ingenua avesse potuto massacrare all'improvviso tutta la sua famiglia. C'era davvero un uomo con lei o quell'individuo era solo frutto della sua follia?
La polizia non aveva rivelato tracce della presenza di un'altra persona in casa eppure...
Lo psichiatra scosse la testa, spense il registratore e uscì dal suo studio. L'unica cosa che poteva fare era tornare a immergersi nella mente dell'assassina.



Pubblicato da Unknown alle 10:35 1 commenti  

Un gesto d'amore

martedì 20 agosto 2013

Buonsalve! Ho scritto questo racconto pensando all’amore, a quel tipo di amore per il quale il tempo, le discussioni e i problemi non hanno significato. A quell'amore che anche nei momenti più brutti riesce comunque a strapparti un sorriso.

Un gesto d'amore
(racconto n.354)

Carlos adorava la sua Amelie. Non avrebbe mai pensato di poter amare una ragazza con tanta intensità eppure quando l'aveva incontrata per la prima volta aveva subito capito di voler passare la vita con lei. Era così bella con quello strano vestito a fiori e i capelli corti sbarazzini...
A distanza di dieci anni erano ancora insieme. I capelli di Amelie erano più lunghi, ma lui continuava sempre a trovarla meravigliosa.
Poi arrivò il male, quel male orribile che distrusse la sua amata e tutti i suoi desideri. Un figlio era l'unica cosa che Amelie avesse mai chiesto alla vita, ma l'asportazione dell'utero la costrinse inevitabilmente a rinunciarvi. Cominciò a cadere in depressione e lui non riuscì a fare altro che guardarla spegnersi.
Alla fine, Amelie tentò il suicidio. Carlos la trovò nella vasca con i polsi tagliati. Non seppe dire come riuscì a salvarla, a tamponarle le ferite e a tirarla fuori dall'acqua. La sua mente era così piena di disperazione da non riuscire a registrare quei momenti.
Amelie passò molto tempo in ospedale, in preda a uno stato catatonico dal quale sembrava non riuscire a riemergere. Carlos rimase sempre con lei finché un giorno non le chiese semplicemente - Perché?
Era stremato, troppo stanco per sopportare ancora quei silenzi.
Lei lo guardò per un lungo momento poi inaspettatamente rispose. - Non riesco a sopportare l'idea di non sentirmi più una donna.
Carlos allora si alzò e tornò a casa.

Ritornò in ospedale poche ore dopo con un paio di forbici e una busta di plastica.
Pian piano iniziò a tagliare i capelli di Amelie, che non oppose alcuna resistenza a quel suo gesto assurdo. Quando ebbe finito l'uomo tirò fuori dalla busta un vestito a fiori e con tutta la delicatezza di cui era capace lo fece indossare alla donna.
Quando ebbe finito, uscì di nuovo dalla stanza e portò all'interno un ampio specchio, anch'esso portato dalla loro casa. Pian piano, aiutò Amelie ad alzarsi per andare a specchiarsi. La donna guardò imbambolata il riflesso di una se stessa identica a com'era una decina di anni prima. Solo il viso, emaciato e con qualche ruga in più, mostrava lo scorrere del tempo.
Carlo si portò dietro di lei e l'abbracciò sussurrandole a un orecchio. - Ai miei occhi, Amelie, tu sarai sempre la stessa bellissima donna che eri il giorno in cui ci siamo incontrati. 

Fu allora che una lacrima scivolò sul volto di Amelie, una lacrima che, per la prima volta dopo tanto tempo, nasceva dalla bellezza di un piccolo gesto d’amore.


Pubblicato da Unknown alle 10:37 1 commenti  

Sincera amicizia

lunedì 19 agosto 2013

Buonsalve! Un racconto sulla vera amicizia, quella che supera perfino le differenze più grandi. Buona lettura!

Sincera amicizia
(racconto n.353)

Avevo conosciuto la mia più cara amico quando ero ancora molto piccolo e da allora siamo sempre stati inseparabili. Sono cresciuto con lei e grazie ai suoi insegnamenti ho capito la differenza tra giusto e sbagliato, tra bene e male.
Se sono quello che sono, se ho un carattere così mite e affettuoso é solo grazie a lei. Non avete idea di quanti miei amici si siano persi a causa delle amicizie sbagliate, quanti siano diventati violenti e aggressivi solo perché non avevano al loro fianco la persona giusta in grado di consigliarli e guidarli.
Molti di loro hanno pagato il pezzo della loro violenza venendo rinchiusi. Altri sono stati uccisi.
Quando ho capito l'enorme dono che la mia più cara amica mi aveva fatto, ho deciso di dedicare a lei tutta la mia esistenza. Le avrei fatto capire quanto importante fosse per me il suo affetto e quanto le fossi riconoscente per tutto ciò che mi aveva donato.
Una notte ebbi l'occasione di aiutarla davvero. Stavo sonnecchiando sul divano quando all'improvviso dei rumori attirarono la mia attenzione. Mi alzai di scatto e scrutai nel buio in cerca dell'origine del rumore. Fu allora che vidi delle piccole luci e due figure che si aggiravano furtive per casa. Capii subito che erano un pericolo. Mi misi a urlare con quanto fiato avevo in gola, ma appena mi resi conto che non se ne sarebbero andati li aggredii. Dovevo proteggerla, salvarla da quegli intrusi a qualunque costo. Alla fine loro scapparono e io uscii da quello scontro un po' malconcio, ma vincitore. Fu bellissimo vedere la sua espressione gioia quando capì cosa avevo fatto per lei.
Da allora il nostro legame divenne più saldo che mai.
So che molti di voi giudicano male quelli della mia razza, che molti umani e altrettanti animali vedono noi cani come dei sottomessi pronti a umiliarsi per due coccole o dei biscotti. Ma cosa c'é di male nella lealtà verso gli amici, verso quelle persone che fanno di tutto per darci un rifugio e dei pasti regolari?
Che male c'é nel voler così tanto bene a una persona da voler ricambiare tutto l'immenso affetto e la generosità che lei ci offre?

Che c'é di sbagliato nella consapevolezza del valore della vera amicizia? 


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Un vero imbranato

domenica 18 agosto 2013


Buonsalve! Sono ingenua sull'amicizia? Sì... mi sa di si... forse non imparerò mai però... io ci spero e continuerò a sperare.

Un vero imbranato
(racconto n.352)

David era un vero pasticcione. Per quanto fosse sempre mosso dalle migliori intenzioni non faceva che combinare un guaio dietro l’altro e questo lo aveva portato a essere isolato da tutti quelli che frequentava. I suoi vecchi amici si erano stufati di finire nei guai per colpa sua e lo avevano scaricato mentre i suoi genitori non facevano che rimproverarlo e criticarlo per il suo essere così impacciato e maldestro.
Col tempo, David si ritrovò completamente isolato e un profondo senso di solitudine s’impadronì di lui. Non pensava di poter trovare nuovi amici, di riuscire a incontrare qualcuno di cui fidarsi che lo volesse come amico anche se era strano e imbranato.
Poi un giorno incontrò Mike. Era un ragazzo che molti non avrebbero visto di buon occhio, uno spirito ribelle che non badava troppo alle regole e che aveva l’aria di chi non si preoccupava troppo delle cose. Mike era il capo di una specie di banda, un gruppo di ragazzi e ragazze che come lui non sembravano preoccuparsi troppo delle cose.
David se ne stava tornando a casa dalla fumetteria quando vide un uomo seguire con aria poco rassicurante una ragazzina. Istintivamente lo seguì e quando lo vide avvicinare la ragazza, visibilmente spaventata, si fece avanti intimandolo di lasciarla stare. L’uomo lo intimò di andarsene, ma David non si fece spaventare. Quando venne spintonato cercò di difendersi, ma finì con l’inciampare e cadere a terra ai piedi della ragazza che ne approfittò per scappare via. L’uomo iniziò quindi a prenderlo a calci, ridendo nel sentirlo urlare di dolore.
Per un po’ David non riuscì a capire cosa gli stesse accadendo attorno. Sentiva solo il dolore dei calci e le risate dell’uomo che però all’improvviso si allontanò. Quando si alzò, David vide Mike e i suoi amici che cacciavano l’aggressore a suon di spinte e pugni.
- Così impari a maltrattare le persone, razza di idiota! – urlò Mike mentre l’uomo si allontanava correndo.
David si sentì tremendamente in imbarazzo, ma inaspettatamente Mike gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi. – Sei stato davvero molto coraggioso. Davvero grande!
Rimase sbalordito da quella reazione e dal sorriso sinceramente entusiasta del ragazzo. Restò ancor più sorpreso quando lo invitò a unirsi al loro gruppo. Iniziò così a frequentarli sentendosi all’inizio molto a disagio soprattutto per la paura di dimostrarsi il solito imbranato. Inaspettatamente però, nonostante il suo essere così impacciato, David cominciò a sentirsi di nuovo parte di un gruppo, sentì di aver trovato degli amici che, a dispetto di ciò che dicevano gli altri, sapevano essere sinceri e leali. Si rivelarono essere persone corrette e oneste, guardate male solo perché avevano una visione diversa della vita. Un giorno chiese a Mike perché lo volesse nel suo gruppo nonostante tutti i guai che combinava di continuo.
Lui scoppiò a ridere di punto in bianco. – Sarai anche imbranato e combina guai, ma non lo fai di certo apposta o con cattiveria. Se sbagli lo fai cercando di fare qualcosa di buono e questo mi basta.

David si ritrovò a piangere senza rendersene conto. Aveva finalmente trovato dei buoni amici, delle persone che sapevano accettarlo per quello che era. Non era mai stato tanto felice. Finalmente non sarebbe stato più solo.


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Un segno nel mondo

sabato 17 agosto 2013

Buonsalve! Questo racconto è stato scritto perchè penso che a volte lasciare un segno nella vita di una sola persona vuol dire lasciare un segno nel mondo.

Un segno nel mondo
(racconto n.351)

Seline era una donna forte e determinata che ne aveva passate molte nella vita. I suoi genitori le avevano insegnato a non arrendersi, a essere forte e a resistere a qualsiasi difficoltà. Le avevano insegnato i loro valori e a combattere per essi e questo l’aveva trasformata in una combattente dei giorni nostri. Chiunque la conosceva non poteva fare a meno di trovarla straordinaria. Sapevano che lei era una di quelle persone che, in qualche modo, avrebbero fatto grandi cose e lasciato un segno nel mondo.
Non ne ebbe il tempo.
Stava passeggiando tranquillamente per strada quando vide in un vicolo un uomo che puntava una pistola contro una donna che dal modo di vestire sembrava essere piuttosto ricca. Il ladro la stava minacciando, imponendole di dargli tutto quello che aveva. La donna le consegnò il portafogli e si tolse tutti i gioielli tranne uno, un piccolo anello d’oro che cercò di nascondere dietro la schiena.
- Ehi! Dammi anche quello o giuro che ti sparo! – la minacciò l’uomo.
La donna iniziò a piangere. – No, ti prego! Era un regalo di mio marito. È il ricordo più prezioso che mi resta di lui!
Seline allora si fece avanti urlando contro l’uomo. Lui la guardò per un attimo spaesato, ma lei non si fermò. Si avvicinò lentamente con le mani alzate. – Senti prendi le mie cose e lasciale l’anello. Ci guadagneresti di più e lei non dovrebbe privarsi di un ricordo prezioso.
L’uomo ebbe un attimo di esitazione, ma in quel momento la donna fece qualcosa di molto stupido: tentò di scappare.
Si bloccò solo quando ci fu lo sparo. Terrorizzato per ciò che aveva fatto, il ladro si diede alla fuga. Un attimo dopo, Seline si accasciò a terra mentre una chiazza di sangue si apriva sul suo ventre. La donna la raggiunse, in lacrime. – No… adesso… adesso chiamo un’ambulanza…. Aiuto! Qualcuno ci aiuti!
Seline la guardò e sorrise. – Almeno… il tuo ricordo è salvo…
La donna cercò di asciugarsi le lacrime che le offuscavano la vista. – Perché? Perché mi hai aiutata? Io sono una sconosciuta… non conosci il mio nome, non sai niente di me…
La ragazza ebbe un sussulto, ma tornò subito a sorridere. – Perché vale sempre la pena di combattere per ciò che è giusto. Anche se non so chi sei e probabilmente non lo saprò mai, se dovessi morire sarei… felice di farlo per te…

Seline chiuse gli occhi poco dopo. Non avrebbe mai avuto l’occasione di fare molte cose, ma di certo, in un modo che nessuno avrebbe mai potuto prevedere o immaginare, aveva lasciato il suo segno nel mondo.


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Tutto perfetto

venerdì 16 agosto 2013

Buonsalve! Anche oggi torno a parlare di pazzia... in effetti mi piace raccontare storie di folli... mmm....

Tutto perfetto
(racconto n.350)

La vita di Malcom era programmata sotto ogni aspetto . Si svegliava ogni mattina alla stessa ora, faceva sempre la stessa colazione, impiegava lo stesso tempo per farsi la doccia e alla stessa ora usciva per andare al solito noioso, ripetitivo posto di lavoro. Lui non amava gli imprevisti, detestava qualsiasi cosa che potesse in qualche modo minare la sua routine.
Perfino i vestiti dovevano essere stirati e piegati sempre allo stesso modo altrimenti dopo diversi minuti iniziava a prima a grattarsi ripetutamente poi a dare di matto. Una volta era arrivato perfino a strapparsi i vestiti di dosso mentre era per strada rimanendo letteralmente in mutande.
Lui amava la sua vita, adorava quella perfezione che scaturiva dal totale, assoluto controllo della sua vita. Poi accadde qualcosa che sconvolse completamente la sua esistenza: un ladro tentò di entrare in casa sua. Stava dormendo quando sentì dei rumori provenienti dal salotto. Si alzò dal letto e quando il rumore si trasformò in confusione si mise a correre. Quando accese la luce vide un uomo che stava frugando tra le sue cose. Rimase a fissarlo con occhi sgranati per un momento poi urlò, afferrò una sedia che si trovava a portata di mano e si lanciò contro l’uomo.
L’intruso non fece in tempo a girarsi e a scappare che Malcom lo colpì alla schiena. Barcollò per un attimo poi scappò dalla finestra rischiando quasi di cadere.
Da quel giorno, Malcom divenne vittima della paranoia. Usciva a malapena per andare al lavoro e ogni volta che qualcuno provava ad avvicinarsi sussultava e si metteva sulla difensiva. Cominciò a dargli fastidio ogni più piccola imperfezione e infastidirsi per qualsiasi difetto anche quelli che vedeva nelle altre persone. Un giorno un senzatetto lo avvicinò per chiedergli dei soldi. Disgustato e terrorizzato, Malcom si allontanò, ma il vecchio commise un errore irreparabile: lo afferrò per un braccio.
- Non toccarmi! – urlò Malcom con voce stridula. – Non toccarmi! Non toccarmi!
Come se la sua mente si fosse spenta per un attimo, Malcom si avventò su di lui, lo spinse a terra e iniziò a sbattergli con forza la testa sull’asfalto. – Non toccarmi! Non toccarmi Non toccarmi!

Dieci giorni dopo, Malcom si dondolava su una sedia con un ghigno sul volto e gli occhi spalancati. – Tutto pulito… tutto in ordine… tutto pulito… tutto in ordine.
- Le medicine, Malcom.

Lui lanciò a malapena uno sguardo all’infermiera e tornò a dondolarsi sulla sedia. Si sentiva a suo agio in quella camera sterile e ordinata. Perfino la camicia di forza gli piaceva: era stata piegata in maniera davvero perfetta.


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Tu sei pazzo

giovedì 15 agosto 2013

Buonsalve! Un racconto sulla pazzia e sullo sdoppiamento della personalità. Buona lettura! ^,.,^

Tu sei pazzo
(racconto n.349)

- Tu sei pazzo, lo sai? – mi disse l’altro me.
- È probabile, ma non accertato. – risposi io.
- E allora come spieghi che parli con te stesso? – ribatté l’altro me.
- Molti lo fanno quando passano tanto tempo da soli. – dichiarai con sicurezza.
- Sì, ma di solito gli altri non ricevono una risposta.
Quello scocciatore cominciava davvero irritarmi. – Senti ti rendi conto che stiamo lavorando? Non è il momento di discutere!
- Ma sentilo! Come se tu fossi sempre concentrato durante il lavoro. – sbuffò l’altro me stesso. – Di solito sono io quello che s’impegna veramente!
Non potei fare a meno di dargli ragione. Scossi la testa e decisi di concentrarmi su quello che stavo facendo e sull’uomo legato di fronte a me.
I suoi occhi erano pieni di terrore, un terrore che mi strappò un brivido di piacere.
– Allora vuoi parlare? – gli dissi. – Dimmi quello che voglio se non vuoi che proceda con te.
Lui però mascherò il suo terrore dietro un’aria di disprezzo e superiorità. Mi sputò su una scarpa, cosa che mi diede non poco sui nervi. Gli diedi un pugno, spaccandogli il naso di netto.
- Come vuoi… - sibilai. – Vorrà dire che con te lavorerò seriamente.
Lasciai emergere l’altro me che afferrò le lame che avevo già preparato per lui. L’altro me tagliò, segò e strappò, lacerando carne, tendini e muscoli. Per tutto il tempo, l’altro me rise come il folle che era, gridando ogni volta che ci arrivava qualche schizzo di sangue sul volto.
- Hai fatto un buon lavoro. – dissi dopo aver ottenuto le informazioni che sarebbero state utili al mio capo.
- Come sempre. – disse l’altro me stesso osservando il corpo martoriato della nostra vittima. – Ti ho già detto che sei pazzo?
- Almeno un migliaio di volte. – dissi togliendo la sicura alla mia pistola.
- Sì, sei davvero pazzo. Non puoi parlare con me come se niente fosse e poi sbarazzarti di un corpo in maniera così rapida! – si lamentò.
- Senti ti ho fatto divertire se non sbaglio quindi non rompere! Abbiamo ben altro da fare che star qui a fare a pezzi questa merda.
L’altro me stava per ribattere, ma io lo zittii freddando la nostra vittima con un colpo alla testa.
Quel lavoro era finito, ma io e l’altro me avevamo altri compiti da svolgere.
- Tu sei pazzo, lo sai?

- Lo siamo in due, amico. – ribattei all’ennesima domanda dell’altro me. – Lo siamo in due.


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Non solo estetica

mercoledì 14 agosto 2013

Buonsalve! Un racconto ispirato a quei programmi in stile “ma come ti vesti” in cui presunte amiche chiamano dei perfetti estranei per cercare di cambiare il modo di vestire di una persona.

Non solo estetica
(racconto n.348)

Siria amava vestirsi da maschiaccio e sentirsi a suo agio nei vestiti che indossava. Erano poche le volte in cui indossava qualcosa di femminile anzi si poteva dire che nessuno dei suoi amici l’avesse mai vista con addosso una maglietta aderente o una gonna.
Per questo un giorno decisero che avrebbero fatto di tutto per convincerla a indossare abiti più adatti alla bella ragazza che era. Ovviamente però lei non voleva affatto saperne. Arrivò perfino ad arrabbiarsi seriamente quando le sue due più care amiche, Sara e Jessica, la portarono con un tranello a fare shopping in un negozio di abiti eleganti.
- Siete state perfide! Non avreste dovuto farlo! – aveva urlato davanti a tutti. – Fatemi un favore: pensate agli affari vostri e smettetela di ossessionarmi!
Se ne andò sbraitando, cercando di nascondere le lacrime che le avevano cominciato a illuminarle gli occhi. Sapeva di non essere femminile, ma non aveva scelta. Lei non poteva permettersi di indossare quei vestiti che per loro erano normali. Le mandò definitivamente a quel paese quando le due ragazze si appellarono addirittura a un programma televisivo per convincerla a cambiare look.
Siria ovviamente si rifiutò di partecipare al programma e troncò ogni legame con le due amiche. Per lei indossare quegli abiti non era solo una questione di estetica. Lo sapeva bene soprattutto quando, camminando da sola per strada, veniva avvicinata da quelle “creature”, i mostri e gli orrori che abitano il mondo e che ogni giorno le davano la caccia perché lei era la sola a poterli vedere. Le felpe ampie le servivano per nascondere le armi e gli amuleti che era costretta a portare con sé. I jeans o le tute comode le permettevano di muoversi al meglio.

Consapevole che non avrebbe mai potuto spiegare il perché del suo abbigliamento, Siria si asciugò gli occhi e fissò la creatura che aveva davanti a sé e che ringhiava sbavante, pronta ad azzannarla. In un attimo la ragazza estrasse un lungo pugnale da dietro la schiena. Che quelle oche pensassero ciò che volevano: lei preferiva sopravvivere al badare al giudizio di chi non sapeva accettarla.


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L'uomo perfetto

martedì 13 agosto 2013


Buonsalve! Questo racconto è in parte ispirato al “ritratto di Drian Gray e in parte all'ossessione che hanno alcune donne di dover trovare a tutti i costi l'uomo perfetto. Spero vi piaccia!

L'uomo perfetto
(racconto n.347)

Catia era una pittrice davvero straordinaria. Da anni ormai si era affermata, esponendo nelle più importanti gallerie d’arte e vedendo molte delle sue opere a prezzi considerevoli. Quelli in cui era maggiormente abile erano i ritratti. Dipingeva volti così belli e realistici da sembrare quasi vivi.
Quello che lei non era mai riuscita a trovare era l’amore. Rimasta sola per anni, Catia cominciava a sentire il bisogno di trovare un compagno. Un giorno però, un sogno tramutò il suo bisogno in ossessione. In sogno le apparve un uomo bellissimo ed elegante, il più bello che avesse mai visto. Lo sognò per diverse notti e alla fine quel volto arrivò a ossessionarla a tal punto anche durante il giorno che dovette dipingerlo.
Passo ore e ore davanti alla tela e quando finì rimase a lungo a osservare quel viso perfetto che ormai sentiva di amare. Quella notte però non lo sognò. Si svegliò invece sentendo una voce proveniente dal suo studio. Si alzo e quando aprì la porta dello studio vide con sgomento l’uomo amato davanti a lei, in carne e ossa. Lui le sorrideva sensualmente, con uno sguardo che accese subito il suo desiderio. Alle sue spalle c’era la tela in cui lo aveva ritratto, tornata completamente bianca.
Lui le si avvicinò e le mise le mani sui fianchi, stringendola a sé. La spogliò lentamente, con la delicatezza di un amante che sembrava conoscerla da sempre.
Fu la notte più bella e intensa della sua vita. Lui la prese più volte sul tappeto del suo studio, toccandola e baciandola con intensa passione, facendole provare sensazioni così intense da farle perdere il controllo.
L’alba arrivò in un attimo e il suo amante la svegliò con un bacio. – Devo andare amore mio. Il mio tempo qui è finito.
La pittrice si strinse a lui per non lasciarlo andare. - No, ti prego! Non puoi lasciarmi sola! Portami con te!
- Sei sicura? – le chiese lui accarezzandole il corpo nudo con lo sguardo.
- Più di qualsiasi altra cosa.
Lui allora si portò sopra di lei, il bel volto deformato da un ghigno che lo rese quasi irriconoscibile. – Come desideri.


In un attimo le mise le mani alla gola, stringendo con tutta la sua forza. Catia non oppose alcuna resistenza. Il giorno dopo avrebbero trovato il suo cadavere, vestito e apparentemente intatto, davanti al ritratto di un volto demoniaco deformato da un ghigno di soddisfazione.


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Lo specchio dell'anima

lunedì 12 agosto 2013

Buonsalve! Un racconto che parla di chi è diverso, ma di come a volte questa diversità sia anche ciò che ci rende davvero liberi e che ci permette di prendere il volo.

Lo specchio dell'anima
(racconto n.346)

Alia viveva in un mondo abitato da creature in parte umane e in parte animali che vivevano seguendo l’equilibrio naturale del loro essere, un mondo dove era la natura a dominare, selvaggia e priva di imposizioni. Un giorno però, venne trovata lei, una bambina che agli occhi di tutti parve davvero strana: Alia infatti era interamente umana salvo due ali di cigno che le spuntavano da sotto le scapole.
La bambina venne cresciuta da una famiglia di uomini-gatto, sviluppando grazie ai loro insegnamenti una notevole agilità soprattutto nell’arrampicarsi.
Col tempo però la sua diversità cominciò a influire nella sua vita. Le discriminazioni e gli insulti da parte degli altri giovani divennero sempre più pesanti. Erano molte le volte in cui rientrava nella sua tana malconcia dopo essere stata picchiata o maltrattata.
Alia cominciò quindi a sentirsi sempre più triste e sola finché, un giorno non accadde qualcosa che la portò a un punto di rottura. Aveva vent’anni e il suo corpo ormai si era sviluppato come quello di una bellissima donna con ali maestose e imponenti che Alia però non aveva mai considerato davvero. Detestava tutto del suo corpo comprese quelle orribili estensioni.
Quel giorno se ne stava passeggiando da sola, chiedendosi perché fosse così strana, così diversa dagli altri. In quel momento un uomo-leone l’avvicinò, deridendola per il suo strano aspetto. Lei gli rispose a tono, rimettendolo al suo posto. Per quanto si detestasse, Alia non era certo tipo da farsi umiliare stando semplicemente zitta.
Lui però la prese male. L’afferrò con le zampe possenti e la spinse a terra. Lei si dimenò, urlò, ma l’uomo-leone era molto più forte di lei.
- Sta zitta, mostro! – le disse ridendole in faccia. – Orribile come sei dovresti solo ringraziarmi! Nessuno vorrà mai accoppiarsi con un’anormale come te!
Disperata, Alia gridò, scalciò e si agitò, finché all’improvviso non trovò un punto d’appoggio: le sue ali.
Con esse si diede una spinta tale da riuscire a liberarsi del suo aggressore.
La ragazza scappò, ormai al limite. S’inoltrò nella foresta e raggiunse uno degli alberi più alti. Con la sua agilità si arrampicò salendo più in alto che poteva. Quando raggiunse la cima e vide lo spettacolare panorama ai suoi piedi rimase a bocca aperta. Non era mai salita così in alto. In quel momento uno strano istinto si risvegliò in lei, qualcosa che non aveva mai provato prima.
Senza rendersene conto, spiegò le ali e si lanciò nel vuoto. Un attimo dopo si ritrovò in cielo, le ali che si muovevano in maniera istintiva e naturale.
Era bellissimo, la sensazione più esaltante che avesse mai provato. Volò per ore, sentendosi libera, euforica, felice. In quel momento se ne fregò degli altri! Che pensassero e dicessero ciò che volevano del suo aspetto! Quando voleva, lei avrebbe potuto spiccare il volo e vivere la sua libertà in cielo.

Da quel giorno non detestò più il suo corpo anzi lo sentì come non aveva mai fatto prima. Capì che in fondo quando la natura di dona un paio di ali, nei momenti più duri l'unica cosa da fare è buttarsi e spiccare il volo.


Pubblicato da Unknown alle 10:04 0 commenti  

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